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Le malattie degli artisti diagnosticate sulla tela. Esercizi dei medici sui pittori


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TIZIANO VECELLIO, La Pietà, 1570-76, olio su tela, 315 x 389 cm, Venezia, Galleria dell'Accademia
TIZIANO VECELLIO, La Pietà, 1570-76, olio su tela, 315 x 389 cm, Venezia, Galleria dell’Accademia

Paul Wolfe, direttore del dipartimento di patologia e di medicina di laboratorio dell’Università della California di San Diego, s’è occupato d’una ricerca volta a svelare il rapporto tra artista e malattia, argomento che ha mosso numerosi studiosi a fronteggiarsi sul campo, anche se queste ricerche, suscitate dall’attitudine americana a riportare tutto a una leggibilità di superficie, fornisce, nell’ambito dell’arte, un quadro, dal nostro punto di vista, parziale e tendenzioso. Le risultanze di questi studi? Michelangelo, afflitto da una grave depressione, o meglio dire, da una sindrome maniaco-depressiva, dipingeva tra le oltre quattrocento figure della Cappella Sistina un Geremia sconsolato e malinconico, dallo sguardo perso nei pensieri più cupi. La scienza oggi rivela che al fisico dell’artista mancava una sostanza, il carbonato di litio, per curarsi e avere un’altra visione della realtà oppure che la xantopsia di Van Gogh era causata dall’assunzione della digitale, usata per curare l’epilessia, e dalle bevute d’assenzio. Per capirci, negli ultimi tempi Van Gogh avrebbe fatto uso massiccio del colore giallo, sia nei suoi quadri come “La sedia con pipa”, che nell’intonaco delle pareti casalinghe, perché il connubio tra assenzio e digitale avrebbe provocato la xantopsia, malattia che “fa veder giallo”.

La malattia fisica di Van Gogh s’interseca con quella mentale, manifesta nel disadattamento socio-relazionale e nell’incapacità comunicativa tra sé ed il resto del mondo, tra il proprio mondo interiore e la realtà esterna. Ma al di là di ipotesi riconducibili alle patologie,la ricerca non tiene conto della riscoperta,in quell’epoca, del valore espressivo espressivo dei colori primari – giallo, rosso e blu – che costituiscono la trama cromatica dei dipinti di Van Gogh, specie nell’abbinamento giallo-blu. Più facile è mettere in relazione la malattia invalidante che coinvolge la “motricità”, indispensabile per il corretto funzionamento della mano e l’uso del pennello. Nel vecchissimo Tiziano, la pittura di grande sintesi, stesa con le dita, sarebbe stata prodotta a causa dall’artrite e non tanto – sostengono queste ricerche – da una combinazione tra limitazione e risorsa, tra impedimento e volontà espressiva.
 
V.VAN GOGH, La sedia di Van Gogh (ad Arles con pipa), 1888, olio su tela, 93 x 73,5 cm, Londra, National Gallery
V.VAN GOGH, La sedia di Van Gogh (ad Arles con pipa), 1888, olio su tela, 93 x 73,5 cm, Londra, National Gallery

La stessa malattia colpì Vittore Ghislandi (Fra’ Galgario), che in età avanzata realizzava direttamente i dipinti con le dita – ma anche qui va considerata tutta la tradizione del pittoricismo veneto – e Mirò, che per il desiderio di un contatto con la materia abolì il pennello, strumento ormai divenuto malagevole da maneggiare. Renoir, colpito negli ultimi anni di vita da una grave artrite deformante che rende impossibile l’uso corretto delle dita, e costretto sulla sedia a rotelle, si lega i pennelli alle mani. Paul Klee nel 1935, a cinque anni dalla morte, viene colpito da una rara malattia degenerativa, la sclerodermia. La condizione diventa per lui insopportabilmente drammatica, e il nero abbonda ossessivo nei suoi ultimi lavori, il segno si ingrossa, s’irrigidisce facendosi cupo e spezzato. Goya, diventato sordo, proietta la sua opittura in un mondo di solitudine e di oscurità, descritto con forza sulle pareti della sua casa, la “Quinta del Sordo”. Turner sostituisce radicalmente linguaggio per la presenza di un deficit visivo causato dalla cataratta che lo porta ad inseguire ombre in un mondo atmosferico di vapori sfumati.
C. MONET, Ninfee - Mattino (part.), 1918, olio su tavola, 197 x 340 cm, Parigi, Museo del Louvre - Orangerie
C. MONET, Ninfee – Mattino (part.), 1918, olio su tavola, 197 x 340 cm, Parigi, Museo del Louvre – Orangerie

Esempio massimo del cambiamento provocato dalla perdita parziale della vista è Monet, che colpito dalla cataratta, estingue la forma. Ma tutto ciò deve essere intenso non in senso meccanicista, ma come risposta creativa dell’uomo a una menomazione o a una malattia. In caso contrario,come avviene in queste ricerche americane, il rischio è quello di pensare che le opere siano dipinte dalle malattie, non dagli artisti.


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