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Achille Fornasari pittore





di Costanzo Gatta
Aurelio Fornasari vive e lavora a Brescia nella casa di corso Garibaldi, dove ha sede anche lo studio. Comincia a dipingere fin da giovanissimo, e a 17 anni ricava il primo studio in una stanza di uno stabile diroccato in vicolo Fenarolo, nel popolare quartiere del Carmine. Frequenta la scuola d’arte “Savoldo” e i pittori Torquato Piovani e Bonometti, facendo tappa a Cremona e a Milano, nell’ambiente dell’Accademia di Brera, dove, in via Madonnina, vive per alcuni anni, esponendo le sue opere nei locali pubblici del quartiere.


Notato dal critico Nicola Tedesco espone nella Galleria d’Arte “V.I.E., Multiart”, nei pressi dell’Accademia. Partito per Amsterdam, vive nella capitale olandese per un anno, frequentando un corso di disegno dal vero; nel contempo si mantiene vendendo copie di opere degli impressionisti e di Van Gogh. Un po’ restio alle mostre “facili”, esibisce i suoi lavori in studio, riscuotendo successo fra i collezionisti. Espone all’Aab nel marzo 2004. Selezionato dalla Commissione ha rappresentato, nell’ambito del Festival della Brescianità del 2004, la pittura contemporanea cittadina. Entrare oggi nello studio di Aurelio è entrare in un tripudio di femminilità, donne, solo donne. Giovani, ma anche non più. Volti e corpi emaciati, smunti, consumati, affilati, macilenti si alternano a figure ammiccanti, sensuali, erotiche, sensuali, lascive. Non è vocazione al “voyeurisme”. E’ indagine. Questo il mondo di Aurelio Fornasari, talvolta fissato nell’acrilico, talvolta nell’olio o anche nel morbido pastello. Giacché Fornasari pare sempre bruciato dal desiderio di vedere immediatamente il risultato, ecco la predilezione per il colore che si fissa immediatamente sul cartone, sulla tavola o sulla tela.

Non appena un pensiero si affaccia alla mente il pittore lo trasforma in quadro. Quando? Di notte, di giorno, saltando un pasto, lasciando a metà una lettura (Fornasari predilige lo studio degli archetipi e spazia dalla filosofia alla psicologia all’alchimia). Il soggetto da fissare può essere la vicina di casa, la signora incontrata per strada, una amica, la ragazzina che civetta. Ogni qual volta un volto o un corpo esprime qualcosa nasce un quadro di Aurelio. Ripensando al “Giudizio universale” e al “San Bartolomeo”, che mostra la sua pelle scuoiata dal carnefice, rivedo in quell’involucro flaccido – così vuole la tradizione – le sembianze di Michelangelo scorticato dalle critiche per via dei troppi nudi, biasimati dal Vasari e da Biagio da Cesena.

Anche Fornasari è stato spellato vivo per i soggetti, spesso mozzafiato, ostentati nelle sue opere. Eppure egli continua ad esibire “involucri”; quelli delle donne che ci esaltano oppure ci angosciano, con i loro pregi e i difetti. Spesso sono ritratti impietosi, altre volte angelici. Dipende tutto dallo stato d’animo del nostro, che come ogni mortale si commuove, ha slanci di tenerezza e scatti di rabbia, ama e soffre, accusa e denuncia. Fornasari comunica con la sua pittura. Di grande qualità.