Una vita breve quella dello scultore Pietro Freccia (1814-1856), una vita dedicata al marmo fin dai primi anni, una vita che si stava aprendo alla fama e al successo, ma che fu interrotta tragicamente all’età di trentadue anni, in seguito a una caduta accidentale da un ponteggio sul quale stava lavorando per portare a termine il noto Monumento a Cristoforo Colombo, posto in piazza Acquaverde a Genova. Eravamo nel 1854; dopo due anni, per le gravi lesioni subite, moriva. La crudeltà del destino non gli permise di proseguire su un cammino promettente, con le sue mirabili opere, nate sulla scia del lessico magistrale di Lorenzo Bartolini, nelle quali, però, l’attenta e puntigliosa analisi del vero, pur con un impianto di matrice classica, avrebbe portato a diversi esiti stilistici. Ed è proprio al cospetto di una delle sue opere, Amore e Fedeltà, del 1840, attualmente conservata alla Galleria di arte moderna di Palazzo Pitti a Firenze che si può comprendere in maniera esaustiva il linguaggio dell’artista. Un fanciullo, personificazione di Amore, appare seduto su un tronco ideale mentre rivolge lo sguardo, velato di lacrime trattenute, verso la Fedeltà, rappresentata da un cane esanime posto ai suoi piedi. La faretra con tutte le frecce viene abbandonata. Amore non può più colpire con i suoi imprevedibili strali.
Il tema anacreontico, così come la costruzione strutturale e stilistica della figura non si discostano dai dettami della poetica neoclassica anche se un fremito caldo e familiare percorre dal suo interno l’algido marmo, rendendo tangibile il dolore umano dell’alato personaggio mitologico che soffre visibilmente al cospetto della figurazione, reale e tangibile, della Fedeltà, un cagnolino che nell’ultimo anelito di vita sceglie di appoggiare la testa sul piede del fanciullo, ricercando in quest’ultimo contatto fisico un approdo sicuro all’incerto vagare che la vita a tutti noi impone.
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Dolce, sublime Amore che scegli la Fedeltà. Un cane si accuccia al tuo piede
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