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Cagnacci e la caducità della bellezza: seno adolescente, soffione, una rosa


Guido Cagnacci, Allegoria della Vanitas e della Penitenza. L’opera è esposta al Mar di Ravenna, fino al 22 giugno, nell’ambito della mostra La cura del bello. Musei, storie, paesaggi. Per Corrado Ricci. Il dipinto possiede tutti gli elementi caratteristici delle Vanitas. Da una parte i fragili vegetali, simbolo della transitorietà della giovinezza, dall’altra la candela spenta e il teschio, che indicano l’ineluttabile discesa verso la morte
Guido Cagnacci, Allegoria della Vanitas e della Penitenza. Il dipinto possiede tutti gli elementi caratteristici delle Vanitas. Da una parte i fragili vegetali, simbolo della transitorietà della giovinezza, dall’altra la candela spenta e il teschio, che indicano l’ineluttabile discesa verso la morte

[L’]intensità dello sguardo sospeso tra sogno e realtà, esiliato e racchiuso in una dimensione interiore che si dipana attraverso i percorsi della mente, il viso teso in un’espressione di altera superficialità, la torsione del collo, il morbido incarnato roseo, fresco e giovane, che spicca con la forza della sua luminosità su uno sfondo scuro; la levità delle dita della mano destra che sfiorano, più che stringere, lo stelo dei fiori. E il teschio, terribile, e la candela morta. E’ attraverso questi elementi che Guido Cagnacci (1601-1663), nella sua Allegoria della Vanitas e della Penitenza, riesce a rappresentare la caducità della bellezza, condannata a sfiorire nel tempo, e l’inevitabile destino a cui tutti gli uomini, prima o dopo, sono chiamati a rendere conto. Ricordiamo che il genere della Vanitas ha il suo massimo sviluppo proprio nel XVII secolo e che le figure caratteristiche sono il teschio, il lume senza fiamma, gli strumenti musicali silenziosi (la caducità), l’orologio e la clessidra (lo scorrere inarrestabile del tempo), le bolle di sapone, la flora appassita e la fauna marcescente (la transitorietà dei beni). Eloquenti, allora, divengono i simboli inseriti nell’opera, che deve essere letta da sinistra a destra, come sviluppo tra il presente e il futuro. Quindi, a sinistra: la rosa selvatica, dai petali evanescenti, graziosi a vedersi, ma fragili e pronti a cadere al minimo tocco, limpido riferimento ad una condizione di bellezza, schietta, intensa e transitoria, come la gioventù, concetto espresso con rafforzato vigore dalla presenza del soffione, che può essere disperso anche da un debole alito di vento. Così è la bellezza fisica. Perché mai, si chiede l’artista, cadere nella trappola della vanità, del narcisismo, per l’effimero premio della sensualità? A destra della figura sta l’orrido futuro. La candela spenta da poco- il pedicello ancora fumante – e il teschio invitano alla riflessione.


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