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Ahi, troppo desiderio. I messaggi nei ritratti di fidanzamento dei giovani del Cinquecento



La fotografia con dedica amorosa è una consuetudine ottocentesca – estesa fino agli anni Cinquanta del Novecento – che affonda le radici nell’ambito di costumi più antichi. Come lo scatto fotografico rappresentò, in strettissima referenzialità con il soggetto, il dono dell’immagine all’amata/o – inteso come anticipo di una totale dedizione di sé -, il ritratto pittorico venne utilizzato molto spesso, tra le classi abbienti, nella forma dello scambio di una promessa.

Nell’ambito della storia della pittura può essere evidenziato un filone dedicato al ritratto di fidanzamento. E ciò al di là dei più evidenti dipinti in effigie realizzati in miniatura, così in voga tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. E’ però il Cinquecento ad elaborare, nell’ambito del perfezionamento tecnico della pittura e del procedere dello scavo introspettivo – ben delineato in origine da Leonardo, con i suoi studi dedicati alla fisionomica – e in concomitanza con la diffusione del sentire petrarchesco, un nuovo atteggiamento amoroso, quel procedere trasognato, che allude alla dolcezza del sentimento. Uno sguardo acquoso, lanciato lontano.
Consideriamo a questo proposito due quadri paradigmatici: l’Autoritratto di Rondani e il Ritratto di giovane uomo con ermellino e berretto piumato di Moretto. Nel primo dipinto, databile intorno al 1522, compare in alto a destra la scritta HEC EST VIVA TVI DVLCIS VICTORIA AMÃTIS / HIRVNDI DOCTA PICTA FIGVRA MANV / QVÃ PRECOR VT SERVES NE QVID CORRVPERE POSSIT / EXIGIT HOC ETIÃ NÕ SIMVLATVS AMOR (“Questa è, Vittoria, la viva immagine del tuo dolce amante, dipinta dalla dotta mano del Rondine, che ti prego di conservare in modo che nulla la possa rovinare; lo chiede anche l’amor sincero”). La scritta qualifica il quadro come una sorta di pegno d’amore, ascrivendolo al ritratto di fidanzamento o nuziale. La ricchezza di materiale (il supporto è una tavola di noce) ed il modo in cui l’effigiato si presenta al pubblico (lo sguardo morbido, ma fisso sullo spettatore, il candido bianco) definiscono la tipologia dell’opera. Russel (1975) ha sostenuto che questo quadro rappresenta l’autentico capolavoro di Rondani; il cui apice è dovuto al probabile intervento (almeno a livello di suggerimento) di Correggio, che all’epoca si apprestava a fare dipingere, su propri disegni, all’artista parmense il fregio della navata di San Giovanni Evangelista. La datazione intorno agli anni venti del Cinquecento è supportata sia dallo stile che dalle linee dell’abito, che rinviano alla moda del periodo.
Mauro Lucco concentra l’attenzione sulla finestra aperta che presenta uno scorcio con un albero in primo piano, fronde in lontananza e uno squarcio di luce tra le nuvole. Un paesaggio che contribuisce a rendere ancor più morbida l’effigie in primo piano, suggerendo una quinta naturale contrassegnata dagli accordi dell’idillio. L’influenza correggesca subita dall’artista è espressa sia nello sfumato atmosferico dei contorni che nel procedimento tecnico contrassegnato dalla sovrapposizione di tenui velature, realizzate con pennellate liquide, con l’accentuazione dei tratti luminosi con macchie di colore chiaro.
Da Lotto sembra acquisire il registro cromatico e il carattere di dolcezza psicologica esplicitato dalla posa di tre quarti e dal volto rivolto allo spettatore. Concentrandoci sullo sguardo si possono cogliere quella languidezza e quella sensualità che sono tipiche dell’animo in preda ad amore. E’ uno sguardo pieno di Grazia, quello stato di effusa beatitudine ben descritta dal Cicognara nei suoi Ragionamenti sul Bello, in cui si legge: “Gli occhi grandi di Minerva si fissano con uno sguardo bello e imponente e s’aprono in semicerchio grandioso; gli occhi di Venere ti guardano socchiusi, o lettore, come quelli della tua innamorata”.
moretto
Di grande interesse, sotto questo profilo, è pure il Ritratto di giovane con ermellino e berretto piumato, realizzato dal Moretto e databile al 1545 circa. Il dipinto presenta una scritta in greco nel risvolto della berretta: . Tale scritta diede origine ad un dibattito critico sull’identità del soggetto. Inizialmente nell’effigiato fu riconosciuto il conte Sciarra Martinengo Cesaresco meditante la vendetta per l’uccisione del padre Giorgio, avvenuta nel 1546. I critici ottocenteschi presero però a dubitare di questa identificazione. Non doveva essere la vendetta a percorrere – come risulta evidente – la coscienza di quest’uomo, ma un languido abbandono a un pensiero morbidamente invasivo. Dal Ponte (1898) riconosce nel soggetto lo stesso Giorgio, tesi supportata anche dall’espressione più malinconica che vendicatrice dell’uomo dipinto (nel 1930 Guerrini riprende questa ipotesi). Dickes (1893), leggendo anziché (“Ho desiderio di Giulia”), ritenne che il nome femminile fosse riferibile a Giulia Pozzo, moglie di Giacomo Cromo di Ternengo. Quindi non esitò a proporlo come personaggio del quadro (sotto questo nome compare il dipinto nei cataloghi della National Gallery dal 1898 al 1911, ma successivamente si torna all’ipotesi di Sciarra).
L’identificazione dell’effigiato col conte si scontra però sia con le linee dell’abbigliamento (l’abito è conforme alla moda degli anni 1535-1545) sia con le caratteristiche dello stile del Moretto in quegli anni. Boselli (1954) identifica l’opera oggi conservata a Londra con quella inventariata nel secolo XVII nell’Archivio storico civico di Brescia, che designa il personaggio come Fortunato Martinengo, il quale, nel 1542, sposò Livia d’Arco. E forse, a questo punto, siamo vicini alla verità. I tempi corrispondono perfettamente con la cifra pittorica dell’artista e con gli abiti del personaggio. La scritta in greco, che in realtà significherebbe Ahi, troppo desiderio, ben si addice al giovane sposo il quale regala alla fidanzata il proprio ritratto: “un ritratto – scriveva Boselli – di un fidanzato o di un giovane sposo (…) da inviarsi o da regalare alla donna, fidanzata o fresca sposa che sia, ed in questo caso si spiega benissimo quel senso melanconico, più esterno che interno, di abbandono che il ritrattato dimostra, tanto più facile da assumersi da un individuo fortemente impregnato di cultura classica come appare il nobile bresciano, e quindi cognito di tutta la poesia amorosa”. “Essendo nato il 9 luglio 1512 nel Trentino ‘dove s’era ridotta la contessa dapoy al sachezar de Bressa, essendo il Re di Francia’, al tempo del matrimonio – scrive Begni Redona nella monografia del Moretto – Fortunato aveva trent’anni, l’età apparentemente calzante all’uomo del dipinto. Questo Martinengo (morto a soli 40 anni nel 1552) fu un grande umanista”.
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[PDF] Ho desiderio di Giulia – Ahi, troppo desiderio



STILE ARTE 2007