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Giambattista Gigola quotazioni gratis, critica e tecniche




Giambattista Gigola, “Ritratto del conte Girolamo Fenaroli”
Giambattista Gigola, “Ritratto del conte Girolamo Fenaroli”


Giambattista Gigola nasce a Brescia nel 1769 (altre fonti riportano il 1767) da una famiglia piuttosto umile, dimostrando presto una profonda inclinazione al disegno. Come si legge nelle sue Memorie, la prima fase della sua vita viene marcata profondamente da alcuni fatti quali la presenza ingombrante della figura paterna, il conflitto fra il temperamento ‘fantastico’ del giovane e le rigidità educative, il primo impatto con il mestiere artistico avvenuto attraverso una ormai degradatissima struttura di “bottega”, le difficoltà, piuttosto deprimenti, di trovare affermazione, per un giovane votatosi all’arte, all’interno della società provinciale. Si applica alla pittura dapprima come garzone nello studio di un pittore di modesta levatura. Alla morte del padre (1787) e dopo avere subito un furto, trovandosi in una situazione di seria difficoltà economica, fu spinto dalla necessità a dedicarsi all’attività di miniatore ritrattista su avorio, che rappresentava una fonte immediata di guadagno, da quando il gusto del ritratto a pastello e miniato su avorio da voce dominante con Rosalba Carriera e con lo stesso Mengs di un mercato internazionale di altissimo livello, si era generalizzato su un livello di più ampia diffusione media.
Del resto, queste raffinate miniature rispondevano egregiamente alle esigenze di un uso familiare dell’oggetto estetico, connotato affettivamente e di facile lettura attraverso una serie di virtuosismi formali da manuale. Dell’attività di Gigola in questo periodo non restano molto testimonianze, tuttavia tra queste vi è un ritratto femminile che non lascia dubbi in merito al fatto che, oltre alla sua indiscussa abilità manuale, il maestro si dedicava ad una consuetudine ritrattistica consolidata, che guardava sicuramente all’inimitabile maniera della Carriera e alla lucida idealità del Neoclassicismo di Mengs, ma priva di ogni apertura a qualsivoglia forma di ricerca. Fu la scelta di lasciare l’ambiente culturalmente ristretto del territorio fra Bergamo e Brescia, in un primo momento con la frequentazione di Brera a Milano e poi alla volta di Roma (1791) a contrassegnare un decisivo punto di svolta nella definizione della sua originale personalità artistica, caratterizzata da uno stile inconfondibile. La riscoperta di una nuova dimensione dell’antico genera in lui una diversa sensibilità nei confronti della classicità, unita all’interesse per le espressioni delle culture primitive, a ciò va attribuito l’interesse di Gigola per un neoclassicismo non normativo, differente e per certi aspetti alternativo rispetto a quello di Mengs, ancora troppo vincolato ai rigidi dettami dell’accademia. E’ qui che si può rintracciare l’inizio di uno stile particolarissimo, la genesi di un’estrosa declinazione del genere storico, che lo conduce al recupero della dimenticata tecnica della miniatura su pergamena: fu nell’illustrazione dei codici, alternata sempre alla ritrattistica su avorio, che l’arte di Gigola raggiunse la sua espressione più alta ed originale. Nel 1796 il pittore lascia Roma alla volta di Milano e l’anno seguente è di nuovo a Brescia, dove aderisce alla Repubblica cittadina nata in seguito alla rivoluzione giacobina. Dopo un periodo di militanza nella Guardia Nazionale, Gigola deve fare i conti con una nuova realtà e una nuova clientela, quella costituita dagli ufficiali dell’esercito francese, ma anche della vecchia aristocrazia bresciana; risalgono a questo periodo, ad esempio, i suoi noti ritratti di Girolamo Fenaroli e Giuseppe Lechi. Fra il 1799 e il 1800 si stabilisce a Milano, dove presta la sua opera per Gian Giacomo Trivulzio eseguendo per lui ritratti e copie di quadri.
Giambattista Gigola, “Ritratto di Giovanni Boccaccio; veduta di Santa Maria Novella”
Giambattista Gigola, “Ritratto di Giovanni Boccaccio; veduta di Santa Maria Novella”

