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Jacques Callot – Scappò dalla Francia con gli zingari, venne in Italia per disegnare maschere e malandrini




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Jacques Callot, nato a Nancy nel 1592 e morto nello stesso luogo nel 1635, è un disegnatore e scrittore francese,  della regione della  Lorena , la cui opera oggi più nota è una serie di diciotto incisioni intitolata “Le grandi miserie della guerra” , nelle quali evoca con cupezza drammatica le devastazioni della guerra dei Trent’anni. Goya ne sarebbe stato influenzato. Di origine nobile, cercò di sottrarsi alle strette dell’educazione paterna e, a dodici anni, per amore d’avventura, fuggi in Italia con una carovana di zingari e teatranti. Tornato in patria, scelse poi di scendere un’altra volta nella nostra penisola, dove fu profondamente influenzato dai quadri di genere di Agostino Carracci. dalla Commedia dell’arte e dai romanzi di soggetto picaresco o popolaresco, quali le opere di Giuseppe Cesare Croce, autore di “Bertoldo” . Giunse a Roma nel 1608 e si trasferì a Firenze, nel 1612 si trasferì a Firenze, dove risiedette per nove anni, contando sulla protezione della compatriota Cristina di Lorena. Qui incise, presso l’incisore Giulio Parigi, nel 1616 circa le Tentazione di sant’Antonio, nel 1617 la serie dei Capricci, ispirata al teatro, al costume popolare e al Carnevale, infine nel 1620 la Fiera dell’Impruneta. Nel 1621 tornò in Francia traspose in incisione i numerosi disegni stesi in Italia.
Disegnò e incise vagabondi laceri e figure inquietanti di maschere, nani e mendicanti che avrebbero reso materia copiosa e intensa alla pittura di genere e di realtà, tra Seicento e Settecento, proponendosi come modello formale di base a grandi autori, quali Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto.
Egli è considerato un maestro della incisione . Il suo stile si caratterizza per la nitidezza di linea dell’inchiostro.
callot
Il mondo dell’incisione deve a Callot numerose innovazioni che hanno permesso il pieno sviluppo di questa arte, in particolare l’uso di “vernice dura” o acquaforte. I suoi soggetti, a differenza della pittura di genere cinquecentesca, fiamminga o padana – che mantiene un tratto giocoso-gioioso – sono spesso inquietanti e ambigui, frutto dell’osservazione di un mondo parallelo, grottesco e all’apparenza incomprensibile, dal quale si affacciano comunque figure che destano un moto di pietà.
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