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Ottocento veneto


di Andrea Baboni

“L’opera non sta mai da sola, è sempre un rapporto”. Così affermava Roberto Longhi e così la casa editrice Electa racconta l’Ottocento veneto, dagli albori del neoclassicismo accademico, alle istanze sul vero, sino alle prime tematiche simboliste, mediante una corposa pubblicazione il cui secondo tomo completa “La pittura nel Veneto/L’Ottocento”, a cura di Giuseppe Pavanello, con contributi di Nico Stringa ed altri, che documenta non già l’Artista ma la sua opera e che presenta una rilettura originale del periodo in una chiave dal taglio innovativo, atto a ricostruire l’atmosfera di un’epoca. Un’accurata ricognizione territoriale e l’esame di tematiche trasversali, unitamente ad ampio e ricco apparato fotografico, evidenziano l’intento di riferire il punto più avanzato della ricerca nel campo della pittura veneta; uno sguardo diverso, ancor più particolareggiato e completo, una felice ricostruzione dei passaggi storico-artistici che focalizza l’attenzione non soltanto sul singolo pittore e sul suo particolare e individuale percorso, ma anche e soprattutto, servendosi di una trama articolata di fatti e snodi culturali, tiene in considerazione e valuta l’opera nel suo contesto storico, in rapporto con gli sviluppi e le evoluzioni precedenti e successive degli artisti coevi. Avvalendosi di importanti contributi sia italiani sia stranieri e di citazioni tratte da testi di critica ottocentesca, l’organica pubblicazione si suddivide in due diverse parti: la prima, tesa alla definizione delle aree culturali che hanno convenzionalmente privilegiato il perimetro delle attuali provincie, con collegamenti tra loro e dovizia di particolari – partendo da Venezia e toccando successivamente Padova, Treviso, Belluno, Vicenza e Verona – attraverso un’accurata ricerca filologica sul territorio; la seconda fornisce approcci differenti allo stesso materiale inserendo connessioni tra la pittura e le arti minori quali la miniatura, il mosaico, la tappezzeria e affronta temi specifici in riferimento al periodo considerato, quali la decorazione d’interni, la stampa periodica e la pubblicistica d’arte, l’evoluzione del paesaggio e del ritratto, le prime biennali venete e le sperimentazioni fotografiche. Segue alla seconda parte un completo e fornitissimo “Dizionario Biografico degli Artisti”, con meticolose voci dedicate ai pittori dei quali si è discusso in merito, corredate da una loro bibliografia essenziale di riferimento e da un vasto ed interessante repertorio di immagini a colori. Un testo particolarmente utile sia agli “addetti ai lavori” che si possono affidare alle notizie inedite per un attento aggiornamento della ricerca, sia ai “dilettanti” che si avvicinano al modo dell’arte richiedendo una lettura di dati precisi ed affidabili. Entrando nel merito del contenuto effettivo dei testi, tra i vari periodi affrontati, merita particolare attenzione, per la qualità degli artisti, nel contesto attuale di generale approfondimento della pittura italiana della seconda metà dell’Ottocento, la nascita e lo sviluppo della pittura del vero, iniziata a Venezia da Domenico Bresolin (Padova 1813-Venezia 1900), insegnante all’Accademia, che già dai primissimi anni Sessanta, dopo aver sperimentato negli anni Cinquanta lui stesso una pittura nel rapporto diretto con la realtà, porta gli allievi a dipingere all’aria aperta. Tale rinnovamento avrà in seguito sviluppo in personalità di forte rilievo; da qui prende l’avvio l’avventura pittorica del grande Guglielmo Ciardi (Venezia 1842-1917) negli anni Settanta ed Ottanta personalità di spicco nell’ambito del paesaggismo europeo. Le sue “Lagune” ampie e spaziate, vedute tra mare e cielo, profonde e slontananti sin là dove l’orizzonte si perde, segnate nei piani in profondità da una barca o da una bricola, rappresentano un momento fondamentale della pittura di paesaggio, non solo nell’arte italiana.


Federico Zandomeneghi (Venezia 1841-Parigi 1917), fu uno dei primi a ribellarsi alla vecchia aria di provincia. Entrato in stretto contatto con gli artisti dell’ambiente fiorentino, ad iniziare dal 1862 partecipa alle appassionate discussioni del Caffè Michelangiolo, contribuendo all’elaborazione della nuova estetica, per poi recarsi, negli anni Settanta, a Parigi dove i suoi stilemi assumeranno chiare declinazioni impressioniste (vedi il servizio in questo stesso numero di “Stile”, ndr). Particolare evidenza, nel rinnovamento dell’arte veneta, con attenzione alle scene di figura talvolta in interni, viene data alla straordinaria personalità di Giacomo Favretto (Venezia 1849-1887), che con “La lezione di anatomia”, tavola datata 1873, conservata a Milano presso la Pinacoteca di Brera, esemplifica in un capolavoro le nuove istanze della pittura sul vero proprie ai modi della “macchia”: violento contrasto luministico e calibrato gioco tonale nella scansione dei modellati, colti come in una sospesa aura metafisica. Le successive espressioni del Maestro si esprimeranno compiutamente in superbi ritratti o scene di vita veneziana via via più leggiadri per freschezza di tocco e vivezza di smalti, lungo il breve arco dell’esistenza. Altro grande protagonista della nuova pittura del vero è Luigi Nono (Fusina 1850-Venezia 1918), nelle cui opere paesaggio e figure si fondono mirabilmente, avvolte da un’aura di meditazione velata di ombre e di tenerezze. Personalità di rilievo è Pietro Fragiacomo (Trieste 1856-Venezia 1922) – di cui è imminente la stampa del catalogo ragionato a cura di Andrea Baboni, ndr – paesaggista dalla vena elegiaca, nelle cui opere la modulazione atmosferica dei piani prospettici ed il meditato equilibrio tonale, rispondono alla profonda ispirazione di un animo riflessivo, sicuro riferimento per la pittura veneta di paesaggio tra Otto e Novecento.