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L’eredita’ di Rodin




Lo scultore francese considerava l’arte antica un’imprescindibile  fonte di ispirazione. Il senso profondo di tale adesione è contenuto nel suo testamento spirituale, una lezione di dignità rivolta agli eredi ideali 
Leggendo gli otto scritti di Auguste Rodin (1840‑1917), composti fra il 1904 e il 1917 e raccolti nel volumetto Lezione dell’antico (Abscondita, 104 pagine, 12 euro), si percepisce l’incondizionata ammirazione che lo scultore francese nutriva per l’arte del passato, considerata insostituibile fonte di ispirazione e conferma e incitamento nel proseguo della sua incessante ricerca creativa, tutta comunque connotata in senso fortemente autonomo e personale.

Auguste Rodin
Auguste Rodin


“L’Antico è la Vita stessa ‑ scriveva il maestro nel testo che apre la raccolta, pubblicato la prima volta nel 1904 sulla rivista Le Musée ‑. Non v’è nulla di più vivo dell’Antico, e nessuno stile al mondo ha saputo né potuto raffigurare la Vita nello stesso modo. L’Antico ha saputo raffigurare la Vita, per che gli antichi sono stati i più grandi, i più seri, i più mirabili osservatori della Natura che siano mai esistiti”.
Qualche mese più tardi, nel commentare sulle pagine della stessa rivista un’Afrodite del IV secolo avanti Cristo, annotava: “L’Antico è per me la bellezza suprema, è l’iniziazione all’infinito splendore delle cose eterne: è la trasfigurazione del passato in qualcosa di eternamente vivo. I greci ci prendono per mano, ci fanno sentire la bellezza delle forme, l’elemento sacro presente in essa, ci mostrano con il loro esempio che non bisogna esser chiamati vanamente alla festa della Vita. I loro marmi sono i messaggeri divini che ci insegnano il nostro dovere”.
Nell’insieme di questi scritti, nell’affrontare l’analisi di una statua greca, uno studio sul Partenone, o su Michelangelo, o sulle cattedrali gotiche, Rodin non soltanto ha offerto saggi preziosi della propria eloquente capacità di rilettura estetica, ma ha anche reso palese l’intima affinità che lega i capolavori del passato al suo operare, e lo spirito di appassionata difesa dell’arte antica che lo induce ad esortarne la cura.
Riguardo alle cattedrali gotiche, ad esempio, egli biasima coloro che dovrebbero occuparsene e non lo fanno degnamente: “Ci mobilitiamo a favore del Partenone, che non è nostro: quel che è nostro ci è indifferente, può anche perire; è una cattiva abitudine ormai acquisita. E tuttavia ‑ scrive ‑ esistono opere più vicine, per sentimento, dei capolavori gotici? Chartres è l’arcaismo di Olimpia, Reims è il sole tramontante, simbolo di Apollo. Bisogna dunque, mie cattedrali, darvi i nomi dei vostri fratelli greci per difendervi? Credo che le cattedrali siano difficili da comprendere quanto il Partenone. Gli esperti che vivono di esse, vengono a vederle e le analizzano con la lente, per poi restaurarle in modo pietoso privandole della loro anima”. E ancora: “Abbiamo bisogno di bellezza: facciamo dunque in modo che la nostra indignazione serva a salvare il nostro suolo e i nostri capolavori”.
Auguste Rodin,  L’età del bronzo
Auguste Rodin,
L’età del bronzo

L’entusiastico resoconto di un soggiorno romano, pubblicato nel 1912, si chiude con la descrizione del gruppo marmoreo della Pietà di Palestrina del Buonarroti: “Il genio di Michelangelo appare sintetizzato in questo capolavoro più che in ogni altro. Lo si potrebbe far rotolare da una montagna senza riuscire a spezzarlo. E’ esso stesso una montagna. Tutte le linee sono nella massa. Non vi è niente che superi i piani essenziali. E’ di una severità egizia, e tutto è contenuto in un quadrato. (¼) L’insieme è sublime, e non dimenticherò mai il braccio del Cristo che ricade morente e che somiglia a una zampa di leone”.
Il culmine dell’adesione di Rodin allo spirito classico è raggiunto nel suo testamento spirituale, edito per la prima volta nel 1911: un breve ma intenso lascito intellettuale che egli dedica a coloro che chiama “i giovani che aspirano ad essere i sacerdoti della bellezza”.
Ai suoi eredi ideali egli porge un appassionato compendio della propria lunga esperienza, destinando loro i suggerimenti per imboccare la via del perseguimento di un’arte capace di un’autentica elevazione spirituale dell’intera umanità. “Inchinatevi dinanzi a Fidia e a Michelangelo ‑ esordisce ‑, tuttavia guardatevi dall’imitare i nostri grandi antenati. Rispettosi della tradizione, sappiate distinguere ciò che essa racchiude di eternamente fecondo: l’amore per la Natura e la sincerità. (…) E’ la tradizione stessa che vi spinge ad interrogare senza tregua la realtà, e che vi impedisce di sottomettervi ciecamente ad un qualsiasi maestro”.
Auguste Rodin,  Il pensatore
Auguste Rodin,
Il pensatore



E subito ribadisce il ruolo primario della Natura, da venerare come unica dea meritevole di assoluta fedeltà, poiché è in essa che l’artista può rintracciare la verità interiore celata dalla forma, quella verità che è la bellezza stessa. L’invito è a non rinunciare ad uno studio e ad un esercizio continui, ad una ricerca scultorea volta ad oltrepassare i limiti della superficie, in funzione del volume, della profondità, della definizione dello spazio.
Se è vero che l’arte va intesa come sentimento puro, Rodin insiste sulla necessità assoluta di avere perfetta padronanza della scienza dei volumi, delle proporzioni, dei colori, poiché “senza la destrezza della mano, il sentimento più vivo è come paralizzato”.
“Giovani, siate veri!”; “I maestri sono coloro che guardano con i propri occhi ciò che tutti hanno visto, e che sanno cogliere la bellezza di ciò che per gli altri spiriti è troppo comune”; e ancora: “Amate appassionatamente la vostra missione. Non ne esiste una più bella”.
L’esortazione conclusiva è ad esprimere sempre ciò che si pensa, poiché l’arte dev’essere una splendida lezione di sincerità. “Immaginate dunque quali meravigliosi progressi si realizzerebbero d’improvviso se la veracità assoluta regnasse tra gli uomini! Ah, come la società si sbarazzerebbe degli errori e delle brutture, che allora riconoscerebbe, e con quale rapidità la nostra Terra diverrebbe un Paradiso¼”.