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Le citta’ tenebrose


intervista di Jacqueline Ceresoli

Jonathan Guaitamacchi (1961), nato a Londra e cosmopolita per vocazione, è fedele alla pittura ad olio, alla tela bianca, al carboncino, al bianconero rigoroso.
L’artista, d’ispirazione sironiana, è ossessionato dai paesaggi urbani, sempre neri-petrolio e dal taglio cinematografico, saturi di edifici, incroci stradali, tralicci, così fitti che sembrano soffocare il respiro di chi li osserva.
Nel 1997 trascorre mesi nella Sala pressione delle ex Officine del gas di Milano, alla Bovisa, per studiare le forme dal vero di Macchine della luce, con l’intento di ripercorrere il luogo, centro del lavoro e dell’energia. Il successo arriva negli ultimi anni, nell’epoca delle città in rete, quando le sue panoramiche a volo d’uccello diventano icone delle metropoli globali.
Guaitamacchi è pittore d’atmosfere, cupe, sospese, con vedute “a reticolato”, fitte, rese con pennellate dense, a strati di colore nero. E’ un tenebrista dai toni inquietanti, ispirati al cinema espressionista: ma è anche metafisico, alla Kaurismäki o alla Lynch. Paradossalmente, nelle sue metropoli si è sempre a un passo dal delirio.
Il pittore spiega a Stile l’origine delle sue New Land visionarie, diventate il capolinea dell’immaginazione.
Guaitamacchi, ci racconta come nascono i suoi paesaggi urbani, di città al nero con le architetture senza tempo e le composizioni di taglio cinematografico che, forse, narrano storie di solitudine dell’uomo contemporaneo?
Sì, mi piace il cinema, sicuramente mi ha influenzato, ma il “mio” cinema in questo momento è quello che mi scorre davanti quando mi trovo su un ghiacciaio oltre i tremila metri: ed è forse lì che contemplo maggiormente la solitudine dell’uomo contemporaneo.

Lei dipinge paesaggi urbani da sempre nero su bianco. Perché questa scelta così radicale?
Il nero e il bianco sono probabilmente una scelta estrema, ma a un certo punto del mio percorso è stata per me l’unica scelta possibile.

Quali sono i maestri del passato a cui si ispira e da quali scenari è attratto?
Ai più diversi nei diversi momenti della vita. Ho amato Caravaggio, Tintoretto, Tiziano, Goya, Rembrandt, Velázquez, Turner, Manet, Bacon, Sironi. Non ho mai fatto distinzioni tra un interno, un paesaggio o una veduta, tra astrattismo, espressionismo o realismo, se l’anima di un artista e la sua unicità mi sanno parlare.

La sua pittura espressionista-intimista, caratterizzata da sgocciolature trasgressive, che dissolvono le forme e i volumi netti degli edifici, a quale impulso reagisce?
Risponde a impulsi derivanti da fortissimi momenti di concentrazione e di totale astrazione dalla realtà. La sgocciolatura è casuale, ma è una casualità frutto di enorme concentrazione, il gesto magico e spesso conclusivo della mia pittura.

L’assenza delle figure umane, il silenzio, la sospensione, il vuoto e la vertigine sono le atmosfere che rappresenta con paesaggi urbani turbati solo dal “dripping” di pennellate dense di nero. E’ così? Perché?
Quello di cui lei parla è ciò che può cogliere uno spettatore di fronte a un mio quadro, ma io non dipingo con un obiettivo, o con quell’obiettivo. Immagazzino molto nell’osservazione della realtà, mi propongo rigorosi obiettivi tecnici: poi l’astrazione e l’intensa concentrazione mi portano altrove, e il risultato porta altrove il mio spettatore, ma non sta a me dettare il come e dire il dove.

Non c’è traccia di vita umana nelle sue opere, solo panoramiche di città inghiottite dal nero. La sua pittura in bilico tra figurazione e astrazione mette in discussione il rapporto tra uomo e lo spazio urbano?
Non me lo pongo come obiettivo e non vi lavoro in maniera conscia, ma respiro e mi soffermo spesso sull’affanno della quotidianità, sull’esperienza faticosa e quasi impossibile dell’attraversamento di questa realtà.

Nelle sue opere, quale rapporto esiste tra il genere pittorico del vedutismo urbano, la fotografia, il cinema e l’architettura?
Sicuramente esiste questo rapporto. La mia pittura è l’incontro di tutte queste cose. Sono tutti generi che ho assimilato e, a parte il cinema, praticato anche professionalmente.

Dopo Londra e Milano, in quale altra città vorrebbe vivere e perché? Dove non vivrebbe mai?
Ancora Londra e in nessun’altra città, anche perché attualmente “sono in fuga” e ho solo bisogno di isolamento.

La sua pittura propone metropoli inquietanti, con tagli compositivi obliqui e scenari caratterizzati da un’apparente, eterna immutabilità, direi “ai confini della realtà”, che mettono lo spettatore con le spalle al muro di fronte allo spazio urbano, soffocante, e alla potenza del progresso, dell’evoluzione sempre più rapida delle città. Si tratta forse di una pittura “romantica”, che vuole rappresentare l’uomo stagliato contro l’infinito?
Forse, se in lei viene risvegliata una visione romantica: ma non è la mia visione né la mia priorità, così come non mi ritrovo nella definizione precedente di pittura espressionista-intimista. Ma rispetto ogni visione e ogni impulso che deriva allo spettatore dal mio lavoro. Ognuno può vederci ciò che desidera e ciò che è legato alla propria esperienza. Ci sono diverse stratificazioni nella mia pittura, e diverse sono dunque le emozioni che essa può risvegliare; non per niente, persone lontanissime tra loro per cultura e ruolo sociale si interessano e si appassionano alla mia attività.

Quali sono i suoi cicli pittorici e quali non dipingerebbe più? Perché?
Non lo so. Lascio ai critici il compito di periodizzare il mio lavoro, ma non ritengo concluso nulla, e può darsi che il mio viaggio nel futuro sia di andare a recuperare ciò che ho disperso nel passato.

Quali artisti contemporanei acquisterebbe?
Kiefer per mia moglie e Kentridge per me.

Che cosa pensa dell’arte contemporanea?
Che corre il grosso rischio di farsi contaminare dalla mediocrità delle mode. Siamo in un periodo di decadenza culturale e politica, e l’arte contemporanea non ne è risparmiata. L’arte contemporanea si fa troppo spesso nei salotti e finisce per immagazzinare meccanismi pseudo-televisivi di promozione, spesso ridicoli e di cattivo gusto.

Ha mai pensato di collaborare con il cinema o alla realizzazione di videoclip che immaginano futuri possibili?
Sì, ed è un progetto che ho in corso da ormai due anni; prima o poi arriverò a una sua concretizzazione.