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3200 anni fa la grande siccità padana che distrusse la civiltà terremaricola. I geo-archeologi spiegano il perchè


Un interessante articolo pubblicato da La Statale news, organo di informazione dell’università milanese, legge, in un rapporto prospettico, l’allarme siccità che sta interessando da mesi la Pianura Padana, indagando una situazione assolutamente parallela che si verificò 3200 anni nelle stesse aree e che risulta ben testimoniata dalla Terramara Santa Rosa di Poviglio, in provincia di Reggio Emilia, che da anni vede impegnati i geoarcheologi del dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”, guidati dal professor Andrea Zerboni.

Le terramare erano villaggi dell’età del bronzo media e recente (ca 1650-1150 a.C.) appartenenti a una civiltà sviluppatasi nelle aree di pianura dell’Emilia e nelle zone meridionali delle province di Cremona, Mantova e Verona. Il nome Terramara deriva da terra marna, termine utilizzato dagli agronomi del XIX secolo per designare il terriccio fertilizzante che si ricavava dai depositi archeologici pluristratificati risalenti all’età del Bronzo.

Ricostruzioni di due abitazioni nel museo all’aperto del Parco della Terramara di Montale, foto P. Terzi

Il motivo principale che determinò questa progressiva colonizzazione della pianura, precedentemente scarsamente abitata e occupata da una estesa foresta planiziaria, fu un generalizzato aumento demografico e probabilmente un’oscillazione delle condizioni climatiche verso un clima più fresco ed umido che favoriva l’agricoltura. I villaggi delle terramare si sviluppavano mediamente su 2 ettari di terreno, sorgevano su un terrapieno circondato da una fossa d’acqua derivata da un fiume. Le case, in legno, erano disposte secondo un disegno ordinato, con vie che si incrociavano in modo ortogonale. Gli edifici erano realizzati su pali – come le palafitte – ma su terreno secco. Ciò che emerge dall’intervista è che questa civiltà entrò in crisi perchè trascinata da una sorta di compulsione produttiva, che tendeva, all’interno di un pensiero positivo, a ritenere che le condizioni climatiche non potessero mutare. Non ci fu pertanto un investimento progettuale nei confronti di invasi che potessero trattenere le acque.

Andrea Zerboni, geoarcheologo, docente del dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”

“Gli scavi presso il sito di Poviglio ed in altri ad esso contemporaneo, nonché lo studio di alcuni indicatori geologici che raccolgono informazioni sulle variazioni delle piogge avvenute nel passato, hanno permesso di identificare una fase di acuta aridificazione avvenuta in Pianura Padana circa 3200 anni fa – spiega Andrea Zerboni a La Statale news-. Questo evento è stato tra le cause che hanno portato alla scomparsa di una delle più antiche civiltà del Nord Italia, la cultura delle Terramare, che nel corso della media Età del Bronzo aveva introdotto una forma di agricoltura intensiva lungo le sponde del Po, ben prima dello sfruttamento agricolo messo a punto dai Romani”.

Gli eventi di oggi e quelli di 3.200 anni fa sono in qualche modo paragonabili?

“Sì perché i dati raccolti in anni di studio dimostrano che la siccità avvenuta 3200 anni fa è stata molto simile a quella attuale, con un sensibile abbassamento delle falde acquifere superficiali, probabilmente legato anche ad una secca del Po. Abbiamo studiato le stalagmiti delle grotte degli Appennini che ci raccontano di un periodo arido attorno a 3200 anni fa, mentre lo scavo della Terramara Santa Rosa ci ha permesso di capire che in quella medesima fase gli abitanti del villaggio furono costretti a scavare pozzi per raggiungere la falda acquifera sempre a maggiore profondità. Se nelle fasi precedenti potevano facilmente ottenere l’acqua utile per le attività domestiche e per i campi, tanto da aver realizzato sofisticati sistemi per l’irrigazione, ad un certo punto la risorsa diminuisce improvvisamente, richiedendo enormi sforzi per recuperarla”.

Dagli studi emerge che il popolo terramaricolo fosse in una significativa fase di espansione.

In quel tempo, il popolo terramaricolo era in forte espansione demografica e stava sfruttando intensamente le fertili terre della pianura, fino forse a ridurne la capacità produttiva. In questo contesto di sovrasfruttamento delle risorse naturali, alcune annate di forte siccità – come quella attuale – hanno portato al collasso del sistema terramaricolo e all’abbandono delle decine di villaggi distributi a nord e a sud del fiume Po.

La storia della Terramare può quindi essere una lezione per oggi e domani?

Assolutamente sì. Il caso della siccità di 3.200 anni fa e del collasso delle Terramare deve essere una importante lezione per i giorni nostri in termini di sostenibilità ambientale; sebbene le ragioni delle variazioni climatiche di ieri e di oggi siano differenti, occorre osservare come l’utilizzo eccessivo delle risorse naturali crei una forte vulnerabilità nelle comunità umane. Oggi, come allora, l’uso delle risorse naturali ha raggiunto livelli elevatissimi e occorre essere responsabili per evitare che qualche anno di siccità come quella del 2022 possano mettere in crisi i sistemi produttivi agricoli. Se oggi possiamo utilizzare mezzi meccanici per attingere acqua dal Po e controllare il rilascio di acqua dai laghi e dagli invasi artificiali, al tempo delle Terramare non fu possibile mitigare la vulnerabilità creata da un eccessivo sfruttamento delle risorse. Oltre a questo dobbiamo far fronte alla penuria di acqua con un suo uso responsabile.