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Faustino e Giovita forti come Castore e Polluce. L’iconografia binaria dei santi


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Durante il Rinascimento l’immagine binaria dei Patroni cittadini  bresciani costituisce il potenziamento del concetto di simmetria nella rappresentazione. E nel Bresciano si assiste a una sovrapposizione mitica dei due martiri con le figure di Castore e Polluce
L’analisi iconografica venne compiuta nel corso della mostra Prodigiosi trionfi, dedicata alle figure dei santi Faustino e Giovita. Durante l’evento, promosso e realizzato dall’Assessorato alla cultura del Comune e da Brescia Musei, per la cura di Elena Lucchesi Ragni e Maurizio Bernardelli Curuz, è stata presentata una ricerca di Curuz che indaga la vicenda dei patroni cittadini sottolineandone i rimandi al mito classico dei Dioscuri. La proponiamo ai nostri lettori.

Testimonianze storiche ci confermano l’esistenza di due giovani cavalieri, convertiti al Cristianesimo e morti martiri tra il 120 e il 134, al tempo dell’imperatore Adriano. La tradizione arricchisce di particolari il loro martirio. La Legenda maior, e successivi scritti agiografici, come ad esempio i Prodigiosi trionfi di Andrea Manenti, pubblicati nel 1673, ci raccontano che Faustino e Giovita erano fratelli, provenienti da una nobile famiglia pagana di Brescia ed appartenenti all’ordine equestre.

Attratti dal Cristianesimo, dopo lunghi colloqui con il vescovo, sant’Apollonio, chiedono e ottengono il battesimo. Si dedicano subito all’evangelizzazione delle terre bresciane e per lo zelo di cui danno prova Apollonio nomina Faustino presbitero e Giovita diacono. Il successo della loro predicazione li rende invisi ai maggiorenti della città, i quali invitano il governatore della Rezia, Italico, ad eliminare i due col pretesto del mantenimento dell’ordine pubblico. Italico ottiene dall’imperatore Adriano l’autorizzazione alla persecuzione. E’ l’imperatore stesso, giunto a Brescia al rientro da una campagna militare nelle Gallie, a chiedere ai giovani di sacrificare al dio Sole.

Al loro rifiuto, ordina che siano dati in pasto alle belve del circo, ma le bestie si accovacciano mansuete ai piedi dei giovani, e molti degli spettatori proclamano la propria fede in Cristo. Tra di loro Afra, la moglie di Italico, che conoscerà ella stessa il martirio.

Adriano, infuriato, comanda che Faustino e Giovita siano scorticati vivi e messi al rogo. Entrambe le torture, come pure quella terribile dell’eculeo, non producono però alcun effetto. Trasferiti a Roma, i due fratelli vengono portati al Colosseo, dove di nuovo le belve si ammansiscono ai loro piedi. Inviati a Napoli per nave, durante il viaggio Faustino e Giovita sedano una tempesta. A Napoli vengono abbandonati in mare su una barchetta, ma gli angeli li riportano miracolosamente a riva. L’imperatore ordina allora il rientro dei giovani a Brescia, dove il 15 febbraio il prefetto eseguirà la sentenza di decapitazione, poco fuori di porta Matolfa. Il loro culto si diffuse verso l’VIII secolo, periodo in cui fu scritta la leggenda. Il patronato su Brescia fu confermato poi dalla visione dei due santi che combattevano a fianco dei bresciani contro i milanesi nello scontro decisivo che ruppe l’assedio alla città, il 14 dicembre 1438. Un evento da cui conseguì un forte rilancio della devozione per Faustino e Giovita.

L’immagine binaria dei due santi costituisce, nel periodo rinascimentale, il potenziamento del concetto di simmetria nella rappresentazione. Essi costituiscono un perfetto contrappeso formale. Si presentano in forma speculare, così da divenire elementi compositivi e architettonici che conferiscono al dipinto o al bassorilievo una notevole stabilità. Una stabilità formale che diviene una stabilità sostanziale. Una città protetta da due santi fratelli, che troviamo sempre nella forma di cavalieri posti a guardia di Brescia, una scorta armata di spada e di palma divina che segna un cerchio di amorevole benignità. Essi appaiono associati. E, in forme compositive più complesse, uno al lato destro e l’altro al lato sinistro del cuore della scena. Sono differenziati da pochi elementi. Così è facile intuire che Giovita è un’emanazione, una specializzazione gemellare di san Faustino, una sua estensione che diviene potenziamento delle straordinarie capacità protettrici del “fratello maggiore”.

Risulta molto interessante sottolineare, sotto il profilo iconografico, quanto questa forma binaria si rifaccia a modelli già presenti nell’iconografia bizantina. Immagini gemellari, che rappresentano il fraterno raddoppio della figura devozionale, possono essere individuati in altre salde coppie dell’agiografia cristiana, come nel caso dei fratelli santi Cirillo e Metodio, evangelizzatori del mondo slavo, di Cosma e Damiano, protettori dei medici, Boris e Gleb, principi e protomartiri della Russia, figli di san Vladimiro, o ancora, i gemelli san Benedetto e santa Scolastica.