Nel gennaio del 1802 l’epistolario amoroso di Ugo Foscolo ed Antonietta Fagnani Arese (l’“amica risanata”) documenta un rapporto di consuetudine fra il poeta e il pittore, che infatti riceve l’incarico di eseguire i ritratti dei due amanti, oggi purtroppo perduti. Alla fine dello stesso anno, un po’ stanco dell’ambiente milanese, matura e repentinamente realizza il proposito di recarsi a Parigi, dove soggiorna per un paio d’anni. Qui partecipa con le sue miniature al Salon del 1802 e si dedica allo studio, in parte di aggiornamento tecnico, che lo porta a confrontarsi con i progressi realizzati oltralpe dalla pratica della miniatura su smalto. Il riconoscimento dei suoi meriti, molto rapido, si concretizza con il rapporto di committenza che lo lega a uno dei maggiori mecenati dell’epoca, il Sommariva, per cui esegue diversi ritratti e copie in miniatura su smalto (di grande virtuosismo) dei dipinti della sua ricca collezione. Ritornato in Italia Gigola diviene, a Milano, “ritrattista in miniatura” del Viceré Eugenio de Beauharnais. Negli anni successivi lavora freneticamente, dedicandosi anche all’illustrazione libraria, attività che costituisce un capitolo di grande suggestione all’interno della sua produzione, famose le opere dedicate al Decameron o al Corsaro di Byron. Un grave indebolimento della vista lo costrinse a un certo punto ad un’interruzione quasi totale dell’attività artistica. Morì nel 1841.
Le tecniche e i temi. Sempre spinto da una forte tensione sperimentativa e di ricerca, Giambattista Gigola si misurò con tecniche diverse, dall’olio allo smalto all’acquerello, lavorando su una varietà di supporti, dalla tela al rame, dall’avorio alla pergamena. Nell’opera grafica, invece, mostrava una netta predilezione per la matita su carta, in alcuni casi abbinata all’inchiostro, con acquerello e biacca. I temi più frequentati dall’artista sono stati quelli legati al genere neoclassico e storico, primo fra tutti il ritratto, comunque affiancato dalla buona propensione dell’artista per la composizione a più figure. Per quanto riguarda l’illustrazione di opere letterarie, la tecnica prevedeva l’inserimento di preziose miniature ad acquerello e tempera su pergamena, realizzate con largo impiego di materiali preziosi (lapislazzuli, oro).
Giambattista Gigola, “Ritratto del conte Giuseppe Lechi”
Giambattista Gigola, “Ritratto del conte Giuseppe Lechi”

Le quotazioni e il mercato. Attualmente risulta quasi impossibile reperire sul mercato opere di Giambattista Gigola, che risultano per la stragrande maggioranza in collezioni private. E’ evidente dunque l’estrema difficoltà di attribuire quotazioni di riferimento alle opere di questo artista.
La scelta di orientarsi presto verso il ritratto fu dettata a Giambattista Gigola soprattutto da esigenze economiche: anche se per i canoni della cultura accademica dei primi anni dell’Ottocento la ritrattistica veniva considerata un genere “secondario” rispetto alla pittura di soggetto storico, per i giovani artisti che si trovavano a dover competere tra di loro e con i maestri già conosciuti ed affermati, aveva comunque il vantaggio di offrire maggiori garanzie di lavoro. Per riuscire graditi ai dettami dell’epoca, era necessario seguire precise impostazioni: il dipinto di grande formato aveva generalmente una finalità di rappresentanza e di status, mentre il piccolo formato e la miniatura rivestivano un carattere più intimo, assai apprezzato nelle occasioni in cui i viaggi o le guerre portavano le persone lontano dagli affetti. Furono proprio i piccoli quadri e le miniature a rendere famoso Gigola a Brescia e a Milano, facendolo stimare da una nutrita schiera di committenti che iniziarono a richiederne l’opera.
Diverse sono le tecniche impiegate dal pittore: olio, smalto e acquerello; vari anche i supporti, che vanno dalla tela al rame, dall’avorio alla pergamena. Nella grafica egli utilizzava preferibilmente la matita su carta, a volte abbinata all’inchiostro, con acquerello e biacca.
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