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Rancinan, l’obiettivo sul mondo


Gérard Rancinan, geniale fotografo francese, che si autodefinisce “esploratore del mondo”, è il protagonista con i suoi scatti creativi, intensi e provocatori di un evento espositivo ospitato negli spazi della Triennale Bovisa di Milano fino al prossimo
2 settembre. La mostra, dal titolo Rancinan. La Trilogia del Sacro Selvaggio, nasce sulla scorta del volume con lo stesso titolo di recente pubblicazione (Federico Motta editore) che il fotografo ha realizzato in collaborazione con la giornalista Virginie Luc, il quale, a sua volta, raccoglie centosessanta immagini frutto di un lungo lavoro sfociato in tre ambiziosi progetti che hanno impegnato Rancinan negli ultimi anni: Art to death, Elogio della diversità e una serie di ritratti di importanti uomini di religione.
Esattamente come nel libro, anche in mostra, tramite una selezione di sessanta scatti stampati in grandi dimensioni, Rancinan propone il suo viaggio verticale dentro l’uomo, compiuto al fine di indagare la pulsione più sacra che ne rappresenta il principale motore, quel “sacro selvaggio” che corrisponde a una vera vampata d’amore, primitiva e violenta, quel sentimento anarchico e potente, al tempo stesso pagano e divino, sacro e profano che attraversa tutti i campi della nostra esperienza. Ed è un viaggio affrontato mediante l’esplorazione parallela di tre mondi separati e distinti, a cui corrispondono anche le sezioni del percorso espositivo, dove l’obiettivo di Rancinan “cattura” tre sfere umane apparentemente molto lontane: l’Arte, l’Altro, la Fede.
Nel primo comparto, che propone una sintesi del lavoro precedentemente proposto in Art to death, Rancinan racconta a modo suo il mondo dell’arte contemporanea e dell’universo creativo di alcuni tra gli esponenti più significativi del panorama internazionale. Gli interrogativi a cui sembrano voler dare risposta le fotografie qui raccolte riguardano ciò che sta accadendo oggi in tale mondo, ma pure chi siano questi nuovi artisti che si buttano anima e corpo nella loro attività, e ancora da dove nasca la violenza spesso contenuta nelle loro opere e in loro stessi.
Paul McCarthy, Chris Burden, Herman Nitsch, Otto Muehl, Orlan, Damien Hirst, Andres Serrano, Wim Delvoye, Jan Fabre, Maurizio Cattelan, Marc Quinn, Marina Abramovic, Stelarc, sono alcuni dei soggetti scelti da Rancinan nel suo tentativo di spiegarci un’arte spesso spaventosa e inaccessibile, illuminandoci sulle rivoluzioni estetiche che hanno avuto luogo in un XX secolo “impietoso”. E attraverso il filtro del suo sguardo si scopre che in fondo questi autori, contrariamente ad ogni aspettativa, possono offrirci una luminosa lezione di etica e di estetica.
Nella sezione L’Altro, invece, il fotografo dà forma a ciò che è stato definito un elogio della diversità, proponendo ritratti di ermafroditi, donne barbute e mutilati, in quello che appare come un intenso reportage sull’handicap, tutto percorso da sentimenti di partecipazione e comprensione nei riguardi delle vite rappresentate: un reportage che prende l’aspetto di un abbraccio intorno ai corpi “mancati” e ai loro difetti fisici, nel tragitto che umanamente riconduce alla scoperta dell’unicità contenuta in queste diversità.
La sezione dedicata alla Fede, infine, si connota per la scelta di Rancinan di fissare, come i pittori delle corti barocche, la personalità e la storia di alcune eminenti figure del cattolicesimo contemporaneo, fra cui il cardinale Angelo Scola e gli arcivescovi di Milano e Firenze, Dionigi Tettamanzi e Ennio Antonelli, creando sull’esempio di Velázquez una ricca galleria di ritratti di chi oggi riveste un ruolo di primo piano nella Chiesa.