Durante il Rinascimento assistiamo, nel Bresciano, a una sovrapposizione mitica di Faustino e Giovita – i quali agirono, con il miracolo del 1438, nel secolo chiave del recupero della classicità – con le figure di Castore e Polluce, i figli di Giove e di Leda. Non poteva sfuggire ai pianificatori dei dipinti dedicati ai nostri santi una serie di elementi comuni con i mitici gemelli dell’antichità. A differenza di altre coppie di fratelli o di gemelli – pensiamo a Romolo e Remo o, nell’ambito della tradizione biblica, a Caino ed Abele -, coppie nelle quali, per ristabilire un’unità terrena, è necessaria la morte di uno dei due, nei santi Faustino e Giovita assistiamo al divino potenziamento del due, come accade, appunto, a Castore e Polluce. Castore e Polluce erano argonauti, eroi, difensori del bene. In genere, nell’iconografia più diffusa, vengono accompagnati da un cavallo e, a volte, recano con sé una lancia. Furono rappresentati quasi ininterrottamente sul rovescio della principale moneta romana, il denario, dall’incerta data della sua emissione (che i più ritengono avvenuta nel 211 avanti Cristo) fino alla seconda metà del II secolo dopo Cristo. Sovrapposizioni mitico-religiose tra Faustino e Giovita e fratelli leggendari del mondo classico sono riscontrabili anche in altri casi. Come quello del medaglione di un soffitto cinquecentesco del palazzo che ospita la Pinacoteca Tosio Martinengo.

Qui troviamo due argonauti alati, simili tanto ai Dioscuri quanto ai patroni di Brescia. Il dipinto murale, rinviabile forse all’attività dei pittori Pietro, Stefano e Cristoforo Rosa, rappresenta Zete e Calai, figli di Borea e d’Orizia, con indosso un’armatura romana e molto somiglianti ai nostri due santi, mentre scacciano il male, incarnato in due arpie. Le figure di Faustino e Giovita, in alcuni casi dotati di palme del martirio, trasformate in ali, come avviene nell’edicola rinascimentale al Roverotto e sulla torre campanaria di Sarezzo, sono avvicinabili iconograficamente, oltre alle figure degli argonauti, agli arcangeli Michele – colui che, con la spada, insorge contro Satana, difensore degli amici di Dio e protettore del suo popolo – e Gabriele, uno degli spiriti che stanno davanti all’Onnipotente. Questo intersecarsi di citazioni tra martirologio cristiano, antichità classica e mondo biblico conferisce ai nostri santi un’aura di grande potenza.

La specularità di cui si parlava è evidente anche in molte opere con le quali i maggiori artisti bresciani hanno celebrato i santi patroni. A cominciare da Vincenzo Foppa, che nella Pala dei Mercanti, facente parte delle collezioni della Pinacoteca Tosio Martinengo ma oggi al Museo Diocesano, colloca Faustino e Giovita ai lati della Madonna con il Bambino, con la palma del martirio in una mano ed un libro nell’altra, e vestiti, anziché con il più tradizionale abbigliamento militare, rispettivamente con la casula sacerdotale e la dalmatica di diacono. La tela, realizzata con ogni probabilità nei primi anni del Cinquecento, quando Foppa era già vecchio, è all’insegna di un’assoluta semplificazione formale, cromatica e luminosa, nella quale si è voluto individuare l’influsso di Bramantino. Spettacolare è il racconto che ci propone il Moretto con le due ante d’organo della chiesa di Santa Maria in Valvendra a Lovere, eseguite nel 1518. “Da che vediamo aperte le ante dell’organo, miriamo sopra balzanti destrieri, con portamento gentile, i due santi cavalieri Faustino e Giovita, con bandiere in mano che sventolando s’aggirano con belle pieghe, figure a guazzo della degna mano del Moretto” osservava il Paglia. Opere straordinarie, di assoluta felicità visiva. Opere che entusiasmarono un grande storico dell’arte quale Longhi, che così descriveva ad esempio le livree dei due protagonisti: “Una semplice distesa d’oro nel san Giovita; e quel dolce gioco, nel santo Faustino, di due quadri d’oro e due cilestri, come due scacchi di cielo e due di sole”. Alla metà del secolo risale la Pala di san Domenico del Romanino, pure al Museo Diocesano. La Vergine incoronata dalla Trinità incombe gloriosamente su uno splendido paesaggio affollato da santi. Faustino e Giovita sono tra questi, ma in primissimo piano, agli opposti estremi del dipinto, inginocchiati nelle loro sfolgoranti armature di soldati e difensori della fede e della città. Anche qui è palese, sia dal punto di vista spaziale che da quello formale e compositivo, la specularità, rafforzata dalla somiglianza dei tratti fisionomici dei due fratelli martiri. La miracolosa salvezza della città ad opera dei suoi patroni, durante l’assedio del 1438, deve la sua più celebre rappresentazione pittorica ai pennelli di Giandomenico Tiepolo. Nell’affresco, realizzato tra il 1754 e il 1755 nella chiesa di San Faustino Maggiore, è descritta la comparsa sulle mura di Brescia dei due fratelli, circonfusi in un disco di luce abbagliante, in assetto di guerra e con le spade sguainate. “Nel mezzo del conflitto – è la cronaca del vicario dell’epoca, Nicola Colzé – furono veduti due personaggi coperti d’armi d’oro, con aspetto minaccioso e quasi divino spargere il terrore tra i nemici e rovesciarli dalle barriere: per cui taluni pensano che, venendo meno le forze umane, i chiarissimi martiri e patroni di questa città abbiano voluto essi medesimi prendere il luogo ed il popolo sotto alla loro tutela”. Una tutela a cui Brescia, nei secoli, non ha mai voluto rinunciare.

Clicca sul link per aprire il PDF della sintesi dello studio di Bernardelli Curuz, impaginato e con le immagini:

[PDF] Faustino e Giovita, santi allo specchio

STILE ARTE 2011