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Dattola, le sculture surrealiste del Fagiolo magico




Stile arte intervista Umberto Dattola
Iniziamo con una breve scheda anagrafica, come se leggessimo una carta d’identità. Nell’ambito dell’espressione artistica può immediatamente specificare il suo orientamento stilistico ed espressivo?
Sono nato negli anni 70, fin da piccolo amavo immergermi nel gesto creativo nella sua totalità; momenti di introspezione assoluta in cui il tempo e lo spazio perdevano i normali riferimenti per aprirsi all’espressione facendomi dimenticare piccoli grandi affanni. Creavo minuscoli oggetti dall’estetica evocativa, dai significati altri per poter riempire di racconti e sensi un mondo interiore sensibilissimo. Non amavo mostrarli agli altri, ma erano costruiti a mio uso e consumo, usando i più svariati materiali che trovavo in casa o nella natura circostante.
Ecco poi nel crescere ho dimenticato tutto questo, mi sono laureato in economia, ho iniziato a lavorare in un’importante azienda della mia provincia, ma qualcosa non andava e quel piccolo Umberto rimasto dentro di me reclamava spazi di espressione. Così ho abbandonato tutto ed ho imparato a lavorare il legno alla Scuola del Mobile d’Arte di Bovolone. Lì ho imparato l’amore per il bello, l’armonia del gesto creativo, la capacità di espressione artistica che deriva dalla sedimentazione culturale.
Dopodiché ho lavorato come apprendista in diverse falegnamerie del veronese e del bresciano, finché non ho aperto la mia falegnameria nella quale mi sono occupato di arredamento e di design.
Finché un altro campanellino è suonato rivendicando più libertà espressiva svincolata dalla funzionalità, più legata all’espressione ed alla ricerca di sensi.
Quindi se si parla di orientamento stilistico ed espressivo, in realtà non ho molto da dire, non ho la formazione adeguata per poterla definire, è il lavoro manuale che lascia una forte impronta nella mia opera, la volontà è di mostrare l’umanità nel gesto, attingendo da capacità e conoscenza dei materiali di carattere artigianale
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Ci può raccontare imprinting visivi, immagini artisticamente ossessive, che hanno preceduto e assecondato la scelta di intraprendere la strada formativa per diventare artista?
PiĂą che fare una serie di citazioni vorrei raccontare un episodio.
Quando ero studente delle scuole elementari, fui condotto in gita scolastica a visitare le incisioni rupestri della Val Camonica insieme alla mia classe.
Non so bene cosa successe, ma quei segni istoriati sulla pietra, quel linguaggio semplice, ma evocativo, quei simboli stilizzati, ma che coglievo profondissimi, produssero un profondo shock in me. La suggestione mi bloccò rendendomi incapace di partecipare ai giochi dei miei compagni ed alle conversazioni. Provavo persino una strana sensazione dall’interno vicino ad un mal di pancia, ma senza dolore. I miei insegnanti accortisi del cambiamento del mio stato spiegarono il tutto come un malore. In realtà quelle immagini si impressero in me comunicandomi tutta la loro forza espressiva. Scoprii più tardi che esse costituirono il materiale di evocazione di uno dei santuari più estesi, importanti e frequentati della preistoria.
La formazione vera e propria. Dove e su cosa ha particolarmente lavorato? Sono esistite, in quel periodo, infatuazioni espressive poi abbandonate? Come si sviluppa e si conclude – nel senso stretto dell’acquisizione dei mezzi espressivi – il periodo formativo?


