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Carlo Cardazzo –


di Giovanna Galli
 
 
Abbiamo intervistato Luca Massimo Barbero, che fu  curatore della mostra Carlo Cardazzo. Una nuova visione dell’arte con cui la Collezione Guggenheim di Venezia rende omaggio (fino al 9 febbraio) a un personaggio centrale nella cultura italiana e internazionale del XX secolo,  scomparso nel 1963, Cardazzo ci ha lasciato in eredità una straordinaria collezione di opere e le tracce indelebili del suo impegno di gallerista, editore, mecenate e promotore dell’arte del Novecento in tutte le sue forme.
 
La mostra da lei curata è il primo evento interamente dedicato alla figura di Carlo Cardazzo. Vuole tracciare un profilo di questo protagonista della scena dell’arte e della cultura del XX secolo?
Carlo Cardazzo ha lasciato tracce indelebili dietro a sé, tracce però che nel corso del tempo sono state per così dire appianate, e che per essere riportate alla luce hanno reso necessario un lavoro quasi archeologico di scavo, di ricerca e di scoperta. Riferendomi a lui mi piace utilizzare una metafora geologica, quella del vulcano: la sua personalità era paragonabile ai vulcani che nascono all’improvviso e che nell’arco di una notte vanno a formare un’isola, che poi magari viene dimenticata, ma che resta lì, per sempre.
Egli proveniva da una famiglia benestante e poteva contare su una cultura ricca e su una grande curiosità intellettuale. Di ciò si nutrì il suo precocissimo amore per l’arte, in particolare per l’espressione del Novecento italiano: all’età di soli diciott’anni acquistò tutte le opere presenti nello studio di De Pisis. Tra i venti e i trent’anni venne sistematicamente “rapito” dai linguaggi del contemporaneo e iniziò a costruire la sua straordinaria collezione.
La mostra parte proprio da qui. I visitatori saranno sicuramente colpiti dai capolavori di De Chirico, De Pisis, Sironi, Campigli, Marini, Scipione (presente con una parete che definirei imperiale), collocati come se ci si trovasse in una casa: abbiamo infatti cercato di ricreare anche a livello architettonico gli ambienti della sua abitazione.
 
I suoi interessi però spaziavano su diversi versanti culturali: negli anni in cui raccoglieva le opere della propria collezione si occupava anche di editoria, di cinema, di fotografia…
E’ così. Egli era magicamente ossessionato da una visione dell’arte a tutto tondo. Negli anni Trenta, come editore pubblicava testi di Apollinaire, Breton, Joyce, Cocteau, in tempi in cui la letteratura straniera in Italia non era molto accettata; si dedicò alla fotografia; realizzò dei cortometraggi. In funzione di questa sua visione dell’arte, inoltre, ebbe l’intuizione dell’importanza della promozione, della condivisione e della comunicazione, e iniziò una rilevante attività divulgativa, che lo spinse a pubblicare le fotografie della propria collezione, a ricavarne addirittura delle cartoline, a mettere a punto gli strumenti per la riproducibilità dell’opera.
Cardazzo divenne una sorta di “centrale creativa” nel panorama artistico, e fu un riferimento per molti collezionisti e mercanti. Strinse significativi rapporti di collaborazione con numerosi artisti, aprendosi anche all’architettura contemporanea.
 
Infatti affidò a Carlo Scarpa il progetto della sua prima galleria, quella del Cavallino.
Esattamente. Lo spazio espositivo fu inaugurato il 25 aprile del 1942, in Riva degli Schiavoni a Venezia e, tra l’altro, per una sorprendente coincidenza, proprio in quell’anno un’altra grande collezionista, Peggy Guggenheim, apriva a New York la sua galleria-museo “Art of this century”; pure lei aveva affidato il progetto ad un celebre architetto, Frederick Kiesler.
Terminato il periodo bellico, Cardazzo intuì che Milano sarebbe stato il nuovo centro di riferimento della pittura e della scultura italiana e vi insediò la galleria del Naviglio, inaugurata nel 1946, e dove tre anni più tardi Fontana avrebbe realizzato il primo environment nella storia dell’arte del dopoguerra: L’ambiente spaziale a luce nera.
A metà degli anni Cinquanta, poi, registrando la ritrovata vitalità artistica di Roma, vi aprì la sua terza galleria, la “Selecta”. Per comprendere l’eccezionale dinamismo e anche lo spirito un po’ visionario che lo caratterizzava, basti pensare che organizzò complessivamente ben 1049 mostre, allargando la sua attività nell’intera Europa e negli Stati Uniti.
 
