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Vincenzo Campi, la quotidianità senza tempo di un maestro del ‘500. Il video


Proponiamo l’intervista a Franco Pagliaga, studioso di Vincenzo Campi, compiuta in occasione delle ricerche che portarono alla prima mostra monografica

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Il tema del “mercato”, come rappresentazione di un luogo felice senza stagioni, e il culto dell’abbondanza ricorrono spesso nella produzione di Campi. Sono riferimenti in cui si coglie l’influenza diretta della pittura nordica, in particolare di artisti come Pierre Artsen e Joachim Beuckelaer…
Certo, Campi aveva contatti molto stretti con la pittura fiamminga, dovuti anche ai rapporti con la famiglia di mercanti Affaitati, che gestivano il Banco del Cambio di Anversa. In mostra abbiamo alcuni dipinti fiamminghi, alcuni anonimi, altri di autori importanti: un Van Cleef, proveniente da Verona, o un Beuckelaer che, invece, arriva dalla Collezione Farnese di Napoli, dove era stato portato nel 1734, quando i Farnese, appunto, si sostituirono ai Borbone. Sappiamo che Vincenzo Campi frequentava il nobile casato e, dunque, quasi certamente conosceva il dipinto in questione.

Vincenzo compì i primi passi nella bottega dei fratelli Giulio e Antonio. Vuole dirci qualcosa a proposito delle analogie e delle differenze che caratterizzano le esperienze artistiche all’interno della famiglia?
Vincenzo collabora con i fratelli fino alla morte di Giulio, avvenuta nel 1572. Giulio e Antonio erano abili decoratori, e senz’altro da loro il nostro imparò a dipingere in un certo modo gli elementi naturalistici utilizzati, appunto, a scopo decorativo; in seguito si assiste però alla sua sterzata netta verso la natura morta, sugli esempi del naturalismo lombardo e della pittura fiamminga. A questo punto il suo cammino diviene autonomo. Come è documentato nel saggio di Giacomo Berra in catalogo, è stata tra l’altro dimostrata la compresenza a Milano, nel 1588, di Vincenzo Campi, di Caravaggio e di Sofonisba Anguissola, che di sicuro ebbero a frequentarsi.

Nell’impianto architettonico dei quadri di Campi, la figura umana è molto spesso posta in secondo piano, rispetto agli elementi della natura. Ciò ha un valore simbolico o si tratta semplicemente di una scelta estetica?
Ritengo che Vincenzo fosse soprattutto interessato alla dimensione ironica e grottesca evocata dai personaggi popolari del mondo contadino, che inseriva nei suoi dipinti esaltandone gli aspetti più rozzi e in qualche modo “volgari”. Tuttavia in mostra presentiamo anche un esempio di natura morta pura, che anticipa addirittura Fede Galizia e Caravaggio. Abbiamo esposto pure quadri di Panfilo Nuvolone, che fu allievo di Vincenzo, proprio per enfatizzare l’analisi sul tracciato della nascita e dell’affermazione del genere. (Stile arte, 02.11.2000)

 

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