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Il Crocifisso di Ognissanti – La tecnica di Giotto, tra oro, tempera e cammei


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GIOTTO, Crocifisso di Ognissanti, 1315 ca., tempera e oro su tavola, cm 468 x 375, Firenze, Chiesa di Ognissanti
GIOTTO, Crocifisso di Ognissanti, 1315 ca., tempera e oro su tavola, cm 468 x 375, Firenze, Chiesa di Ognissanti

di Chiara Seghezzi
Gli interventi di restauro sono talvolta forieri di clamorose scoperte, specie sotto il profilo delle procedure tecniche seguite dall’artista e dell’autografia. Com’è noto, durante il ripristino del Crocifisso ligneo della Chiesa di Ognissanti a Firenze si è giunti alla conclusione che l’opera, attribuita sino ad allora alla bottega o ad un artista contiguo (il cosiddetto Parente di Giotto), fosse in realtà da assegnare per la sua complessità a Giotto stesso, fornendo conferme alla maniera del pittore tra il primo e il secondo decennio del XIV secolo. Giotto, che si era distinto per l’abilità nel rendere la pietas, presente nelle altre opere già nella Chiesa di Ognissanti (la Madonna degli Uffizi, La Dormitio Virginis di Berlino), nonché nel Polittico Peruzzi ora a Raleigh, mostra qui un’estatica contemplazione ed una profonda religiosità; il Cristo crocifisso si mostra come il Dio che, superata la morte, invita alla meditazione sulla sua passione, ma con un certo distacco dal dolore. Osserviamo il dipinto da vicino. Il supporto ligneo, di 468 x 375 centimetri, è mancante del trapezio inferiore, che probabilmente doveva ospitare il Golgota con il teschio al centro, come nel crocifisso di Santa Maria Novella. L’opera fin dalla sua genesi è eseguita sotto la guida del maestro, che interviene con modeste modifiche persino nella traversatura lignea preparata dall’officina dei Legnaioli.


Il primo passo consiste nel definire i limiti della doratura della figura. La tavola viene preparata con due strati di lino; negli interstizi sono stati trovati fogli di pergamena che avevano la funzione di chiudere le fessure, di ammortizzare il legno e di livellare la superficie prima di inserire lo strato di gesso. Tracciato il disegno (a carboncino o con un sottile pennello) e incisa la linea di confine fra figura e doratura, viene applicato sulla cornice scolpita (che è autentica) l’oro a foglie, successivamente punzonato e brunito. A questo punto l’artista costruisce la figura: gambe, braccia e panneggi sono resi attraverso larghe pennellate, echi forse della lunga pratica ad affresco da Assisi a Padova, mentre visi e ventre sono eseguiti con pennellate più sottili e corpose. Giotto dipinge a tempera, e sfrutta la preparazione per dare maggior risalto ai colori che vi applica successivamente (si rilevi per esempio il perizoma che, creato con forti pennellate, mostra in trasparenza l’anatomia delle gambe). Nelle zone di sovrapposizione oro-colore, quest’ultimo viene inciso per far emergere il metallo sottostante. Paste vitree colorate o dorate, a imitare cammei e pietre preziose, compongono le aureole del Risorto e del Cristo crocifisso. L’opera si presenta così elaborata da far supporre l’intervento di un’officina e di una bottega specializzata che agiscono sotto il controllo del maestro. La vernice originale, conservatasi in alcune parti, si era scurita, compromettendo la leggibilità del colore.