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Conosci la storia e l'uso propagandistico della statua della chimera? Scoprili in un minuto


di Sandra Baragli

Chi non conosce la statua bronzea della Chimera, oggi conservata al Museo Archeologico di Firenze? Com’è noto, il mostro (datato alla fine del V secolo a.C.) appare ferito, la testa caprina sollevata verso un lato (dove doveva trovarsi, forse, in origine, la figura di Bellerofonte, che, secondo il mito, uccise la Chimera in un terribile scontro), mentre si ritrae sulle zampe posteriori, con il corpo in grande tensione che lascia intravedere la muscolatura e le ossa, la bocca spalancata, sofferente. La coda, serpentiforme, fu rinvenuta spezzata e ricreata ex novo nel XVIII secolo. L’iscrizione Tinscvil su di un arto ne indicò, da subito, l’appartenenza etrusca.



La statua fu scoperta nel XVI secolo ad Arezzo, reclamata da Cosimo I de’ Medici per la sua collezione e collocata da Vasari nella Sala delle Udienze in Palazzo Vecchio, dove simboleggiava i nemici interni ed esterni sottomessi dal Granduca, novello Bellerofonte. All’epoca, infatti, Cosimo I aveva scelto di legittimare il nascente Stato mediceo facendo riferimento al passato etrusco della regione, e l’esibizione di opere etrusche o presunte tali – e, più tardi, romane – ne veicolava la propaganda politica.

La Chimera del Museo Archeologico di Firenze
La Chimera del Museo Archeologico di Firenze

Nonostante l’importanza di questa ed altre grandi sculture fiorentine – come l’Arringatore e la Minerva -, poco note sono le vicende collezionistiche che le riguardano. Cristiana Zaccagnino nel pregevole volume “Il catalogo de’ bronzi e degli altri metalli antichi” di Luigi Lanzi. Dal collezionismo mediceo al museo pubblico lorenese, edito di recente da La Stanza delle Scritture, ricostruisce proprio l’origine di tali raccolte, attraverso lo studio accurato del catalogo eseguito nel Settecento da Lanzi (catalogo arricchito dalle bellissime tavole di Francesco Marchissi) per il Granduca Pietro Leopoldo.

Fu soltanto nel Settecento, infatti, che si cominciò a sentire la necessità di ordinare i materiali per tipologie e colmarne le lacune, e negli anni Ottanta del Secolo dei lumi le gallerie furono finalmente aperte ad un pubblico pagante, secondo una concezione di museo più moderna. E in quest’ambito, l’opera di Luigi Lanzi ha offerto un contributo ineguagliabile.

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Cristiana Zaccagnino, “Il Catalogo de’ bronzi e degli altri metalli antichi” di Luigi Lanzi. Dal collezionismo mediceo al museo pubblico lorenese, La Stanza delle Scritture, 160 euro (volume + cd).