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Gino De Lai



Restauratori al lavoro per recuperare i dipinti dell’artista gardesano eseguiti su tali supporti “anomali” ed oggi a rischio di deterioramento. L’idrossido di calcio come antidoto alla progressiva acidificazione dell’opera

I dipinti di Gino De Lai che presentiamo qui in fotografia prima e dopo l’intervento di restauro conservativo appartengono al ventennio riconducibile agli anni trenta e quaranta del Novecento, periodo nel quale l’artista lavora alacremente, raggiungendo gli esiti migliori della sua carriera. Particolarmente apprezzato dal collezionismo locale, Gino De Lai è un interprete inconsueto ed esuberante della coinvolgente bellezza che il Garda ha sempre esercitato sui pittori. Le opere di De Lai circolano frequentemente sul mercato locale, raggiungendo anche un significativo valore commerciale, che ha innescato purtroppo già da alcuni anni l’interesse dei falsari. Lo stile di questo autore è piuttosto riconoscibile e singolare; la sua è una tecnica diretta e sintetica, talvolta di gran mestiere, talvolta dotata di una struggente poesia.
Le indagini chimiche e conoscitive condotte sulla produzione di De Lai ci hanno portato ad esprimere alcune considerazioni tecniche in relazione allo stato di conservazione dei suoi lavori. L’artista dipingeva prevalentemente ad olio prediligendo come supporti la tavola di legno ed il cartone, non disdegnando tuttavia la tela (che impiegò ad esempio in una serie di quadri realizzati nel 1931 per il Casinò di Gardone). Il pittore acquistava i cartoni di una dimensione standard, normalmente 100×70 cm, che riduceva poi, in studio, a formati più consoni alle esecuzioni da cavalletto. Preparava i supporti personalmente ed in sequenza, cercando di attenuare la porosità del cartone con una stesura a pennello su fronte/retro di colletta da falegname “caravella” disciolta in acqua a bagnomaria; un’operazione che purtroppo li fa apparire attualmente “biscottati” e legnosi.
Anche i colori venivano preparati di persona o con l’aiuto del giovane figlio Franco che, nella bottega, stemperava i pigmenti con l’olio di lino crudo e cotto. Dalle analisi chimiche condotte su questi cartoni è emersa una singolare caratteristica: l’impasto di cellulose e colle che costituiva il supporto, ha rivelato nel tempo lo sviluppo di una notevole acidità. Tale natura chimica, associata ad una preparazione non propriamente ortodossa e ad una cattiva conservazione, ha contribuito ad innescare nei dipinti su cartone un lento ma inesorabile processo di caduta della pellicola pittorica, localizzato soprattutto in corrispondenza dei pigmenti scuri (le terre, strutturalmente più deboli di altri colori). In buona sostanza, quasi tutte le opere di De Lai necessitano di un consolidamento del colore e di un intervento di deacidificazione all’idrossido di calcio. L’intervento di restauro conservativo si è basato principalmente sulla rimozione dello sporco di superficie e sull’asportazione delle vernici ossidate che impedivano la corretta lettura delle opere, caratterizzate da forti passaggi tra luce ed ombra.
Si è dato inizio al consolidamento preventivo della pellicola pittorica con l’ausilio di resina termoplastica (Plexisol P550) sciolta in White spirit a percentuale variabile. Ad asciugatura completata, sono state rimosse le eccedenze di adesivo e si è proceduto alla conseguente operazione di deacidificazione dei supporti, con tamponature a base di idrossido di calcio e successivo mantenimento sotto peso tra fogli di tessuto non tessuto e carte assorbenti fino ad asciugatura totale. Le vernici ossidate sono state eliminate mediante un solvente idoneo (a base di esteri), imbevendo dei tamponcini di cotone con i quali raccogliere i sedimenti. Grazie ad un impasto a base di ceraresina sono state risarcite alcune cadute di pellicola pittorica, poi reintegrate cromaticamente con l’ausilio di colori a tempera ed a vernice. Il restauro si è concluso con la verniciatura protettiva dei dipinti, effettuata impiegando una resina chetonica ad alta stabilità con filtro UV stesa per nebulizzazione.