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Caravaggio in Sicilia, a caccia degli inediti da recuperare



CARAVAGGIO LIBRO

Caravaggio in Sicilia. L’ultima rivoluzione è la prima rilevante fatica di Andrea Italiano. Il volume, complessivamente un buon prodotto, desta interesse per tematica e contenuti, dove protagonista assoluto non è invero Michelangelo Merisi, quanto più la “rivoluzione” da egli innescata in Sicilia, tanto da affermare in tale sede che la pittura del Seicento nell’isola “inizia” proprio con lui.

La prima parte dunque ripercorre il profilo storico artistico del milanese in Sicilia, a partire dal passaggio maltese, e l’autore non perde occasione di esprimere la propria interpretazione alle molteplici circostanze poco chiare legate al soggiorno isolano, da un presunto sbarco a Gela tutto da verificare, alla ripartenza da Messina o Palermo. Su quest’ultimo punto, sono recepite non tutte le più fresche acquisizioni, probabilmente per via delle tempistiche redazionali; e comunque la pur ampia bibliografia di riferimento, accanto alle citate fonti antiche e moderni studi e monografie, andrà aggiornata su fondamentali uscite recenti.

Ma al di là della ricerca storica l’autore, ‘longhianamente’, è maggiormente interessato agli aspetti stilistici e iconografici, dove indubbiamente offre prove di grande competenza e destrezza. Nella lettura delle opere, in particolare, la scrittura raggiunge i momenti più alti e godibili; contribuisce in tal senso un linguaggio raffinato e, quand’anche volutamente ricercato, accessibile a chiunque.

Resiste una certa tendenza ben localizzata ad accostare – fino a comprendervi – al passaggio siciliano di Merisi un numero più ampio di quadri rispetto ai tre o quattro unanimemente riconosciuti. Se effettivamente tale periodo è stato particolarmente sfortunato, con la gran parte delle opere andata dispersa, qui se ne includono alcune peraltro di dubbia autografia e non sempre esprimendovi le dovute cautele.

Caravaggio ad ogni modo è premessa, e quasi pretesto, per soffermarsi più lungamente sulla seconda parte dedicata ai suoi ‘seguaci’ siciliani, a partire dai principali, i qui rivalutati Alonzo Rodriguez e Mario Minniti. Il primo è ritenuto “caravaggesco della prima ora”, ma che guardò sempre attentamente a tutta la pittura coeva; nelle poche notizie databili, si ipotizza un suo soggiorno giovanile nella Napoli non ancora raggiunta da Merisi, ma in cui egli avrebbe conosciuto, su tutti, Battistello. Minniti fu invece “caravaggesco particolare”, talvolta vicino anche al Saraceni più veneto; la sua produzione ebbe esiti apparentemente altalenanti, forse giustificabili con la nutrita bottega che lo affiancava. Italiano si concentra anche, ricostruendone le identità, sugli epigoni più o meno diretti del siracusano, per collegarsi più in generale a figure minori del ‘caravaggismo’ meridionale. Approdando infine a pittori, quali Filippo Paladini, Pietro Novelli e Pietro d’Asaro, che ebbero qualche tangenza – luminismo e naturalismo sono gli elementi più spesso evidenziati – con tale movimento artistico. Quest’ultimo, si osserva giustamente, attecchì molto poco nel versante occidentale dell’isola: nulla di cui meravigliarsi se, come sempre più si sostiene, la Natività con i santi Lorenzo e Francesco è quadro romano e non è certo che il milanese passò mai da Palermo.

L’apparato iconografico aiuta in parte a familiarizzare con la pittura dei tanti artisti citati, spesso poco noti o dalle produzioni eterogenee. Certo le illustrazioni sono diverse e interamente a colori, indice anche questo di un impegno editoriale non comune, apprezzabile ancor più tenendo conto di una piccola realtà del nostro Mezzogiorno.

Il giovane studioso, che non nasconde il suo debito formativo verso la Pugliatti, presenta modestamente la sua come una “breve carrellata sui caravaggeschi siciliani”. Se poi vi include anche qualcosa di sostanzialmente diverso, o ciascuna voce andrà approfondita attraverso studi specifici, va riconosciuta e tenuta in debita considerazione l’originalità di aver spostato l’attenzione dal centro alla periferia di una realtà multiforme tutta da (ri)scoprire, grazie ad uno snello strumento che si offre all’attenzione di un pubblico – pure esso – composito.

Michele Cuppone