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Bruno Casalini –



Come se il Novecento non bruciasse il modo di far pittura del passato, l’artista restò devoto a un linguaggio immutabile, senza ricerche o contaminazioni. Con due passioni: una per il paesaggio, l’altra per il ritratto

di Riccardo Lonati
Per Bruno Casalini (Valsaviore 1931-Edolo 1982) ben si attaglia il detto “nessuno è profeta in patria”. Abbastanza trascurato nella nostra provincia, la sua formazione e la sua attività creativa hanno avuto come luogo privilegiato la laguna veneta, e a Venezia ha prevalentemente esposto, frequentando le gallerie Bevilacqua La Masa, Il Torchio e Il Traghetto negli anni 1959, 1961, 1965, 1969, 1973, 1974, 1977, estendendo le presenze a Genova (1962, 1964), Bergamo (1965), Sondrio (1965), Como (1965), Padova (1966), Trento (1969, 1973), Ravenna (1968, 1970, 1972), Parma (1971). Le medesime località, con Stoccolma e Cannes (1963), hanno accolto i dipinti di Casalini in occasione di significative manifestazioni collettive attestanti non solo l’intensa applicazione ma anche l’elevato livello delle sue capacità, svelate nell’ombra di un’esistenza appartata. E così è ricordato il bresciano nella sua solitudine, sempre immerso in un personale mondo contemplativo, nella pace che ispira e rafforza con grande intensità il sentimento artistico, nel regno del silenzio in cui s’avverte tutto il misticismo del suo animo.
Ed anche quando si è trasferito definitivamente a Edolo, la sua mente è stata costantemente lontana, ondeggiante sugli orizzonti sensuali, seducenti di una fervida fantasia, di un talento unico e irripetibile. La conferma del peculiare sentire, trasposto nei colori, perviene dalle sue parole, quando afferma: “Mi basta guardare me stesso con occhio scevro per inventare un mondo mio, assai più versato e sognato che accertato”. Nonostante si sia tenuto estraneo alle correnti innovative degli anni Sessanta e Settanta, i dipinti denunziano nei soggetti una forte influenza del surrealismo riconducibile a Magritte: i fiori posti in atmosfere di lucore aereo, gli uccelli lievi quanto foglie, ed ancora un occhio che galleggia in una stanza d’ospedale, rocce o alberi sradicati vaganti fra le nuvole… il tutto sorretto da un disegno accurato, entro cui il colore limpido, puro si distende. La mira dell’artista è esprimere quanto di misterioso è racchiuso negli oggetti e nelle creature appartenenti ad un universo magico, unico, dove l’uomo non si stacca dalle cose rese con impianto chiaro e fermo.