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Moretto – La Madonna con “ali di pipistrello” appartenuta a Canova


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Il fratellastro di Canova, vescovo di Minto, non amava quell’acquisto compiuto dal grande scultore, l’ampio dipinto di Moretto – che a quei tempi si riteneva, in realtà, opera del Pordenone – nel quale i colori plumbei del manto della Madonna e l’estensione alata della stoffa larga due metri e mezzo rinviavano a una figura sinistra, a qualcosa di infernale, giacché i putti che ne reggono, in frullo, le quattro estremità, hanno disegnato inconsapevolmente con la stoffa una coppia di temibili ali di pipistrello, dispiegate fino a coprire la parte superiore della tela. E la figura di Maria, che s’ergeva al centro del dipinto e delle ali ragguardevoli, sembrava fosse oggetto di un incantesimo nero, in quanto il suo volto dolce aveva sostituito quello insidioso del piccolo mammifero volante, sulla cui apparizione, per un’errata interpretazione romantica, il pensiero convergeva, come un automatico completamento della figura stessa. In realtà il quadro, che rappresenta la Madonna del Carmelo, e che venne realizzato dal giovane Moretto nel 1522 circa, aveva sedotto Antonio Canova, l’apollineo, come egli volesse compensare il proprio mondo dominato da una grazia sinuosa e candida con un’opera diametralmente opposta al suo modo di intendere e di volere: e fu così rapito dall’esasperata estensione del sacro panno e dalle effigi di santi, religiosi e devoti, collocate come una doppia scala, che poteva essere percorsa con la concentrazione che viene accordata alla risalita di una scalinata sacra. Quando Canova morì, il fratello divenne erede dei beni dello scultore.

Il vescovo, dovendo collocare la grande tela nella Rotonda di Possagno, cercò di giungere a uno scambio con l’Accademia di Venezia e ciò sia per le dimensioni del quadro – e questa fu la motivazione ufficiale – che per il soggetto, lontano da una concezione solare della religione. Ottenne in cambio, nel 1827, due opere di Palma il Giovane: il Cristo nell’orto e la Madonna in gloria con i santi. “Il dipinto – scrive Begni Redona – fu acquistato a Roma presso la famiglia Ottoboni dallo scultore Antonio Canova assieme ad un gonfalone, sicuramente di confraternita ed abbastanza analogo, raffigurante sul recto la Madonna della Misericordia e sul verso i Profeti Enoch ed Elia (?), dal Canova attribuiti tutti quanti al Pordenone, sotto il qual nome li descrive in una lettera del 1820 all’abate Angelo Dalmistro. Provengono forse da Pissincana, presso Pordenone, e questo fatto fece scrivere al Nicodemi che ve li portarono da Brescia gli eredi del vescovo Ottoboni e al Fiocco che la famiglia Ottoboni era originaria di Brescia e che a Pissincana possedeva dei terreni. La famiglia Ottoboni era in realtà di origine veneziana, e il rapporto con Brescia è legato unicamente al vescovo Pietro Ottoboni, eletto poi papa con il nome di Alessandro VIII, il quale tenne la sede episcopale dal 1654 al 1664 e quindi né lui né la sua famiglia ebbero rapporti col Moretto: se questi dipinti provengono da Brescia è solo perché l’Ottoboni ne venne in possesso attraverso eventi a noi sconosciuti”.
 

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Maria con il manto aperto – definita Madonna della Misericordia – è una scelta iconografica che venne fissata ai massimi livelli di rappresentazione dalla pittura quattrocentesca di Piero della Francesca. La stoffa, nell’opera del maestro toscano, accoglieva, come in una tenda protettiva, il popolo intero. Ma qui Moretto esaspera un modello diffuso giungendo a uno straordinario ampliamento del manto stesso, allargato dagli angeli in tutta la sua estensione. Il motivo del potenziamento dell’immagine nasce dall’utilizzo della tela, che in origine era uno stendardo processionale. In questo modo Maria abbracciava, sulla strada, tutti i fedeli, accogliendo nella sua rete d’amore materno chiunque si presentasse sulla via. “La Vergine esemplata con lo schema accogliente della Madonna della Misericordia – scrive Begni Redona – ha alla sua destra il beato carmelitano Angelo di Gerusalemme, il quale ebbe la conferma della regola da Onorio III nel 1226, e alla sua sinistra il santo Simone Stock, che ebbe la visione dello scapolare del Carmelo: l’identificazione di questi due personaggi eminenti nel gruppo degli oranti parrebbe certa, anche per l’età che denotano oltre che per la loro specifica funzionalità in rapporto all’assunto iconografico, trattandosi con probabilità di stendardo di confraternita carmelitana. Più incerta appare invece la definizione dei personaggi oranti: probabilmente si tratta, più che dei membri di una confraternita, dei componenti di una famiglia committente alla quale appartenevano anche un religioso (quello di prospetto, in basso sotto la Madonna) e una religiosa (la Velata sulla destra) carmelitani”. La prova che in origine il dipinto era uno stendardo è data dal fatto che il fondo presenta una scarsissima preparazione. Una scelta tecnica che consentiva di mantenere morbida la tela per il trasporto processionale.