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Dipinti nella torre: feci e sangue per i fumetti cinquecenteschi del prigioniero innamorato





Nel 1947, a Spilamberto,in provincia di Modena, in seguito a lavori di consolidamento del Torrione medievale danneggiato durante il secondo conflitto mondiale, sotto l’ultima rampa di scale fu scoperta una cella di appena mt. 1,20 x 2,00, con le pareti interamente ricoperte di iscrizioni e disegni rossastri, come in un fumetto.
Era l’angusta prigione a cui messer Filippo aveva affidato il racconto della sua triste storia
d’amore: “ Un giorno, singiori – comincia la lacrimevole storia, io stava qui per li fatti miei e non
dava a nessuno fastidio. Bisongia che ve lo dica”… – scrive, quale incipit del suo racconto.
La leggenda
E’ nata così la leggenda che narra di un giovane di nome Filippo, vissuto nel secolo XVI che, giunto a Spilamberto, vi sostò facendo commercio di stoffe preziose. Conobbe la bella castellana ed il suo cuore fu preso (“ le amorose fiamme il cor mi prese” ) dalla candida figura della dama che ricambiò il sentimento.Tra i due giovani nacque una storia di incontri fugaci e proibiti. Ma il loro non fu solo un amore platonico, perché concepirono un figlio e, purtroppo, furono
scoperti. Il severo padre rinchiuse la giovane in un convento, mentre messer Filippo venne gettato
nella cella più segreta della torre che prendeva luce da un’apertura piccolissima, grande come un
mattone ed invisibile dall’esterno. In attesa del supplizio finale, sui muri della piccola prigione, scrisse la storia della sua vita con il sangue – dice sempre la leggenda – tanto che, molti mesi dopo, quando ne uscì per essere
consegnato nelle mani del boia, era ormai più morto che vivo. Più volte aveva scritto “…certamente io a nessuno mai male già feci.” Non fu ascoltato ed andò al patibolo con gli occhi bendati. Da allora Filippo non cessa di lamentarsi, ma solo poche ragazze romantiche, nelle sere d’estate, lo possono udire.
 
