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Cannibali a corte. Tutti i misteri degli affreschi di Masserano




Alla tavola del re un valletto consegna sopra un vassoio la testa di un ragazzo. Mentre dalla pancia di una lepre squartata spunta a sorpresa un enigmatico foglietto… I misteri degli affreschi del palazzo di Masserano

di Claudia Ghiraldello

A Masserano, in terra biellese, si trova un magnifico palazzo che un tempo appartenne ai principi Ferrero Fieschi e che, a causa della crudeltà di uno dei suoi signori, Francesco Filiberto, nel 1624 venne assaltato dal popolo e raso al suolo; i lavori di ricostruzione, avviati nel 1632, si conclusero nel 1634.
Nel sottotetto di un’ala dell’edificio ho rinvenuto importanti tesori storico-artistici, assolutamente inediti. Si tratta di fregi che abbelliscono quella che, prima della modifica di livelli e struttura degli ambienti, era la parte alta delle pareti di quattro sale.

1. Dettaglio di un fregio decorativo del palazzo
1. Dettaglio di un fregio decorativo del palazzo

La sala più esterna presenta un fregio di tradizione lombarda che, entro due cornici a motivi geometrico-floreali, è campito in verde e movimentato da girali in monocromo bianco abitati da puttini; questi giocano in funambolico equilibrio sostenendosi ai girali stessi (foto 1). Il fregio, arricchito da conchiglie, cascate di frutti e mascheroni, contiene tre cartelle ovali di colore brunito in cui ho potuto identificare un ciclo figurativo dedicato ad Achille. Particolarmente interessante risulta la scena nella quale l’eroe travestito da donna, nascosto tra le figlie di Licomede, è riconosciuto da Ulisse per aver scelto in dono armi, anziché i gioielli come le sue compagne (2).

Un altro fregio notevole decora la sala attigua. Anche qui, puttini giocano entro la vegetazione che, prodigiosamente, in certi punti si trasforma in sguscianti creature di fantasia. Vi sono poi ulteriori “invenzioni” costituite da corpi femminili nudi, con le braccia, le gambe e i capelli mutati in porzioni dei girali della cornice, e cartelle che narrano varie storie: il rapimento di Europa; Enea e Didone con il piccolo Ascanio-Cupido; Ercole impegnato a filare la stoppa.
All’impresa degli Argonauti sono dedicate invece le sei cartelle del fregio della sala numero tre. Da segnalare, tra gli altri, l’episodio del combattimento di Giasone con un toro. Giunto dal re Eeta, l’eroe scopre che potrà ottenerne l’aiuto solo dopo aver superato tremende prove di coraggio, la prima delle quali consistente, appunto, nella lotta contro un toro dagli zoccoli di bronzo. Nella cartella relativa si legge la scritta: Cade a terra per la forza, il fero, il foco. Truculenta, poi, la scena di Medea, figlia di Eeta nonché abile maga, che, impazzita dal dolore per il tradimento di Giasone divenuto suo sposo, uccide i propri figlioletti.
Davvero rimarchevole la decorazione dell’ultima sala. Si tratta anche qui di un fregio decorativo, ma di dimensioni oltremodo maggiori, giacché consiste in un’infilata di ben diciotto riquadri separati da nudi maschili che fingono di reggere, tenendo alzate le braccia, festoni a nastro con cascate di frutta in monocromo ocra di accattivante effetto visivo. I nudi – ben ventuno – risultano dettagliati nella lettura anatomica che ne galvanizza la struttura muscolare, contrastante con la sensualità delle pose studiatamente languide in cui si atteggiano.
Ho appurato che le scene ospitate nei vari riquadri raffigurano momenti della vita di Ciro il Grande secondo quanto narrato dalle Storie di Erodoto.


Vediamone alcune. Scrive Erodoto che Astiage, re dei Medi, aveva una figlia di nome Mandane. Dopo che l’ebbe maritata al persiano Cambise, ebbe una visione nella quale dalla giovane germogliava una vite che andava ricoprendo tutta l’Asia. Il sogno voleva significare che il figlio atteso da Mandane, il futuro condottiero Ciro, avrebbe usurpato il trono al nonno. Questi, allora, nutrì il proposito di far uccidere il bimbo non appena nato ed impartì il crudele ordine ad Arpago, suo procuratore. Arpago non ebbe il coraggio di eseguirlo e consegnò il piccino a Mitradate, guardiano del bestiame di Astiage, affinché ci pensasse lui. Mitradate, la cui moglie aveva da poco partorito un bimbo morto, decise invece di risparmiare Ciro, allevandolo come fosse la propria creatura.
Dieci anni dopo, la verità venne a galla in modo imprevedibile. Astiage finse di esserne lieto ed invitò Arpago a casa sua per festeggiare il ritrovamento del nipote; gli chiese, inoltre, di farsi accompagnare dall’unico figlio. Il procuratore, ingenuamente, acconsentì: quando il ragazzo giunse alla reggia, fu ucciso, cucinato e dato in pasto al padre. A Masserano è rappresentato, in primo piano, il desco imbandito (3); il re è a capotavola e svela l’inganno, mentre mostra il macabro contenuto del vassoio che un valletto ha portato: la testa mozza del fanciullo.
3. Astiage, re dei Medi, costringe il procuratore Arpago a mangiare la testa del proprio figlio. L’affresco, ispirato alle Storie di Erodoto, si trova in una sala del palazzo Ferrero Fieschi, a Masserano, nel Biellese.
3. Astiage, re dei Medi, costringe il procuratore Arpago a mangiare la testa del proprio figlio. L’affresco, ispirato alle Storie di Erodoto, si trova in una sala del palazzo Ferrero Fieschi, a Masserano, nel Biellese.

Arpago – riferisce Erodoto – meditò fredda vendetta. Deciso a detronizzare Astiage, non potendo incontrare di persona, a causa delle molte spie, Ciro (ormai adulto), gli fece un giorno recapitare da un cacciatore una lepre nel cui corpo aveva nascosto un biglietto contenente il suo proposito di rivolta (4). La scena dell’affresco è magnetica nella propria sinteticità: Ciro e il cacciatore sono in primo piano, mentre la lepre, penzoloni, mostra la pancia aperta con il foglio che fuoriesce.

Il figlio di Cambise accolse il piano di Arpago e convocò i Persiani, i quali scesero in guerra contro Astiage. Numerose a Masserano sono le scene che illustrano le imprese belliche di Ciro (5), e tra queste compare la battaglia di Pasargadae, in cui il re dei Medi venne sconfitto senza appello.

L’opera di palazzo Ferrero Fieschi, di carattere corale, rientra nella tipologia della pittura lombarda del Seicento, imperniata su un dettato figurativo che mira alla catechesi, sulla spinta dell’insegnamento di san Carlo Borromeo. Diventati “di moda” in Piemonte verso la metà del secolo, i racconti mitologici assumono insomma una valenza edificante.


Va notato, inoltre, che i nudi della sala con le storie di Ciro rivelano una cifra classica, di memoria carraccesca, secondo un gusto maturato anche grazie alla riscoperta dell’antico seguita all’affermarsi del fenomeno del collezionismo archeologico. Importanti in tal senso le relazioni instaurate tra il manierismo emiliano, con tangenze al barocco genovese, e l’arte lombarda.
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