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E Füssli creò Batman



Nelle opere dell’artista, il sogno genera esseri fantastici dotati di superpoteri. Costumi fasciantissimi e aerodinamiche tutine modellano forme fatte per lo scatto, per balzi subitanei che anticipano la cupa apertura alare dell’Uomo pipistrello

di Stefano Roffi

Johann Heinrich Füssli (Zurigo, 7 febbraio 1741 – Putney Hill, 16 aprile 1825) , presenza oscura nel secolo dei lumi, è il pittore de L’incubo, quasi il suo logo, con quel corpo femminile in totale abbandono come un capro su un altare, offerta sacrificale per demoni ghignanti dalle maniere non compite che si appropriano della scena con assoluto disprezzo di secoli in cui la pittura proprio non si era interessata a loro, i messaggeri del non-conscio.

Johann Heinrich Füssli, L’incatenato
Johann Heinrich Füssli, L’incatenato

 
Poche le eccezioni, prevalentemente di valenza religiosa: scene misticamente enfatiche o premonitrici come la Dormitio Virginis, il Sogno di Costantino, di sant’Orsola o ancora quello biblico di Giobbe, si contrappongono a sonni di donne in genere soffusamente erotici, come quello rappresentato da Tiziano nel suo Baccanale. Füssli per primo materializza le zone d’ombra inesplorate della psiche umana rappresentando contemporaneamente il sognante e il sogno, in un sistema narrativo interdipendente in cui il sovrasensibile non ha alcun posto, dove le paure, le angosce e le ambizioni di potenza appartengono, pur in fluttuante e disarmonica percezione, alla complessità dell’individuo: in netto contrasto con Blake (vedi nelle pagine successive), convinto che nell’ispirazione artistica si celi la formula del superamento della creazione, la via per l’eterno. Füssli invece separa nettamente la creazione, propria di Dio, dalla creatività, propria dell’artista; ed è da artista che mette in evidenza le pulsioni più misteriose che si celano nell’animo umano.
“Maledetta realtà, non smette mai di disturbarmi” diceva di frequente agli amici, indicando chiaramente in uno stato di consapevolezza la fonte delle proprie inquietanti suggestioni. La soluzione sta nella conoscenza, nella rappresentazione, affrontando un viaggio a occhi sbarrati nell’insondato mondo onirico. Così si rivela nel suo Aforisma 231: “Una delle regioni meno esplorate dell’arte sono i sogni e ciò che possiamo chiamare la personificazione del sentimento: i Profeti, le Sibille, gli Antenati di Michelangelo sono tanti aspetti di un solo grande sentimento. Il sogno di Raffaello è la caratteristica rappresentazione di un sogno, il sogno di Michelangelo è un’ispirazione morale, un sentimento sublime”.

Molto prima di Freud, che possedeva una riproduzione de L’incubo, Füssli individua il collegamento fra sogno e vita reale, inquadrandoli entrambi nella gamma infinita di espressione dell’animo umano, che non si esaurisce nel vivere quotidiano, spesso condizionato e mortificato. La dimensione fantastica è quindi la parte nobile dell’uomo, quella dove tutto si amplifica o si ridimensiona, dove emerge la tendenza al sublime al quale il romantico Füssli non sfugge, sedotto dalle sovrumane grandiosità michelangiolesche che affrancano un confronto paritario fra uomo e Dio, in virtù dell’incomprimibile potenzialità di grandezza scoperta col sogno. La palestra spartana di Michelangelo lo mette a confronto con creature sospese fra lo stato umano e uno stato di potenza super-umano, dove la muscolarità si combina con espressioni comprese nel rimuginio di un destino ineffabile e col rigore di un fine superiore. Lo spunto letterario è il pretesto per l’erompere di una fantasia inquieta e visionaria, alimentata dal mito della “terribilità” del Buonarroti, di un eroismo drammatico ambientato tra ombre sinistre e spazi cupi dove si confondono dimensioni terrene, fisiche e dimensioni psichiche.
Johann Heinrich Füssli, Bonconte da Montefeltro
Johann Heinrich Füssli, Bonconte da Montefeltro

