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Pericle Fazzini – Storia e quotazioni gratis





di Alessandra Zanchi
Scultore marchigiano, nato a Grottammare nel 1913 e scomparso a Roma nel 1987, Pericle Fazzini ha contribuito profondamente a riscattare la scultura del Novecento dalla pesantezza monumentale del secolo precedente.

“Preferisco il legno alle materie su cui lavorano in genere gli altri scultori per una ragione semplicissima: che mi piace scolpire invece di modellare. Il legno mi dà una specie di voluttà, come non potrebbero il marmo o il metallo. Io ho fatto dei ritratti, dove mi sono preoccupato di trasportare non soltanto la rassomiglianza fisica del modello ma l’espressione vitale che da questo modello si sprigionava sposandola alle qualità caratteristiche del materiale in cui era tradotta la statua”. Queste le sue parole in occasione di un’intervista rilasciata nel 1938 alla rivista “Quadrivio”, durante la sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia. Una perfetta conoscenza del “mestiere”, dunque, che lo porta a prediligere il legno ma anche a ricercare ogni volta nuove e adeguate soluzioni tecniche.

Quanto allo stile (ed è lui stesso ad affermarlo nelle disquisizioni con gli amici poeti Rivosecchi, Lucchese e Ungaretti), Fazzini si colloca sempre tra memoria e invenzione, fedeltà al passato e innovazione. La sua esperienza è contrassegnta da un confronto continuo con gli esempi storici, prima nella bottega del padre artigiano del legno e poi a Roma, dove arriva sedicenne, nel 1929, e dove è subito attratto dal Borromini e dal Bernini. Sicché è il Barocco l’esempio sotteso alla sua capacità d’intagliare istintivamente e di movimentare prepotentemente le masse; straordinarie qualità plastiche già evidenti in opere come l’“Autoritratto” del 1931 e nel “Ritratto di Birolli” del 1932 e che emergono appieno nell’“Uscita dall’Arca”, del 1932. Nella fase successiva il suo linguaggio plastico rinvia invece alla lezione dei grandi “quattrocentisti”, dalle cui sculture si sprigiona, come egli diceva: “una forza di espressione e un senso dell’armonia che è impossibile imitare, e in cui è tutto il segreto della loro grandezza”. “Figura che cammina”, “Danzatrice”, “Giovane che declama”, “Ritratto di Ungaretti”, “Ragazzo con i gabbiani”, sono capolavori che riflettono una “classicità” maestosa.

Tuttavia le opere di Fazzini sono, al tempo stesso, espressione di un’invenzione assolutamente attuale. Nascono da una lirica aderenza alla realtà, come da puntuale conoscenza della lezione di Donatello e di Michelangelo, ma il dato obiettivo si immerge nella poeticità della fantasia e nell’estro della forma librata nello spazio. Da qui la ricerca sul gesto e il movimento che contraddistinguono soprattutto le opere realizzate negli anni Cinquanta, tra cui “Ragazzo sulla spiaggia”, “Donna con drappo”, “Donna nel vento”, “Donna al sole”, fino alle “Colombe”, un magnifico bronzo fuso pochi mesi prima della sua morte. Rifiutando ogni pura invenzione volumetrica della scultura astratta, Fazzini si affida esattamente al mutare degli atteggiamenti e delle posizioni eppure al variare dell’intensità e della direzione della luce sul materiale, e crea così una scultura da cogliere da un solo punto di vista in tutta la sua inafferrabile tridimensionalità e sequenzialità di piani. Ne sono un esempio i suoi nudi armoniosi. Ma il suo problema non è la verosimiglianza. Piuttosto è quello di tradurre di ogni atto lo spirito e di imprimere nella forma una concentrazione di energie contrastanti con esiti di forte drammaticità e di autentica religiosità. Dice Appella: “…con accanimento, e una produttività inesauribile, ogni aspirazione diventa un atto naturale, ineluttabile, e la stessa deformazione è solo uno studio del movimento. Non la verosimiglianza, è il suo problema, ma il significato di un gesto, non il virtuosismo elegante della modellazione, non la retorica funeraria, ma piuttosto il bisogno di una scultura che faccia vivere l’oggetto rendendo visibile, sistematico e plastico il suo ‘prolungamento’ nello spazio”. Per questo Fazzini affronta la narrazione con naturalezza, sicuro del doppio valore compositivo e plastico-espressivo della sua scultura: “…il sogno sostenuto dalla carne, la fisica sposta alla metafisica”. L’idea che si fa opera d’arte. Afferma Fazzini: “Voglio essere l’ultimo inutile scultore romantico”.
https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/arte-antica-e-quadri-ottocento-allasta-a-poco-in-questo-istante-le-occasioni-on-line/
 
UN VIAGGIO TRA LE OPERE DI PERICLE FAZZINI

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