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C'è un robot in sacrestia. Le statue di Cristo che muovevano braccia, occhi e lingua




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crocifissi foto con titoli per interno
di Vera Bugatti
Nei decenni dell’arte povera, dell’iperrealismo e della scultura polimaterica che dalle resine ottiene una verosimiglianza stupefacente, negli stessi anni in cui lo spoglio delle fonti, attento in modo nuovo alla cultura materiale e alle tecniche seriali, ha riconsiderato l’ambito della devozione popolare, si sono ricoperti infiniti tesori. Sono riemersi dalle sacrestie e dalle parrocchie i crocifissi mobili nati in epoca tardogotica e collegati ai riti drammatici del triduo pasquale, simulacri relegati per secoli nell’alveo della spiritualità popolare. Si sono poi moltiplicate le indagini su queste tematiche, con l’analisi di fonti scritte e di antichi esemplari, anche se non si può dire che sia stato raggiunto un livello approfondito di ricerca. Superstiti di una produzione molto più vasta, i crocifissi mobili che si sono conservati sono opere polimateriche preziose, frutto della specializzazione nelle botteghe di tecniche seriali (calchi, pastiglia, Presssbrokat) che raggiunsero un efficace mimetismo. Utilizzando vesti vere e crini per rendere barba e capelli.

crocifissi foto 2 già con dida
La Adoratio, Depositio et Elevatio crucis della liturgia drammatica medioevale, che adottavano proprio crocifissi mobili, si diffusero in Europa nei secoli X e XI nell’ambito dell’adattamento delle chiese occidentali al modello della tradizione gerosolimitana, mentre in seguito vennero sviluppati per la maggior parte tropi passionistici. Fu la liturgia drammatizzata di Gerusalemme ad influenzare i riti della Settimana Santa come la lavanda dei piedi, la processione delle palme, la deposizione dalla croce, la visita al sepolcro. I deposti prima e i crocifissi con le braccia mobili poi nacquero ad hoc per questi riti, permettendo un sempre maggiore naturalismo delle rappresentazioni, anche in linea con lo sviluppo dei gruppi lignei delle deposizioni, risposta figurativa al Liber de Passione Domini attribuito a San Bernardo. Dalla fine del XIII secolo i gruppi corali lignei della deposizione furono soppiantati dai crocifissi dolorosi di provenienza nordica, legati in particolar modo al misticismo degli ordini mendicanti, che faceva del simulacro un medium per la meditazione sulla passione. Contemporaneamente si sviluppò il tipo del crocifisso con braccia mobili che poteva essere schiodato dalla croce, posto sul cataletto e chiuso nel sepolcro.
La precedenza cronologica dei crocifissi tedeschi del tipo “doloroso” rispetto ai corrispondenti crocifissi italiani è collegata dagli studiosi alla predicazione del beato Heinrich Suso, domenicano della prima metà del XIV secolo, particolarmente attivo nella regione del Reno. Se il Deposto aveva anche il bacino mobile allora poteva essere dedicato al planctus Mariae, in quanto tale rito prevedeva che la scultura dovesse giacere accasciata tra le braccia della donna che nella rappresentazione era la Madonna. Ancora meno noti e studiati dalla critica sarebbero i crocifissi “animati”, cioè quelli dotati di altre parti del corpo mobili, come il collo, la lingua o gli occhi, espedienti di scenotecnica che spesso venivano impiegati in modo improprio da imbroglioni che fingevano falsi miracoli ed essudazioni misteriose. I principali committenti di queste sculture mobili furono, soprattutto a partire dal XV secolo, le confraternite, per esempio dei Disciplini che, appropriandosi del planctus, si servivano dei manufatti soprattutto per la teatralizzazione dei drammi della Settimana Santa.
Crocifissi foto 1 già con dida
Documenti testimoniano però che di tali crocifissi si servirono anche i predicatori, a partire dal XV secolo, così come i laici, con intenzioni analoghe a quelle delle confraternite che affrontavano il Ludus de Passione Christi. Sicuramente a motivare la damnatio memoriae di questi manufatti si pone la perdita della funzione originaria, dovuta anche al cambiamento dei riti (in particolare dopo il Concilio di Trento), al modificarsi del gusto, e all’incuria. La stessa gerarchia ecclesiastica finì per temere l’eccessivo naturalismo e le pratiche devozionali legate a tali simulacri, che potevano suscitare casi di idolatria o essere usati impropriamente da chierici senza scrupoli. Il rito della deposizione di Cristo dalla croce mediante l’uso di un crocifisso snodabile è praticato ancora oggi in diversi luoghi della Sardegna, dell’Umbria, della Sicilia, dove, rinnovata di anno in anno la sera del Venerdì Santo, rivive una tradizione antica di secoli, fortemente radicata nella sensibilità del popolo. In Sardegna durante la processione della Deposizione (S’iscravamentu cioè lo schiodamento) si adottano attualmente crocifissi mobili. Paradigma delle antiche sculture mobili “animate” è il crocefisso di Döbel, degli inizi del XVI secolo, dotato di braccia mobili, collo fissato con due occhielli di ferro che potevano cadere nel momento della morte, capelli, barba in crine scuro di cavallo e un espediente tecnico che permetteva di far versare alla statua “sangue misto ad acqua” nel momento in cui il centurione avesse colpito con la sua lancia il costato ligneo del crocifisso.
Altri esemplari di crocifissi snodabili, dotati di braccia mobili, provengono dalla Chiesa dei Santi Michele e Stefano a San Minato al Tedesco. Gli arti superiori, scolpiti separatamente rispetto al corpo, sono inseriti in due appositi alloggiamenti scavati sul busto all’altezza delle spalle e fermati da perni, in modo da poter ruotare liberamente, grazie ad un meccanismo che serviva a soddisfare precise esigenze liturgiche. Da segnalare pure i crocifissi mobili friulani studiati recentemente da Teresa Perusini, come la scultura di Johannes Teutonichus conservata nella Chiesa del Cristo a Pordenone.


Le vene sporgenti sono state ottenute incollando cordini di canapa sotto la preparazione e il sangue raggrumato è stato risolto a pastiglia. Sebbene si sia riscontrata nello stesso la mobilità della lingua, il meccanismo mostra che non era possibile farla fuoriuscire, ma solo farla muovere come se Gesù parlasse, peculiarità forse legata alla memoria popolare secondo la quale, appunto, il Cristo di Pordenone tabaie (parla). La tipologia del crocefisso mobile è il risultato di un’operazione di stile che, anche per l’accentuazione dei caratteri patetici, non ha l’equivalente in nessun’altra espressione artistica di quel tempo e che difficilmente si ritroverà anche più avanti, se non nel fiorire dei gruppi scultorei in terracotta, gesso e cartapesta delle stazioni dei sacri Monti, soprattutto nell’Italia del Nord e in Umbria. Basti ricordare in proposito le sette statue in terracotta policroma realizzate da Niccolò dell’Arca per la Pietà nella Chiesa di santa Maria della Vita a Bologna, che raggiungono effetti di drammaticità tesa fino allo spasimo, o il Sacro Monte di Varollo, dove Gaudenzio Ferrari ha eseguito le scene della Natività, dell’Adorazione dei Magi e della Crocefissione, ispirandosi proprio alle sacre rappresentazioni del teatro medioevale.
Per saperne di più si è occupata dell’argomento Teresa Perusini nel saggio I crocifissi mobili per la liturgia drammatica e i drammi liturgici del triduo pasquale, contenuto nel volume In hoc signo. Il tesoro delle croci a cura di Paolo Goi, edito da Skira.