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Neuroestetica – Ritratti e muscoli facciali. Come percepiamo le espressioni


Luca Francesco Ticini è vicepresidente fondatore del Comitato per la promozione delle neuroscienze di Trieste, membro del Centro per le neuroscienze Brain (Basic Research And Integrative Neuroscience) dell’Università di Trieste, dell’Institute of Neuroesthetics di Londra e Berkeley e della Società italiana di neuroscienze.
di Luca Francesco Ticini

Sento in me un certo potere perché dovunque io sia, avrò sempre una meta: dipingere la gente come la vedo e come la conosco.

Vincent Van Gogh Anversa, gennaio 1886

xx_15Rabbia, felicità, tristezza, paura e sorpresa sono solo alcune delle emozioni che i numerosi muscoli facciali possono esprimere, modellando l’espressione del volto. Noi siamo in grado di riconoscere istantaneamente il loro significato grazie alla presenza costante di alcuni tratti che, universalmente, accomunano tutti gli atteggiamenti, per esempio, d’arroganza o di ferocia. Il viso – piuttosto che qualsiasi altra parte del corpo – pur non necessitando della parola per comunicare, è la fonte più copiosa di conoscenza sulla verità emozionale dell’individuo. Il ruolo così importante che il volto gioca nella nostra vita motiva la ragione per cui, nei diversi secoli e con stili dissimili, molti artisti si sono dedicati al ritratto. Proprio per l’importanza delle diversissime espressioni che si possono disegnare sul viso in ogni momento della vita, la nostra mente impara a riconoscerle e a generalizzarne il loro significato. Per questo motivo una non trascurabile parte del cervello è tutta dedicata alla percezione dei volti. Quale tipo di ritrattistica esalta in modo particolare l’attività di quest’area cerebrale e può essere considerata migliore delle altre in termini neurologici?

A mio parere è la rappresentazione reale del volto: espressività, rivelazione dell’anima e vera identità del personaggio. Non il ritratto dai lineamenti dolci che soddisfa il volere del committente, né quello che cerca la verosimiglianza momentanea. Non tanto quello narrativo che, con la presenza di altri elementi, distrae l’attenzione dai volti, ma il dipinto che li mette in risalto su uno sfondo informe, indefinibile che non turba e distoglie la nostra percezione, come in alcuni dipinti di Rembrandt e Velázquez. Opere fisiognomiche, tremendamente intense, che tracimano profonda emozione sono quelle dell’ultimo Fra’ Galgario, che non solo raffigura sulla tela il suo giudizio, ma che, con tratti essenziali, traccia la sintesi ideale che permette a chiunque guardi la sua pittura di riconoscerne la psiche dell’uomo attraverso lo spazio e il tempo.

In Van Gogh il volto segnato dai piaceri e dispiaceri vissuti subisce persino deformazioni che descrivono con più carattere il personaggio, quasi a divenire una caricatura grottesca dove i tratti essenziali, costanti e generali, fanno dell’opera un capolavoro in grado di muovere gli animi. Nei numeri precedenti di “Stile” ho cercato di porre l’accento su come la mente elabora la percezione visiva attraverso moduli diversi (colori, movimento, spazio…), al pari di un’orchestra dove i singoli strumenti suonano insieme, pur mantenendo la propria individualità. La percezione dei volti è quindi indipendente dalle altre, e in questo contesto le cellule si attivano solo ed esclusivamente alla presenza di facce umane e animali. Quando quest’area del cervello è danneggiata, le espressioni possono perdere significato, oppure non si è più in grado di attribuire un nome alle fattezze di persone conosciute o, ancora, la coscienza di vedere i volti è perduta completamente, cosicché non sono più riconosciuti come tali. Per questo motivo, è difficile pensare che un artista così colpito possa avere un senso estetico legato alla pittura ritrattistica, poiché la sua percezione delle espressioni facciali è compromessa. Se Matisse o Fra Galgario avessero sofferto di questo tipo di lesioni non sarebbero stati in grado di dipingere ritratti, perché la bellezza della pittura ritrattistica, per loro, non sarebbe semplicemente mai esistita.

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