Press "Enter" to skip to content

Adele Lo Feudo, confessione ai tempi del Covid. Così l'artista racconta con quadri e diario cos'ha vissuto


di Gabriella Bianchi
A Perugia vive e lavora l’artista cosentina Adele Lo Feudo.
Adele è un’artista raffinata e naturale allo stesso tempo, perché la pittura, come lei dichiara, è tutta la sua vita. Possiede un mondo interiore ricco di cultura e di sensibilità, orientato anche verso l’universo femminile di cui lei sa cogliere le varie sfumature.

Adele ha attraversato il mare tempestoso di un’attuale e terribile malattia: il Coronavirus o Covid 19, da cui è uscita cambiata e arricchita per poi incamminarsi verso una vita nuova.
Ha raccontato in un diario la sua dolorosa vicenda ed ora, tornata nella sua casa, tra gli affetti familiari, ha ripreso in mano i pennelli per riannodare il filo della sua vita interrotta dalla grave malattia.


 
Adele si racconta nella pittura, ed a tal fine ha ideato una trilogia racchiusa in una scatola e composta da tre tele appena dipinte con, al centro, la camicia del pigiama da lei indossato in ospedale su cui è appoggiata una poesia.
Come un naufrago scampato alla tempesta, Adele ha ritrovato la sua isola.
Il pigiama è il sudario dentro il quale Adele ha patito la malattia e la solitudine, perciò è posto al centro della scatola. E’ il protagonista della storia, il contenitore della sofferenza.
Le tele disposte ai lati, come pareti, raccontano le fasi della vicenda: da un lato Adele si raffigura distesa nel suo letto, ancora ignara del dramma che l’attende al varco; dall’altro lato c’è il virus rappresentato da un cielo in tempesta; la terza parete rappresenta la mano dell’artista stretta a pugno perché racchiude un tesoro che la sosterrà.
Il genio primario di ogni artista consiste nell’invenzione. Non era facile storicizzare una degenza ospedaliera. Non era semplice tradurre sulla tela l’isolamento vissuto in ospedale, privata per ragioni di sicurezza, come gli altri contagiati, del calore degli affetti.
Come in un film, Adele ha narrato la sua storia.
Nella prima tela lei è ancora in casa e ignora di essere già preda del virus. Si rappresenta supina, distesa sul letto con una mano che copre metà del volto: un chiaro segnale di precarietà.
Nella seconda sequenza lei è in ospedale; mostra di sé soltanto la mano serrata a pugno dove sta racchiusa la forza che la sostiene, una forza che le viene dal contatto con la mano dell’amato coniuge stretta prima di salire sull’ ambulanza.
La terza fase mostra il travaglio vissuto e trasferito in un cielo dai colori opachi, un cielo in movimento per un turbine di nubi. Un chiarore si fa strada a fatica in questo cielo tormentato, il primo di sette cieli.
Adele adesso è guarita ed ha ripreso poco a poco la sua vita familiare ed artistica. Il risveglio della creatività le ha dapprima suggerito, e poi imposto, la narrazione del suo percorso effettuata ritraendo i volti di medici e infermieri che l’hanno assistita, curata e condotta alla guarigione.
In una mostra tenutasi a Perugia nella Sala Cannoniera della Rocca Paolina, Adele ha disposto una trentina di opere d’alto livello.
Ogni opera raffigura (e contiene nel cerchio del supporto ligneo) un volto: occhi vivi, penetranti e parlanti la lingua della medicina e dell’umanità.
Questi volti sono stati, per tutta la durata della malattia, la famiglia di Adele.
Altre opere appese alle mura della Rocca raffigurano il cielo, o meglio, i volti del cielo racchiusi nella cornice della finestra dell’ospedale: questi cieli sono l’espressione del mondo esterno precluso ai malati, sono la metafora dell’aria che loro cercano con il respiro reso affannoso dal Covid.
Non si può lasciare la Sala Cannoniera senza essere turbati, e toccati nel profondo dell’animo, dalla storia narrata per immagini dall’ artista cosentina, restituita agli affetti e alla passione della pittura dal personale medico che lei ha ringraziato e gratificato con tanto amore e bravura.