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Il puzzle del Beato Angelico



Fu Fra Giovanni angelico et vezoso et divoto et ornato molto con grandissima facilità”.
(C. Landino, “Comento sopra la Comedia di Dante Alighieri poeta fiorentino”, 1481)

Come ricomporre i dipinti che decoravano uno straordinario armadio istoriato dal frate? Secondo uno studioso statunitense la chiave sta in un manoscritto d’area bresciana:  l’artista si attenne  scrupolosamente a tutte le raffigurazioni in esso contenute e alle scritte collocate sotto le miniature

di Sandra Baragli

Opera di rara finezza espressiva, ma diversa dai modi usuali dell’epoca, l’armadio degli argenti nella chiesa della Santissima Annunziata di Firenze, dipinto intorno al 1450 dal Beato Angelico con scene della vita di Cristo, subì negli anni ricostruzioni (le ante furono trasformate in una saracinesca) e dispersioni (nel ’700 fu diviso in tante parti quante le scene rappresentate). L’elevata qualità dell’opera e l’originalità del soggetto sono state da sempre fonte di discussione. Uno studio dello storico dell’arte statunitense Creighton Gilbert, risolve molti dubbi posti fino ad oggi dalla critica, grazie soprattutto alla scoperta di un manoscritto…

“Nella cappella similmente della Nunziata di Firenze, che fece fare Pietro di Cosimo de’ Medici, dipinse gli sportelli dell’armario, dove stanno l’argenterie, di figure piccole, condotte con molta diligenza”. Così scriveva il Vasari a proposito di Fra Angelico nelle sue celebri “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti”, nell’edizione del 1568.


Armadio degli argenti, primo pannello (dei tre con le 32 formelle rimaste) con le scene della Vita di Cristo.
Armadio degli argenti, primo pannello (dei tre con le 32 formelle rimaste) con le scene della Vita di Cristo.

La chiesa della Santissima Annunziata sorse nel 1250 come oratorio dell’Ordine dei Servi di Maria; fu poi ricostruita tra il 1444 e il 1481 dal Michelozzo. Nella chiesa, amatissima dai fiorentini e dai Medici, era ed è centro del culto un affresco del Trecento con l’“Annunciazione”, opera ritenuta miracolosa (fu Piero de’ Medici, figlio di Cosimo il Vecchio a volere e finanziare, nel 1448, l’edicola monumentale che copre l’altare davanti all’affresco). Già il Corella, intorno al 1469, nel suo “Theotocon” – in cui, tra le altre cose, illustra le chiese fiorentine dedicate alla Vergine – descriveva l’armadio destinato a contenere i preziosi ex voto offerti dai fedeli, posto vicino all’altare davanti al miracoloso affresco. Egli descrive con precisione l’armadio e la sua decorazione, che attribuisce all’Angelico (“Angelicus pictor quam finxerat ante Johannes/ Nomine, non Iotto non Cimabue minor…” – “Che aveva creato il pittore Angelico, per nome avanti Giovanni, non minore a Giotto non a Cimabue…”). Dell’armadio parlano anche alcuni documenti, come il pagamento del 22 dicembre 1453 agli scalpellini che avevano lavorato all’armadio “della Nunziata dove a stare l’ariento” e un altro documento in cui si parla di una finestra che doveva essere posta sopra di esso. Tuttavia nessun testo cita direttamente l’Angelico fino al 1461, sei anni dopo la morte del pittore, avvenuta nel 1455. Egli dovette perciò lavorare alla decorazione dell’armadio tra il 1453 e il 1455, anno in cui subentrò presumibilmente, per terminare l’opera, un altro pittore, il Baldovinetti. In un primo tempo l’armadio doveva aprire le ante in maniera convenzionale, successivamente fu trasformato in una sorta di saracinesca in quanto, probabilmente, l’apertura delle ante arrivava quasi a toccare il tabernacolo con l’affresco.

Il primo folio (recto e verso) del manoscritto della Biblioteca Marciana
Il primo folio (recto e verso) del manoscritto della Biblioteca Marciana

Nel 1782 l’armadio fu diviso “in tanti piccoli quadrettini” per poter trasferire le immagini in un museo. Da allora la composizione originaria è andata perduta ed è stata oggetto di numerosi studi e ricostruzioni. Oggi rimangono trentadue pannelli dipinti a cui vanno unite le tre storie dipinte dal Baldovinetti.