 
E’ così che il sogno genera creature fantastiche dalla mefistofelica eleganza, dotate di superpoteri; nel passaggio onirico raffigurato da Füssli nelle sue opere, l’alter-ego del sognante acquista onnipotenza eroica, ipertrofie muscolari si innestano atleticamente in un allestimento scenico iperbolico e turbano per l’ambiguità imprevedibile dello scopo: costumi fasciantissimi e aerodinamiche tutine modellano forme fatte per lo scatto, per balzi subitanei e aggressivi che, come evoluzione novecentesca, anticipano la cupa e fascinosa apertura alare dell’insondabile Batman piuttosto che il buonismo impegnato e un po’ scout dell’amico difensore civico Superman. I personaggi di Füssli proclamano, uccidono, muoiono sempre in maniera altisonante, sempre con gesti grandiosi. Si avverte la presenza di un perfido, demoniaco regista: sono eroi pilotati da comandi esterni, necessitati da un volere arcano quanto imperioso, personaggi scultorei, monumentali, sbilanciati, che sembrano emergere da un’oscurità che è fisica e psicologica insieme; atleti galvanizzati, ideali figuranti di un immaginario sadico, che inarcano, torcono, allungano, stirano corpi e arti, derivati da Parmigianino per il virtuosismo fisico e da Correggio per la sensualità, però crudele e ambigua. Le atmosfere sono quelle irreali e spettrali del Manierismo.
 
E’ un machismo tutto muscoli di titanici supereroi, tanto gonfi di anabolizzanti quanto docili al volere di perfide donzelle o di matrone imperiose e dominatrici. La crudeltà indifferente femminile è l’arma che abbatte queste super-creature, intontendole come se fossero desiderose di una riottosa sottomissione; contro l’umiliante supremazia della donna, che – come l’omologo maschile Sansone – detiene nelle ardite architetture tricologiche la centrale della propria forza minacciosa, la prostrazione maschile risulta addirittura imbarazzante, ai limiti di un masochismo edipico spietatamente rivelato dalla franchezza del sogno. Macbeth, vicino al pentolone stregonesco, nella propria potenza fisica da decatleta non trova forza sufficiente per reagire al dominio psicologico delle streghe, non riesce ad uscire da uno status nevrotico di autocontemplazione e autocompiacimento nell’interrogarsi sulla propria soggezione. Si avverte la tensione verso un dovere supremo quanto inconoscibile, sibilato con formule arcane da megere schierate in ordine di ghigno a formalizzare anatemi, verità insopportabili che affiorano grazie al vaticinio di calderoni avvampati, destini ostili e incontrovertibili sadicamente rivelati per accelerare il dramma. Non ci si può opporre, non c’è gloria per il povero Macbeth che, trattato come uno stangone mirabile quanto a cesellatura fisica ma dall’espressione di ebete smarrimento, diventa il simbolo dell’individuo isolato, recisamente respinto da un mondo estraneo e in preda ad una sorta di vertigine nichilista. L’alternativa per il personaggio maschile è soavizzarsi e mettere da parte il proprio impeto comunque destinato a fallire; così il dolce Oberon si avvicina a Titania addormentata con la delicatezza di un’aura mattutina e la cura di un nume tutelare, incerto se restare impietrito nella riuscitissima sospensione danzante o compiere la propria ardimentosa impresa di stillare il succo di un fiore sulle palpebre della dormiente. Che eroe! Però è uno dei pochi gesti riusciti ad un personaggio maschile nei dipinti di Füssli, altrimenti sempre relegati al ruolo di inconcludenti titani meditabondi sulla propria incapacità di affermarsi, di eterne promesse con la mania dell’autosgambetto. In un celebre schizzo del 1770-78, l’artista viene colto dallo sgomento davanti alla grandezza delle rovine antiche, preda della prostrazione derivante dall’impossibilità di misurarsi da pari a pari. Anche qui un uomo frustrato che si duole della propria mancata grandeur.
Johann Heinrich Füssli, Il duca di Gloucester in attesa di lady Anne  alla cerimonia funebre di re Enrico IV
Johann Heinrich Füssli, Il duca di Gloucester in attesa di lady Anne
alla cerimonia funebre di re Enrico IV

