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Nel Quattrocento a Venezia donne e bambini non potevano essere ritratti


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Nel Quattrocento c’è una significativa differenza tra la ritrattistica veneziana e quella di altre regioni o città. In laguna gli artisti sembrano evitare i soggetti femminili o infantili, ritratti invece con grande frequenza a Firenze e in altre città nordeuropee e italiane. “Si sa che i gusti sono inspiegabili – commenta Rona Goffen nel saggio “Valicando le Alpi: arte del ritratto nella Venezia del Rinascimento” – ma il gusto per la ritrattistica che pervadeva la Venezia rinascimentale diventa in larga parte comprensibile, se lo si considera alla luce della morale dell’epoca – soprattutto sotto il profilo del ruolo della donna e del comportamento esemplare che ci si attendeva dalla classe dominante” .

TIZIANO VECELLIO, Ritratto di Vincenzo Mosti, 1520, olio su tavola, trasportata su tela, 85 x 66 cm, Firenze, Galleria Palatina
TIZIANO VECELLIO, Ritratto di Vincenzo Mosti, 1520, olio su tavola, trasportata su tela, 85 x 66 cm, Firenze, Galleria Palatina

Il riferimento è agli ideali, e non alla realtà, della vita e della società veneziana: ma non era forse il mito di Venezia che gli artisti intendevano celebrare con le loro opere? La nobile stirpe prima ancora della persona, dell’individuo: l’idea di Stato sopra quella del singolo e della famiglia. “Fino ad una fase abbastanza avanzata del XVI secolo – spiega Goffen – le espressioni di individualità (compresi i gesti e le emozioni) venivano soppresse a favore di una maschera facciale ancorché passiva. E visto che le mogli, le madri e i figli erano ovviamente necessari alla costituzione di una dinastia, farne fissare le fattezze in un ritratto significava inevitabilmente invadere la sfera privata dei loro mariti, figli e padri, il che  non era considerato “politicamente corretto”.  Così venivano effigiati i nobiluomini, non le nobildonne o i bambini”. Ciò non toglie che qualche eccezione fosse concessa. Giovanni Bellini, ad esempio, eseguì un ritratto – probabilmente l’unico della sua produzione artistica – dell’amante di Pietro Bembo. Di quest’opera si sono perse le tracce, e se ne conosce l’esistenza solo attraverso le parole dello stesso Bembo, autore di due sonetti dedicati appunto a quell’immagine e ispirati a quelli scritti da Petrarca per lodare un’immagine di Laura.