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Diffamazione a mezzo quadro: come Michelangelo umiliò Soderini


Anche dipingendo si può offendere o diffamare. E il pennello ferisce quanto la spada.
La storia dell’arte trabocca di artisti che misero alla berlina i contemporanei, talora con punzecchiature, talvolta con stoccate feroci. E spesso pagarono cara la “lesa maestà”.
Il vezzo di beffare i “nemici” è antico. Basta pensare alle allegorie del Botticelli o alle caricature di Brueghel e Duerer, ai dipinti di Goya che nel ciclo degli Alienati ironizza su vizi e scandali della corte spagnola.
Antica è la maldicenza: Apuleio e Petronio, Boccaccio, Machiavelli, Dante e Casanova ne sanno qualcosa.
Noie si ebbero anche con gli autoritratti. Non certo quando Raffaello si dipinse nella “Scuola di Atene”, ma piuttosto quando il volto di Michelangelo apparve nel “Giudizio Universale” (lo si vede nella pelle vuota esibita da San Bartolomeo scorticato). Anche se scuoiato vivo dalle critiche sulle nudità avanzate da Pietro Aretino, il piangersi addosso non fu gradito. Figuriamoci poi quando decise di passare all’attacco.
A questo proposito, ecco, alla spiccia, qualche stoccata pittorica in tema di beffe o diffamazioni.
Michelangelo e Soderini
Pier Soderini e Biagio da Cesena furono le vittime illustri di Michelangelo. Mentre l’artista lavorava alla Cappella Sistina, subì alcune critiche da Soderini. Michelangelo, successivamente, aggiunse un nuovo personaggio agli affreschi, ovviamente nudo, il cui viso era quello del suo detrattore.
Il Buonarroti aveva, del resto, il dente avvelenato con il Soderini dai tempi del “David”. Siamo a Firenze. Colui che allora era il Confaloniere di Giustizia, giunge in piazza mentre Michelangelo è al lavoro e giudica il naso della statua un po’ grosso, come racconta Vasari. Con arie da intenditore suggerisce ritocchi al giovane artista. “Forse avete ragione, eccellenza”, risponde Michelangelo. Recupera dal ponteggio una presa di polvere di marmo e ironicamente finge di assestare il naso.
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Anche Biagio da Cesena, maestro di cerimonie di Papa Paolo III Farnese, aveva biasimato le nudità rappresentate da Raffaello. Osservò che questa non era un’opera che potesse figurare nella cappella del Papa ma risultava degna di campeggiare nelle “stufe d’osteria”. Così gli chiese di coprire le “pudenda”. Michelangelo per ricordare il suo censore si divertì a illustrare l’invettiva di Ezechiele: “Increduli, ribelli, impostori, scorpioni che aspettate per pentirvi”.
E nelle sembianze di Minosse, con orecchie d’asino e torace avviluppato da un serpente che gli morde i testicoli, castigò Biagio da Cesena. Il cerimoniere non ebbe soddisfazione nemmeno dal Papa: “Se t’avesse messo nel purgatorio, farei di tutto per levarti; ma nell’inferno non posso fare nulla” gli disse.
Purtroppo il povero Michelangelo (ormai morto) venne censurato, come tutti ben sappiamo, nel 1564, un anno dopo la fine del Concilio di Trento. A Daniele da Volterra toccò coprire la nudità, tanto da passare alla storia con il soprannome di “Braghettone”. E per fortuna le sue tempere coprirono ma non fecero perdere l’affresco originale. Solo trattando Santa Caterina d’Alessandria e di San Biagio distrusse l’affresco e ridipinse le figure.