Come possiamo sintetizzare gli interessi di Cardazzo collezionista e gallerista?
Da questo punto di vista egli fu sempre caratterizzato da un certo dualismo, che lo portò da un lato ad intrattenere rapporti profondi e duraturi con i protagonisti storici del Novecento, come De Chirico, Campigli o De Pisis (a cui rimase vicino fino alla morte), e dall’altro a nutrire amore, ad esempio, per Gentilini, e complessivamente a sfruttare in maniera intelligente ed illuminata la “facilità”, anche commerciale, della pittura figurativa, che trattava moltissimo, e che gli serviva per alimentare la promozione dei linguaggi invece più contemporanei e “difficili”, come lo Spazialismo. Certo, oggi sembra facile dire che “appoggiava Fontana”, ma allora si trattava di un’operazione di notevole intuizione e lungimiranza.
 
Lei accennava alla profondità dei rapporti, anche personali, da lui instaurati con molti artisti. Ci sono, a questo proposito, aneddoti che rivelino la qualità della sua attività di mecenate?
Ce ne sarebbero molti. Ad esempio, egli ebbe un legame intenso con un artista che in questi tempi è oggetto di una grande riscoperta, Emilio Scanavino, il quale con Capogrossi e Fontana è stato di sicuro tra i suoi “protetti”. Sappiamo che non solo Cardazzo investì entusiasticamente nelle sue opere, ma che pure ebbe un ruolo attivo nel convincerlo a lasciare la Liguria per Milano (sembra addirittura che, sotto mentite spoglie, gli abbia procurato la casa e lo studio). Questo ci porta ad intuire che egli nutrisse un bisogno tangibile di avere vicine a sé le persone a lui care.
 
Molto particolare fu anche il suo rapporto con Lucio Fontana.
Fu proprio Cardazzo il primo ad offrire un contratto a Fontana, non appena egli giunse in Italia dall’Argentina. Tanto credeva al suo lavoro che nel 1958, in occasione della sala personale alla Biennale di Venezia, tutta dedicata ai Concetti spaziali, pubblicò un bellissimo catalogo e si fece promotore di una poderosa campagna per la vendita delle opere.
In realtà, però – cosa che oggi risulta divertente -, la Biennale si chiuse senza che nulla fosse venduto, ad eccezione di un pezzo che lo stesso Cardazzo acquistò “per finta”, dovendo pure pagare la commissione all’ufficio vendite della manifestazione.
 
Che cosa ci dice invece dell’amicizia che lo legò a Peggy Guggenheim?
Sappiamo che i due si incontrarono immediatamente dopo il trasferimento di Peggy a Venezia: nel 1947 lei visitò la galleria del Cavallino e acquistò un’opera di Renato Birolli. Condividevano scelte e passioni artistiche, e intrattennero un fitto dialogo e un proficuo rapporto fatto di contatti, suggerimenti reciproci e scambi di opinioni sugli autori e i movimenti dell’epoca.
Cardazzo imparò molto dalla collezione di Palazzo Venier dei Leoni, e la stessa si arricchì grazie a lui di lavori di Matta, Vedova, Jorn. Sempre per merito di Cardazzo, poi, Peggy scoprì vari pittori del dopoguerra italiano, Tancredi, Santomaso, Vianello. E ancora, quando lei allestì la prima mostra di Pollock in Europa, Cardazzo la replicò con grande coraggio alla galleria del Naviglio.
In conclusione, questo nostro progetto, sviluppato lungo un percorso che raduna, oltre alle opere, anche documenti, oggetti, pubblicazioni, manoscritti, vuole raccontare una delle più affascinanti figure del mondo dell’arte del secolo scorso, che per tanti versi trovò una sorta di alter ego proprio in Peggy Guggenheim.