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Angelica De Rosa e la ricerca di nuove frequenze


Stile Arte intervista Angelica De Rosa, vincitrice del secondo premio, sezione pittura, categoria giovani artisti, della quinta edizione del Premio Nocivelli
 
Iniziamo con una breve scheda anagrafica, come se leggessimo una carta d’identità. Sotto il profilo della produzione artistica può immediatamente specificare il suo orientamento stilistico ed espressivo?
 
Angelica De Rosa, nata a Segrate (Mi) il 12 maggio del 1990. Attualmente iscritta al secondo anno del biennio specialistico di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Potrei dire che il mio orientamento stilistico ed espressivo si avvicina all’astratto informale, anche se non mi sento di rientrare in una categorizzazione precisa.
 
Nell’ambito dell’arte, della filosofia, della politica, del cinema o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso, in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?
La mia produzione artistica si situa sempre in un contesto di continuo apprendimento. Credo che il bello dell’arte sia la sua capacità di fondersi con la vita così da riuscire a cogliere nel quotidiano o nelle esperienze apparentemente lontane dall’ambito artistico, spunti di riflessione, come può essere la scoperta delle tecniche di canto armonico o l’esperienza di un bagno di Gong. L’importante è essere in grado di cogliere il filo rosso che unisce tutte le cose. Ovviamente credo anche che per un artista sia indispensabile conoscere gli eventi che hanno caratterizzato la storia dell’arte. Ritengo che la lettura degli scritti degli artisti possa essere molto stimolante perché permette di essere al corrente delle riflessioni e dei pensieri che hanno accompagnato la produzione artistica che si è sviluppata fino ai nostri giorni.


Può analizzare nei temi e nei contenuti l’opera da lei realizzata e presentata al Premio Nocivelli, illustrando le modalità operative che hanno portato alla realizzazione?
Mi è capitato più volte di riflettere sulla trasposizione linguistica di un messaggio enunciato con un altro elemento espressivo, come la pittura. Sono arrivata alla conclusione che una didascalia troppo dettagliata e approfondita da parte dell’autore non solo non sia così necessaria, ma talvolta giunga addirittura a nuocere l’esperienza di fruizione in quanto può arrivare a precludere la possibilità allo spettatore di vedere l’opera con i propri occhi e lo costringe a basarsi esclusivamente su ciò che legge. In questo modo chi osserva non percepisce più attraverso la propria sensibilità e la comunicazione attraverso l’immagine si perde. La spiegazione scritta prende il posto dell’opera e il dipinto ne diventa solo un misero supporto. Credo che solo il titolo sia l’elemento necessario che aiuta a rispondere alla domanda dello spettatore che osserva. Il titolo arricchisce l’opera in quanto fornisce la chiave di lettura, in questo caso 432 Hz.
 
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angelica@air-tel.it
 
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