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Danilo Buccella – Cuore di tenebra sotto il Duomo



intervista di Jacqueline Ceresoli

­­­ Danilo Buccella (1974), nato a Liestal in Svizzera, vive e lavora a Milano. E’ artista “dark” visionario, “intimista della profondità”, che affascina per le sue atmosfere in bilico tra delirio e realtà, tra pittura simbolista, cinema e fotografia, in perfetta armonia tra forma e colore.
Consapevole e raffinato cultore del noir, Buccella si riconosce per scenari notturni dall’indefinibile e rarefatto senso d’inquietudine, dove il tempo è sospeso, immobile nell’attesa dell’incubo sempre in agguato.
Nel 2004 Buccella è tra i protagonisti della mostra Il Male, curata da Vittorio Sgarbi a Torino, e da quel momento non ha più smesso di elaborare una pittura colta e sofisticata, dai sapienti rimandi.
iltrionfodelleortiche_2007_cm160x110_DaniloBUccella_oliosutelaLa sua arte citazionista e letteraria evoca i racconti di Le Fanu, di Poe, di Simenon e di Roth, ma anche gli incubi di Stephen King, i paesaggi lacustri da brivido di Holder, la solitudine incommensurabile di Friedrich e le composizioni in grigio e nero di Whistler: su tutto domina la gelida atmosfera del Nord. Dietro il suo sguardo onirico la decadenza fin de siècle convive con ironia e distacco con il cinema horror. I suoi personaggi-apparizioni sull’orlo della follia sono spettri, eteree bambole-bambine, sacerdotesse del mistero, incantatrici maliziose e impertinenti che trascinano lo spettatore entro mondi ove vibrano echi antichi ed una visionarietà nuova, alla Lynch o nello stile di Barton.

Quando ha iniziato a dipingere?
Amo la pittura, ed ho iniziato a dipingere quando incontrai Wainer Vaccari a Modena. Mi affascinavano certi scorci architettonici gotici di quella città, in cui ho risieduto per molto tempo. Per vent’anni ho vissuto in Svizzera ed ho respirato le atmosfere rarefatte del Nord: in particolare mi hanno influenzato le architetture – gotiche, ancora – di Amsterdam, di Basilea, di Copenaghen, ma soprattutto mi ha stregato Praga. Queste panoramiche urbane, che hanno lasciato una traccia indelebile nella mia memoria, ad un certo punto sono riemerse come sensazioni, che hanno contribuito alla elaborazione del mio immaginario visivo. Dipingo scenari dalle atmosfere misteriose, perché sono affascinato dalle tenebre, dai racconti dell’orrore, dalle illustrazioni di Beardsley da Gide, Wilde, Verlaine, dai romanzi delle sorelle Brontë, dalle saghe dell’Europa settentrionale. Certo i vicini mi guardano con sospetto: gli amici invece mi accettano, io non mi prendo troppo sul serio.

Lei è stato definito in vari modi: pittore delle tenebre, noir, gotico, dark, decadente; ma Buccella cosa ne pensa?
Penso che tutte queste definizioni nascano in maniera superficiale semplicemente perché in molte mie opere domina il nero, ma pochi vanno oltre la superficie per addentrarsi nel cuore del mistero che tali opere evocano. Dipingo scene di apparente tranquillità, sappiamo che anche alla luce del giorno si può arrivare alla rappresentazione interiore del buio profondo. Non cerco il nero del gotico o delle tenebre, ma l’intimità e la profondità dei modi di vivere i lati oscuri della nostra mente. L’immaginario a cui mi ispiro è semplicemente la mia vita con tutte le sue deviazioni.

Che importanza ha il cinema nella sua pittura?
Ogni composizione è finita quando viene fermata, immobilizzata sulla tela, ma in realtà la sua rappresentazione per chi la osserva è infinita, e questo mi affascina. Dipingo scenari come un’opera nell’opera, che apre lo sguardo a infinite combinazioni. Elaboro un linguaggio iconografico carico di simboli e metafore che certo trovano riferimenti anche nel cinema. Soprattutto non pongo limiti alle visioni, alla creatività: l’immagine può nascere da ogni cosa e non prediligo un canale in particolare.

Quale regista preferisce?
Orson Welles.

Perché dipinge soprattutto fanciulle dall’età indefinibile, adolescenti anoressiche, figure eteree, sonnambule, donne-bambine o fate-streghe dal volto truccato come quello di modelle in bilico tra la seduzione e l’orrore?
Trovo stimolante lavorare con queste vestali del mistero, ancelle dell’inquietudine. Le dipingo con la testa grande e il corpo piccolo, con la struttura ossea allungata come quella degli adulti. Così nasce l’ibrido inquietante tra la bambina e la donna, che possiede sia la malizia dell’infanzia sia quella dell’esperienza, della vita. Rappresento ciò che sono le donne: figure diaboliche e tentatrici anche nella loro apparente dolcezza. Le dipingo perché le amo, sono una parte di me.

Che rapporto c’è tra la pittura e la moda?
Sono la stessa cosa, per me sono una passione irrefrenabile. Qui è tutto perfetto, si annulla la scansione del tempo storico e la bellezza è, e resta, un ideale irraggiungibile, che per questo ci affascina.

Le sue “vergini suicide”, tanto per citare il film di Sofia Coppola, rivelano un interesse anche per la cronaca nera?
No, penso che rivelino ciò che sono in realtà: l’incontro con il desiderio nella sua contraddittoria purezza mai innocente.

Lei ha tenuto una mostra a New York, alla Vanina Holasek Gallery, mostra che poi ha portato anche a Basilea?
La mostra a New York è stata prima di tutto una grande esperienza di vita, perché si cresce moltissimo quando si ha la possibilità di confrontarsi all’estero. La personale a Chelsea ha rappresentato un momento di passaggio determinante: all’estero ci si rende conto del ruolo culturale che ha l’arte contemporanea, mentre in Italia più del merito e delle qualità dell’autore conta il sistema dell’arte organizzato dal mercato. Ora mi sento più consapevole della mia pittura elaborata in solitudine per anni, senza mai distrarmi dal fascino della forma e del colore. Nel tempo ho elaborato i miei codici rappresentativi: anche quando andava di moda la video-arte, e sarebbe stato più facile seguire l’onda delle installazioni multimediali, non ho mai tradito la pittura. A New York ho esposto i miei scenari dell’inquietudine con ambientazioni dall’atmosfera romantica, all’inglese, accompagnate da una colonna sonora “meteorologica” creata da me per l’occasione, e ho dipinto l’intera galleria di celeste e in toni di semioscurità; mi hanno detto che la mostra è piaciuta.

Secondo lei, la pittura figurativa è tornata ad essere “in”?
La pittura è, e sempre sarà.

Le opere di quale artista contemporaneo acquisterebbe per la sua collezione privata?
Quelle di Olafur Eliasson.