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Cavalli d'artista




La sua mole flessuosa ed energica ha suggerito all’arguto Ulisse un ingegnoso stratagemma per espugnare Troia; sul suo dorso nerboruto intrepidi guerrieri hanno combattuto battaglie sanguinarie e sovrani bramosi di assoggettare nuove terre hanno affrontato l’ignoto.
Incarnazione di forza e bellezza, il cavallo ha anche affascinato innumerevoli pittori, nelle cui tele è di volta in volta apparso quale oggetto di studio anatomico, figura leggendaria, vessillo del potere o mero elemento decorativo.

Caravaggio, Conversione di san Paolo
Caravaggio, Conversione di san Paolo

Alla rappresentazione del cavallo nell’arte Luciana Bassi ha dedicato il volume Destrieri e pennelli (Sometti Editoriale, 95 pagine, 20 euro), in cui, oltre agli esempi desunti da Piero della Francesca, Pisanello, Carpaccio e Caravaggio, vengono citati e commentati reperti della Protostoria, a testimoniare il carattere atavico e plurimillenario del rapporto tra l’uomo e questo animale.
Il cavallo è protagonista soprattutto del mito: se i Greci ritenevano che fosse preposto al trasporto dei numi ed aiutasse gli eroi a vincere i più temibili avversari – la storia di Pegaso e Bellerofonte ne valga quale dimostrazione eloquente -, i cristiani lo citarono sovente nelle agiografie come fedele compagno dei santi.
Vittore Carpaccio, San Giorgio in lotta col drago
Vittore Carpaccio, San Giorgio in lotta col drago

E’il caso di san Giorgio, che in sella al proprio purosangue sconfisse il drago liberando la città di Selene dal suo assedio feroce. La fantasiosa vicenda, diffusa dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, è stata affrontata di frequente in pittura. Memorabile la versione del Carpaccio, che nella tela realizzata per la scuola veneziana di Sant’Orsola offre una rappresentazione spettacolare e cruenta dell’episodio.
Il terreno è cosparso dei macabri resti delle vittime del mostro; dietro l’arco teso delle due figure che si sfidano, quasi araldicamente profilate in primo piano, la sequenza dei palmizi che fiancheggiano le mura turrite di una fiabesca città orientale conduce l’occhio verso l’estrema lontananza, mentre a destra, oltre la principessa che assiste trepidante alla lotta, si apre una veduta di mare con veliero.
La figura snella ma imponente del morello occupa la metà esatta del dipinto. Il colore del manto spicca in maniera incisiva sul paesaggio, descritto con le varie tinte dell’ocra; la testiera, la cintura e la sella, di un rosso acceso, sono delineate con estrema accuratezza, tanto che è possibile distinguere decorazioni ad incastro e preziosi intarsi dorati.
Tratto dalla Leggenda Aurea è anche l’episodio di Cosroe, il re persiano decapitato dall’imperatore di Bisanzio Eraclio per aver trafugato la croce da Gerusalemme. Nell’eseguire l’affresco per la chiesa aretina di San Francesco, Piero della Francesca immagina uno scontro convulso e irruento, un amalgama indistinto di combattenti, di lance e di stendardi che si stagliano in un cielo terso, illimpidito dal sole mattutino. Eppure le figure rimangono ineloquenti, mute, senza l’urgenza di comunicare alcunché: un rigido cavaliere verticale dal viso impassibile immerge una daga nella gola di un giovane.
Unica concessione al sentimento è il fantoccio in primo piano, che solleva un braccio inarticolato e grida perché un avversario l’ha goffamente afferrato per i capelli e lo minaccia con la spada sguainata. Immobili sono anche i quattro cavalli disposti simmetricamente due a due, gli uni di fronte agli altri, al centro della composizione: riusciamo a discernere con chiarezza solo il destriero bianco proteso in un attacco impacciato e lento. Dei restanti tre si intravedono le teste appena, tratteggiate in modo preciso ma essenziale, e totalmente inespressive.
Piero della Francesca, La battaglia di Eraclio e Cosroe
Piero della Francesca, La battaglia di Eraclio e Cosroe

“La storia è affatto senza azione”, commentò sgomento Bellori dinnanzi alla Conversione di san Paolo dipinta da Caravaggio per la cappella Cerasi. In effetti, si tratta di una rappresentazione antieroica e antiaulica in rapporto alle comuni aspettative e ai canoni di giudizio del tempo: la folgorazione di Saulo non avviene lungo la via di Damasco, bensì all’interno di una stalla semibuia dominata dalla massa pezzata del cavallo, trattenuto per il morso da uno stalliere che emerge dalla penombra. La luce violenta e quasi fisica che piove dall’alto scivola sul manto dell’animale per cadere su Paolo che, abbacinato, spalanca le braccia come se intendesse avvincersi ad essa.
Tutto si concentra nella terribile verità dell’evento oggettuale, messa in risalto dai crudi contrasti luministici, cui peraltro spetta sottolineare anche il significato spirituale: il bagliore che investe il santo allude alla grazia, e di fatto sostituisce la tradizionale epifania divina nel cielo. La scelta di porre in primo piano la massa placida e inerte del destriero è dettata dalla volontà di constatare la natura ambigua e intima del rapporto tra l’uomo e l’Altissimo, entro un ambito quotidiano che non registra i segni dell’eccezionalità.
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