Le scene narrano, attraverso la raffigurazione di episodi evangelici, l’attuarsi in Cristo delle profezie bibliche e l’avvento della “Lex Amoris” (Annunciazione, Natività, Circoncisione, Adorazione dei Magi e così via, fino alla Crocifissione, Ascensione, Giudizio Universale, Riposo eterno dell’anima). Per questo motivo ogni riquadro reca un cartiglio con un passo biblico ed uno con un passo evangelico. L’uso di scritte come spiegazione della raffigurazione era abbastanza diffuso all’epoca, anche se generalmente si preferivano delle parafrasi e non l’esatto testo della Bibbia come in questo caso. Le analogie tra i brani del Nuovo Testamento e del Vecchio, rappresentati come profezia degli avvenimenti neotestamentari, era molto usata dai teologi medievali, che raggruppavano tali analogie sotto il nome di tipologie. In tali raccolte ogni episodio del Nuovo Testamento era posto in relazione con parecchi episodi del Vecchio. Nell’arte figurativa medievale queste analogie erano spesso rappresentate ma, in Italia, nel XV secolo non ne sono noti esempi oltre la “Lex Amoris” dell’Angelico. Quest’opera, in effetti, presenta diverse caratteristiche particolari, forse dovute al particolare uso del supporto, ma probabilmente anche alle persone che la commissionarono. Infatti la cosa più eccezionale emersa da un recente studio di Creighton Gilbers è che le scene rappresentate dall’Angelico ripetono con precisione, a parte due o tre modificazioni, quelle di un manoscritto con decorazioni a penna conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia (Bib. Marc. Lat. I, 72 (=2501)), probabilmente prodotto in Italia settentrionale e datato generalmente ai primi del Quattrocento. Poiché, oltre a ripeterne scene e schemi, anche i cartigli dell’opera dell’Angelico riportano le stesse tipologie prese dal Vecchio Testamento del manoscritto, è indubbio che il pittore abbia utilizzato questo testo, costituendo così probabilmente un evento unico per tutto il Rinascimento: un maestro importante e di chiara fama che riprende alla lettera la propria fonte.

Molte caratteristiche di quest’opera riportano all’area veneta: la struttura dell’armadio, dipinta all’esterno, ricorda la tradizione, diffusa a Venezia, dei dipinti che nascondono sculture in argento posti sugli altari; il manoscritto a cui l’Angelico si ispira fu dipinto in Italia settentrionale; la presenza di due frati bresciani (e Brescia all’epoca era sotto il dominio della Serenissima) tra gli “operai” della commissione che si occupava della salvaguardia dell’affresco miracoloso della Santissima Annunziata di Firenze. Inoltre è dimostrato che l’Angelico stesso era da molti anni in rapporto con i frati osservanti serviti di Brescia, il cui priore era Fra Francesco da Firenze. Così appare molto probabile che i frati arrivati a Firenze da Brescia conoscessero già la fama dell’Angelico e avessero voluto una sua opera. Furono probabilmente gli stessi frati serviti osservanti, secondo Gilbert, a commissionare il manoscritto marciano, “eseguito a Brescia o poco lontano”, e a portarlo a Firenze, presso il loro convento, dove lo vide l’Angelico.

Per anni la critica ha ritenuto che la concezione di quest’opera fosse interamente dell’Angelico, dotto anche in Teologia e Sacra Scrittura e che il maestro fosse stato aiutato nell’esecuzione da vari aiuti. Tuttavia, così come la scoperta del manoscritto marciano ha rivelato la fonte di ispirazione seguita dal pittore, un’analisi più attenta della “Lex Amoris”, il suo splendente cromatismo e la sua uniformità stilistica fanno affermare senza esitazione a Gilbert che “al di là dei rulli e di altri particolari meccanici è il maestro che immagina e crea, sul finire della propria vita, questa serie di nuovi drammi, nella sua cella nel convento di Fiesole”.


Creighton Gilbert, “Lex Amoris. La legge dell’amore nell’interpretazione di Fra Angelico”,

Firenze, Le Lettere, 2005, pp. 117, euro 14.