Non a caso, uno dei testi più frequentati da Füssli nel suo avventurismo di illustratore letterario è il Paradiso perduto di John Milton, con la sua mistica dell’angelo caduto, apologia della ribellione sconfitta in cui la superbia luciferina, pur punita sul piano morale, trova riscatto in una visione estetizzante. Il disperato e formidabile salto dalla barca di Guglielmo Tell (1788-90) nello sfuggire ad un destino senza speranza, slanciandosi in perfetta diagonale verso la libertà con un allungamento del corpo degno di una finale olimpica di salto triplo, fa del proprio eroismo un fermo-immagine di teatrale e compiaciuta plasticità, dove la posa prevale sul fine, l’effetto sull’efficacia. Gli epigoni supermen novecenteschi, da Tarzan a Batman, mettono tuttora a frutto con lucrose royalties l’invenzione di quel balzo oltre l’immaginazione. Con la commercializzazione e la grande diffusione delle incisioni tratte dalle sue opere e la forzata caratterizzazione dei personaggi, la narrazione seriale füssliana delle grandi saghe letterarie e fantastiche si fa pop, e anticipa in qualche modo il fumetto (gotico) con le sue storie a puntate dal magnetico meccanismo di coinvolgimento e di fascinazione in abbonamento. Mantellucci svolazzanti come ali di pipistrello pronte a dispiegarsi nella notte per imprese memorabili o a ripiegarsi dopo avere turbato la tranquillità di sonni disonesti appartengono a culturisti dalla potenza solo estetica, in realtà fragili simulacri di un desiderio di potenza sognata, vissuta oniricamente con tutte le simbologie che Freud avrebbe spiegato. Nelle tenebre marcite e nella penombra primordiale dei quadri di Füssli, gli eroi e i fantasmi procedono con gambe a compasso, con la sicurezza di creature avvezze alla notte che rischiarano con le proprie venefiche fosforescenze, gettando un lampo su squarci di vita modesta o tormentata che il sogno supereroico consente, almeno in pittura, di ribaltare. Le lunghe e raggelanti silhouettes di questi oscuri personaggi, dopo un funereo e terrificante passaggio in film espressionisti come Il gabinetto del dottor Caligari (1919) di Robert Wiene, Nosferatu il vampiro (1922) di Murnau, Metropolis (1926) e M il mostro di Düsseldorf (1931), entrambi di Fritz Lang, andranno a infestare i comics americani, inaugurando la corrente stilistica della “Linea scura”, il fumetto delle ombre, le ombre dell’anima e della coscienza/incoscienza contemporanea.
E’ proprio nel Batman creato da Bob Kane e Bill Finger sulla falsariga del già affermato Superman che si può individuare l’esempio più importante di reinterpretazione pop statunitense della corrente romantico-espressionista europea di derivazione füssliana; è un uomo che si fa superuomo pur essendo privo di reali poteri sovrumani, ricollegandosi al mito popolare del vampiro che riscatta nelle tenebre, svolazzando, il torpore diurno di pensionato narcolettico ed anemico. Segnali di questa paternità supereroica non sfuggono nel Bonconte da Montefeltro (1774), dove Füssli fa librare la lotta tra due creature sospese fra l’abisso e l’elevazione celeste, fra salvezza e perdizione. L’incatenato (1770-71), avviluppato in una posa che, nonostante i ceppi, annuncia un attacco senza scampo, non ci sorprenderebbe se dai polsi liberasse le robuste ragnatele poi tramandate a Spiderman.