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Odd Nerdrum – L’intervista e le scelte stilistiche del titano dei figurativi


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Odd Nerdrum, Frontal Self-portrait
Odd Nerdrum, Frontal Self-portrait

intervista di Giuliana Mazzola

Da molti anni ormai Odd Nerdrum si è tirato fuori dal grande carosello dell’arte contemporanea “ufficiale” per ritagliarsi un suo spazio e una sua dimensione all’insegna di un lavoro di straordinaria qualità ed originalità. Il maestro norvegese racconta la propria esperienza in questa intervista rilasciata in esclusiva a Stile.

Come e quando ha deciso che sarebbe diventato un pittore?
Il mio primo amore, in verità, è stata la musica. Quando ero bambino piangevo sempre, e per farmi smettere il medico consigliò a mia madre di farmi ascoltare dei brani musicali. Lei lo fece, ma io continuavo a piangere. Poi, alla radio mandarono in onda Ciaikovskij, e mi chetai immediatamente. In seguito, però, i miei genitori scoprirono che dedicarsi a questa attività, come io ero intenzionato a fare, poteva essere assai costoso. Insomma, non condividevano il mio grande entusiasmo. Fu così che cominciai a disegnare, cosa che mi piaceva altrettanto e che aveva il vantaggio di essere molto più economica.

Odd Nerdrum, The Saviour of the Painting
Odd Nerdrum, The Saviour of the Painting

La sua pittura è stata definita, da certa critica ma anche da lei, kitsch. E’ da decenni che lei opera sempre con coerenza in questa direzione, molti artisti seguono i suoi passi e molti collezionisti importanti riconoscono i suoi quadri come capolavori. Può tracciare un bilancio di tale percorso? Considerando il kitsch relegato in una nicchia nell’universo dell’arte contemporanea, che tipo di prospettive intravede?
Tra gli artisti io sono sempre stato riconosciuto come kitschy e perciò isolato quasi subito da quella che io definisco la “Banda dell’arte”. A causa di ciò ho iniziato a pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato in me. Dopo alcuni anni di isolamento sono arrivato a capire che l’arte è una religione, e che io sono un eretico.
Ho iniziato così a studiare approfonditamente filosofia con lo scopo di trovare il mio posto in questo mondo. Se non vi era una sovrastruttura in cui io potessi inserirmi, forse avrei potuto costruirmene io una nuova. Mi capitò in quel periodo tra le mani il libro di Hermann Broch, Il Kitsch, dove egli descrive il kitsch come qualcosa di demoniaco, il male assoluto in estetica. Quel libro cambiò la mia vita.
In genere, quando le persone vanno al cinema si identificano con l’eroe del film; io faccio l’opposto, mi identifico con l’antagonista. Così successe quando lessi il libro di Broch: mi identificai completamente con il cattivo, ovvero con il kitsch. Da allora, io dico a tutti di essere un pittore kitsch, e ciò rende i critici furiosi perché loro pensano che io non abbia il diritto di definirmi da solo.
Una volta affermatomi come tale, molti giovani sono venuti a dipingere con me perché in fondo non pensavano che il kitsch fosse poi così male.
Io non so quale sarà il futuro del kitsch, ma so che – se lo avrà, un futuro – sarà soprattutto per merito dei grandi e geniali talenti che ci sono. Ma abbiamo bisogno di una sovrastruttura per ottenere il credito che ci meritiamo.

Odd Nerdrum, Hepatitis
Odd Nerdrum, Hepatitis

Io sono molto incuriosita da alcuni suoi soggetti che spingono ad immaginare miti e racconti del passato: chi sono i Namegivers (coloro che danno i nomi)?
In un’antica saga islandese c’era un capo che, volto lo sguardo all’immenso paesaggio che lo circondava, disse alla sua tribù: “Ad ogni cosa dev’esser dato un nome”; è perciò che ho assegnato questo titolo a un mio dipinto.
Ho letto e riletto i miti greci, ma la mia immaginazione è come una melodia… arriva come un pre-pensiero.

Uno dei contrasti più marcati che ho notato è la presenza di armi in diversi quadri sul tema della donna e della maternità: quadri davvero molto forti, profondamente emozionanti. Può dirci qualcosa in proposito?
Quando lo Stato ci abbandona dobbiamo diventare i nostri propri difensori. Le armi nei miei dipinti sono simbolo di questo desiderio di proteggere noi stessi e le persone che amiamo.

Lei è un pittore tra i più celebri e apprezzati nel mondo. Come concilia la scelta di vivere in isolamento con questa notorietà planetaria?
La mia abilità manuale mi ha salvato. Ci sono un sacco di giovani allievi che vivono e lavorano con me, sia nel mio studio in Francia che in Norvegia, e dunque non mi sento per nulla isolato. Molti colleghi, anche famosi, hanno invece una scarsa sapienza tecnica, per cui devono promuoversi viaggiando attraverso le grandi capitali dell’arte; io me ne sto a casa mia.

In un’occasione, lei ha osservato che “una delle caratteristiche del kitsch è il suo totale rifiuto dell’ironia”. Perché non le piace l’ironia?
Non mi piace perché mi confonde. Non capisco su e per che cosa un artista debba sorridere. Il kitsch è serio perché riguarda esclusivamente la qualità, e perfino quando tu parli di “brutto kitsch”, stai ancora riferendoti alla qualità. La cosiddetta “arte” di oggi, invece, si preoccupa solo di raggiungere la notorietà.

 

 

 

 


Nelle sue opere di alcuni anni fa, la luce pervadeva lo spazio e le figure erano chiare ed immerse nel paesaggio. Noto al contrario che in quelle più recenti prevalgono un tono più scuro ed una pennellata più veloce, che rimandano all’ultimo Tiziano, o a Goya.
Tiziano è, in una qualche strana maniera, un allievo di Apelle, anche se il grande artista greco visse duemila anni prima di lui. Apelle va ricordato per la classica forza dei suoi dipinti. Le ultime tele di Tiziano sono in linea con questa tradizione: lui le definiva “i miei momenti poetici”.
E la poesia in pittura è proprio ciò a cui io anelo. I miei quadri d’esordio erano ispirati al primo Rinascimento, perché mi riconoscevo negli artisti di quel tempo che volevano veder rappresentata la natura così com’è. Successivamente, però, ho scoperto che i nudi vanno abbigliati, con i tessuti e con i miti. Così, ora sento il disperato bisogno di rivestire le cose che dipingo con sfumature e poesia.
Senza dimenticare che la pittura, secondo me, non è un’arte ma una scienza, con regole precise da rispettare.

Odd Nerdrum, Stranded
Odd Nerdrum, Stranded

Lei ricordava, all’inizio, la sua passione per la musica. Quando è al cavalletto, c’è della musica, appunto, a tenerle compagnia?
Ascolto colonne sonore di film, perché trovo che rappresentino la più alta forma di espressione musicale dei nostri tempi (sebbene, di solito, non abbia visto i film per cui sono state scritte). Adoro Hans Zimmer. Avverto, nelle sue composizioni, che deve aver sofferto molto. E noto che questi brani non piacciono solo a me, ma anche ai modelli che stanno posando per i miei quadri.

UN VIDEO PER CONOSCERE LE OPERE DI ODD NERDRUM