prigioniero
Uno studio contribuisce a svelare molti misteri. Nel corso degli ultimi decenni le iscrizioni della cella hanno subito un lento, ma costante deterioramento, tanto che nel 2003 l’Amministrazione Comunale ha incaricato la “Fondazione Cesare Gnudi” di Bologna – istituto per la conservazione dei beni culturali – di effettuare e coordinare uno studio volto alla loro conservazione ed alla valorizzazione della cella stessa.Parallelamente, una ricerca storica e linguistica ha prodotto una interessante ipotesi sulla vera identità di Messer Filippo e sulle cause che lo hanno condotto prigioniero nella torre.
La storia.
Chi era veramente Messer Filippo ? Tutto è molto intricato. Innanzitutto è stata sfatata l’ipotesi che fosse un mercante e marinaio spagnolo innamoratosi della bella castellana perché egli stesso si presenta, nei graffiti: Io sono Filippo detto il Diavolino che mai più son stato in prigione ma la mia vita fu martorizzata …Dona, singiore, la libertà al poverin marchisano. Così scrive sul muro e. più oltre, il nostro si definisce “firmano”, cioè di Fermo, nelle Marche. Correlando nomi, frasi, stemmi ( ad es. quelli dei Della Rovere, dello Stato Pontificio, di casa d’Este, dei Da Varano, Rangoni), tipologia dell’abbigliamento graffiti sui muri con i risultati di ricerche d’archivio, gli studiosi hanno confermato che Filippo visse nella prima metà del Cinquecento e che proveniva, appunto, da Fermo. Da molti altri indizi, fra cui la facilità con cui scrive versi, si ricava poi che era un uomo colto e che conosceva lo stile di corte del Rinascimento. Dagli archivi marchigiani è emerso che un certo Filippo detto il Diavolino – uomo colto, esperto in diplomazia e navigazione – frequentava la corte del Ducato di Camerino ( comprendente anche il territorio di Fermo) durante il periodo della reggenza della Duchessa Caterina Cybo Da Varano ( 1527-1535). La coincidenza di nome e soprannome del protagonista della nostra storia, oltre alla relazione con stemmi nobiliari, non lascerebbe dubbi. In un cartiglio sul muro si legge “sovrana e pure Giulia sua figlia”. La sovrana di cui si parla nei graffiti, quindi, potrebbe essere Caterina Cybo, moglie di Giovanni Maria Da Varano e madre di Giulia.
Una vicenda di intrighi di palazzo e lotte per il potere. Messer Filippo racconta quindi un’ intricata vicenda realmente accaduta nel Ducato di Camerino tra il 1523 ( nascita di Giulia Da Varano) ed il 1535 (fine della reggenza di Caterina
Cybo) e molti disegni, simboli, stemmi e frasi, rapportati a notizie storiche, supportano questa tesi. Nel 1523 dal matrimonio tra Giovanni Maria Da Varano, signore di Camerino, e Caterina Cybo nasce Giulia. Nel 1527 Giovanni Maria muore di peste e come ultime volontà promette Giulia in sposa al figlio di un suo cugino, Ercole Da Varano di Ferrara, imparentato con Casa d’Este. Rimasta sola a governare, Caterina Cybo, nel 1528 rompe il patto fatto sul letto di morte dal marito promettendo segretamente la figlia a Guidobaldo II Della Rovere, figlio di Francesco Maria Duca di
Urbino (il cui stemma è più volte riprodotto sulle pareti della cella) in cambio della protezione dalle mire dei Da Varano di Ferrara, interessati alla reggenza del piccolo stato del Centro Italia. Se trapelata anzitempo, la notizia della nuova promessa di matrimonio avrebbe inevitabilmente provocato le ire della Santa Sede – confinante con il territorio di Camerino – ed in particolare di Papa Clemente VII, la cui famiglia – i Medici, che a suo tempo avevano sostenuto i Da Varano nel consolidamento del loro potere – è in lotta con i Della Rovere. Filippo, quindi, citando Giulia, scrive sui muri della sua prigione sicuramente dopo il 1523. E non solo: ci parla anche di un laccio d’oro che la madre le aveva messo al collo: sicuramente la catenella dorata con cui , per usanza, si cingeva il collo dei promessi sposi e che Caterina, appunto,
mette alla figlia nel 1528 promettendola segretamente a Guidobaldo. Perchè Messer Filippo, marchigiano, viene rinchiuso a Spilamberto?
Dalle frasi graffite sui muri prendono corpo due ipotesi. Prima ipotesi: il nostro Messer Filippo fu fatto imprigionare proprio da Caterina Cybo Da Varano perché a conoscenza della segreta promessa di matrimonio tra Giulia ed un della Rovere contro la volontà del marito, da poco morto. Forse la Duchessa temeva che il “nostro” rivelasse un segreto che avrebbe potuto mettere in crisi la solidità del ducato in un periodo di facili sconvolgimenti politici ed in cui un matrimonio poteva far crollare gli equilibri degli stati. E così lo rende “innocuo” imprigionandolo lontano dalla sua terra. Ma come Messer Filippo era venuto a conoscenza del segreto? Probabilmente era un intimo della Duchessa, forse c’era stata una relazione amorosa tra loro e poi la bella Sovrana si era stancata di lui. In più di una didascalia il nostro
prigioniero lascia trapelare un sincero sentimento amoroso ed amaramente scrive:
“Donna crudele e ingrata/io in lei servire e lei me maltrattare”
“Le amorose fiamme il cor me accende/per tuo amore a le cose mia bella/se questa infelice vita
iqui resta la nostra alo spirito farà ritorno….”
“Sempre la sua figura adorerò/sempre servo devoto sarò”
“ (…) che fo respinto da una dona che non ma voluto vedere (…) volete vedere che questa è una
bella festa/che questa dona ma fatto rompere la testa”.
I Rangoni, i cui stemmi compaiono tante volte sui muri del luogo di sofferenza del nostro narratore, amministrano il territorio di Spilamberto per conto degli Estensi, in quel momento in aperto contrasto con il Papato. Per compiacere alla nobile casa ferrarese, si sarebbero mostrati quindi disponibili ad ospitare un prigioniero eccellente per impedirgli di rivelare un segreto alla Santa Sede. La seconda ipotesi – sempre riconducibile ai fatti marchigiani narrati – vede Messer Filippo, intimo di Caterina Cybo, reso prigioniero non dalla bella duchessa, ma dai parenti del marito da poco
morto – i da Varano – che tentano un colpo di stato ai danni di Camerino nel 1528 con l’aiuto dei
cugini ferraresi. In questo caso i Rangoni, ospitando un loro prigioniero “eccellente”, avrebbero fatto un favore ai
Da Varano di Ferrara, imparentati con gli Estensi.
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[PDF] Dipinti nella torre


STILE ARTE 2010