Ho già accennato che la mia formazione artistica è stata originale e non si è svolta sui normali binari scolastici ed accademici.
Dopo la laurea in economia, ho frequentato la Scuola del mobile d’Arte di Bovolone. Ho poi acquisito le tecniche di lavorazione del legno e non solo, lavorando in diverse aziende artigianali, finché ho spostato la ricerca all’interno di una mia attività che ho chiamato Sensibili al Legno, affiancata nel tempo dall’attività di designer in Clab4design.
Le mie capacità espressive hanno quindi origini autodidatte, ed hanno caratteristiche di artigianalità spiccate. Ne consegue che i miei primi riferimenti originano da questo mondo. Ho ammirato da giovanissimo le opere scultoree di Rivadossi, esposte anche al Moma, poi mi sono fatto affascinare dall’opera di Giacometti, attualmente la mia attenzione ed ispirazione è rivolta ad Oki Sato artista-designer giapponese dello studio Nendo. Mio ultimo invaghimento è per l’artista cinese Shao Fan la cui leggerezza e profondità d’opera mi ispira molto.
Nell’ambito dell’arte, della filosofia, della politica, del cinema o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso, in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?
Se guardo alla mia opera, al mio progetto EVNI ovvero Evento Vivificante Non Identificato, in cui grazie alla forza delle passioni umane ed in concomitanza con un evento particolare che sembra tragga origine da suggestioni collettive, gli oggetti prendono vita muovendosi verso l’alto, non posso fare a meno di riconoscere le Junghiane giovanili letture.
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Gli esordi come e dove sono avvenuti? Ci può descrivere le opere di quei giorni e far capire quanto e come le stesse – anche per opposizione – abbiano inciso sull’attuale produzione?
In realtĂ  se si tralascia la poco significante attivitĂ  artistica che ho portato avanti da sempre per puro diletto, quasi come un’appendice della mia esistenza, il mio esordio artistico è recentissimo. Durante l’inverno 2011/2012 sono stato invitato a partecipare ad una collettiva con un’opera che sarebbe stata contenuta in una tavola 70×70 cm. Ricavai da pezzi di radice lavorate forme di volti nei quali riconobbi persone conosciute in passato, ad esse abbinai una storia di mia invenzione, tratta da particolari di queste persone. Storie leggibili sull’opera con i codici QR. Essa è ora esposta alla Bowery House di New York. Da questo quasi esordio, ho mantenuto la voglia di raccontare che ancora pervade il mio progetto piĂą importante, il progetto EVNI.
Sono poi passato a sculture di luce disegnate dalle venature del legno, sottilissimi strati di legno arrotolati ed illuminati dall’interno, esposti in gallerie d’arte della mia città.
Ed ora ecco il progetto EVNI, che mi ha portato rapidissimamente a contatti ben piĂą importanti nel mondo anglosassone e nord Europeo.
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Quali sono stato gli elementi di svolta più importanti dall’esordio ad oggi. Possiamo suddividere e analizzare tecnicamente, espressivamente e stilisticamente ogni suo periodo?
Essendo una carriera brevissima e rapidissima è difficile individuare punti di svolta. Un salto di attenzione vero e proprio c’è stato quando ho davvero lasciato scorrere l’immaginazione, ho osato nelle dimensioni e nelle difficoltà tecniche per raggiungere quelle estetiche che si andavano formando nella mia mente. Ad esempio l’opera “La Sig.ra Pikenz” si alza, inclinata a più di 4 metri, su gambe sottili e lunghissime a reggere una ribalta pesante. Ricordo durante la mia prima esposizione la difficoltà ed il rischio di metterla in piedi con i pochi mezzi a disposizione.
Ci sono persone, colleghi, collezionisti, galleristi o critici ai quali riconosce un ruolo fondamentale nella sua vita artistica? Perché?
Una spinta importante è stata data dalla promozione di Margriet Vollemberg, olandese che ha subito capito la portata del mio progetto EVNI. E poi la Gallerista di Londra Lina Kanafani che ha fortemente voluto la mia opera nella sua galleria, facendo sforzi inaspettati e coraggiosi per proporre le mie sculture nella capitale inglese.
Resta il fatto in realtĂ  che in Italia, poche persone si sono accorte del mio lavoro e tuttora non ho una galleria che nel mio paese mi rappresenti, e questo mi dispiace. Anzi in realtĂ  sono alla ricerca delle persone giuste per la veicolazione delle mie opere anche in Italia.
 

Umberto Dattola davanti a una delle sue realizzazioni
Umberto Dattola davanti a una delle sue realizzazioni

Materiali e tecniche. Ci può descrivere, analiticamente, come nasce una sua opera del periodo attuale, analizzandone ogni fase realizzativa, dall’idea alla conclusione?
Il progetto EVNI investiga i sentimenti delle cose, se essi vivano di vita propria o se invece si nutrano delle passioni delle persone più a contatto con loro continuandole nel tempo. Ecco perché utilizzo mobili antichi o semplicemente vecchi perché in essi è contenuta la storia di quelle persone che hanno posseduto quel mobile.
La mia ricerca comincia quindi nei mercatini, dagli antiquari o semplicemente dai rigattieri. Non scelgo i pezzi più belli o pregiati, semplicemente quelli che più riescono ad evocare in me racconti ed emozioni. Li lascio decantare per lungo tempo nel mio laboratorio, lanciando occhiate furtive, immaginando per loro le forme ed i racconti adeguati. Una volta che trovo l’ispirazione, prendo in mano il mobile e comincio a modificarlo. Questo è un momento molto intenso, qui si sente la storia, le mani che lo hanno costruito, gli sforzi fatti, le abilità e la passione ancora viva e presente in questi manufatti. Con profondo rispetto effettuo tagli e modifiche, aggiungo elementi armonizzandoli al tutto, cercando di cogliere dalla tradizione elementi per immaginare un nuovo futuro.
L’emozione più forte è quando un’opera EVNI viene messa in piedi. Ci sono brevi istanti, se il risultato dell’opera è soddisfacente, in cui tutto si ferma, anche la mia irrequietezza, i contorni si affievoliscono, il respiro si fa più ampio ed i piccoli grandi affanni (ve lo ricordate Umberto da piccolo?) scompaiono e per brevi infinitesimali istanti provo l’emozione di far parte di qualcosa più grande di me. Ecco, tutto il mio lavoro, gli sbattimenti, le tribolazioni, la fatica, i sacrifici valgono quei brevissimi istanti in cui il mio cuore si placa.


Ha gallerie di riferimento? Dove possono essere acquistate le sue opere?
Si ho persone che promuovono il mio lavoro, ma purtroppo solo all’estero. Attualmente sto concordando anche una mia presenza a Miami negli Stati Uniti, ma in Italia, forse per timidezza mia nel propormi, non ho una galleria di riferimento.
Eventuali indirizzi o numeri di contatto:
Umberto Dattola
Lab: via Fonte 3 – 25050 Ome (BS)
Tel. +39 338 1312327
www.umbertodattola.it
info@umbertodattola.it
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