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A Giorgione spunta la barba


Tutto cominciò quando, nella prima metà del ’600, la famiglia Barbarella rivendicò la sua discendenza dal pittore di Castelfranco. Da quel momento, nei ritratti dell’artista, il volto prese a coprirsi d’un pelo sempre più fitto… 

di Enrico Maria Dal Pozzolo

Quel che si vede è sempre ciò che si può e si vuole vedere, sia a livello di soggettività personale, sia sul più ampio piano della percezione collettiva e culturale. Ciò è particolarmente evidente allorché si tratta di rintracciare, ricostruire o reimmaginare la storia: un passato che si lega magari a fattori ben vivi nel presente, ma pur sempre risucchiato in una dimensione perduta.


Come restituire l’immagine di Giorgione ad alcuni decenni o secoli di distanza dal suo transito terreno nel momento in cui la sua storicizzazione/mitizzazione richiedeva “realistiche” forme da smerciare? Nel buio pesto che avvolge la vicenda biografica del maestro è quasi un miracolo che se ne possano conoscere le fattezze grazie a una frammentaria tela all’Herzog Anton Ulrich-Museum di Braunschweig (fig. 1), che taluni studiosi ritengono originale e altri invece una copia seicentesca.

1. Giorgione, Autoritratto in veste di David con la testa di Golia, Braunschweig, Herzog Anton Ulrich-Museum (frammento)
1. Giorgione, Autoritratto in veste di David con la testa di Golia, Braunschweig, Herzog Anton Ulrich-Museum (frammento)

Se la prima ipotesi è prevalente e preferibile, resta il fatto che nessuno ha messo in dubbio che il dipinto tedesco si connetta a un esemplare menzionato in un inventario del 1528 che segnalava presso Marino Grimani a Venezia un Ritratto de Zorzon di sua man fatto per David e Golia. Tale dipinto fu visto e commentato da Giorgio Vasari nella seconda edizione delle Vite (1568), ed egli lo ritenne tanto credibile da far sì che su di esso ci si basò per la realizzazione dell’incisione che nelle Vite illustrava il profilo del maestro (fig. 2).

Nel presentarlo al pubblico degli appassionati d’arte, Vasari fece peraltro sostituire le vesti militari indossate nel prototipo con altre più normali, in una mise quotidiana replicata anche in un quadretto su carta al museo di Budapest, che presumibilmente altro non è che un falso confezionato tra ’500 e ’600 per spacciarlo come il modello per il quadro Grimani. Anch’esso peraltro conferma che la tela tedesca è la vera imago di Giorgione, la sua icona, che ci consente di guardare negli occhi l’artista a distanza di mezzo millennio.

2. Cristofano Coriolano, Ritratto di Giorgione, in Giorgio Vasari, Le vite, edizione del 1568
2. Cristofano Coriolano, Ritratto di Giorgione, in Giorgio Vasari, Le vite, edizione del 1568

Le cose si complicarono quando nella prima metà del ’600 a Castelfranco alcuni membri della famiglia Barbarella rivendicarono la loro discendenza dal maestro. Tale voce fu raccolta e rilanciata da Carlo Ridolfi, l’autore di quelle Maraviglie dell’arte (1648) che subito divennero il vademecum per coloro che volevano saperne di più sui pittori veneti del Rinascimento e del primo Seicento.

Poiché nella mentalità antica vigeva la convinzione – raccolta dal noto detto per cui nomina sunt consequentia rerum – che i nomi esprimessero le caratteristiche della realtà, per evidenziare l’origine dai Barbarella si ritenne di far comparire sul suo viso imberbe (com’era testimoniato negli esemplari di Braunschweig e Budapest, nonché nell’incisione di Vasari) un paio di baffetti. Con essi infatti appare sia nella tavola che illustra le Maraviglie dell’arte, sia nella stampa realizzata nel 1650 da Wenceslaus Hollar quando l’esemplare Grimani era passato ad Anversa presso i mercanti van Veerle (figg. 3-4), sia in due dipinti di Sebastiano Bombelli e Pietro della Vecchia.

3. Giovanni Georgi, Ritratto di Giorgione, in Carlo Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, 1648
3. Giovanni Georgi, Ritratto di Giorgione, in Carlo Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, 1648

4.  Wenceslaus Hollar (da Giorgione), Autoritratto di Giorgione in veste di David, incisione
4. Wenceslaus Hollar (da Giorgione), Autoritratto di Giorgione in veste di David, incisione

Il processo di irsutizzazione del volto giorgionesco conobbe però un’improvvisa accelerazione a inizio ’700, quando nelle collezioni medicee a Firenze fu incamerato un Ritratto di uomo barbuto che si volle riconoscere nel pittore di Castelfranco. Non era lui, ma evidentemente piaceva pensare che il fondatore della maniera moderna – colui che con Leonardo, Raffaello e Michelangelo aveva indirizzato il Cinquecento italiano – avesse le fattezze di un maturo vate-filosofo; e ciò a dispetto del fatto che Vasari ne avesse specificato la morte all’età di 33 o 34 anni. Era un periodo, a livello europeo, in cui vi era bramosia di stampe descriventi i visi di coloro che avevano fatto grande l’Italia del passato e del presente, pertanto non furono pochi gli incisori che divulgarono l’immagine degli Uffizi, ponendo quasi sempre in evidenza il cognome Barbarella (o Barbarelli) (fig. 5).

5. Marcantonio Corsi  e Domenico Campiglia, Giorgione  (da un Ritratto agli Uffizi).
5. Marcantonio Corsi
e Domenico Campiglia, Giorgione
(da un Ritratto agli Uffizi).

Tale processo deformativo conobbe un apice in Inghilterra, dove si ritenne di individuare Giorgione in un barbutissimo personaggio nelle collezioni reali (oggi ad Hampton Court) che in effetti più diverso dal giovane di Braunschweig non avrebbe potuto essere (fig. 6).

6. John Corner, Giorgione  (da un Ritratto ad Hampton Court attribuito anche a Lorenzo Lotto).
6. John Corner, Giorgione
(da un Ritratto ad Hampton Court attribuito anche a Lorenzo Lotto).

Come ognuno sa per esperienza personale, spesso ciò che si desidera vedere condiziona la nostra percezione della realtà; sogniamo di incontrare quel che cerchiamo e pretendiamo di far aderire il vivibile all’immaginato. E’ quel che avvenne tra ’700 e ’800 quando la Tempesta riapparve nel palazzo veneziano di Girolamo Manfrin, che con liberalità apriva le porte ad appassionati, studiosi e commercianti. L’alone di mistero sprigionato dall’enigmatica rappresentazione – che a tutt’oggi si dimostra reticente ai più caparbi tentativi di lettura del soggetto – fece sì che ci si interrogasse sulla possibilità che l’uomo rappresentato a sinistra fosse proprio lo stesso pittore mentre contemplava la sua donna amata che allatta il frutto del loro amore (fig. 7).

7. Giorgione, La Tempesta, Venezia, Gallerie dell’Accademia
7. Giorgione, La Tempesta, Venezia, Gallerie dell’Accademia

Di bocca in bocca, tale elucubrazione assunse la consistenza di una verità che si condensò nel titolo, prevalente per quasi tutto l’800, di Famiglia di Giorgione. In effetti il personaggio assomigliava a quello inciso da Vasari e Ridolfi, l’età era compatibile, la corpulenza sottolineata da Vasari pure. Insomma: perché no?

Pur da una strada evidentemente sbagliata, ci si ritrovò dunque a un punto non lontano da quello di partenza, e nel momento in cui a Castelfranco si intese celebrare il quarto centenario della nascita del maestro (1878), nella grande statua commemorativa eseguita da Augusto Benvenuti si rielaborò proprio l’aspetto dell’uomo della Tempesta (fig. 8).

8. Augusto Benvenuti, Monumento  a Giorgione, Castelfranco Veneto
8. Augusto Benvenuti, Monumento
a Giorgione, Castelfranco Veneto

Giovane, aitante, riccioluto e senza barba: così egli si erge su un’area appositamente predisposta innanzi alle mura di Castelfranco. L’immagine da cartolina era stata trovata, e infatti è quella classica ancora oggi. Ovviamente il richiamo alla vicenda amorosa non poteva mancare: Cara Cecilia / vieni t’affretta / il tuo t’aspetta, si volle scrivere sul monumento, in riferimento al presunto nome della donna da lui amata. Ma qualcuno pretese che si iscrivesse anche il cognome dei Barbarella: un fremito campanilistico, per rimarcare le radici cittadine del genio.

Vero o non vero, con la storia si deve pure poter giocare. Sennò, sai che barba!