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Gioielli di corallo nella pittura cinquecentesca. Proteggevano i bambini dalle streghe-vampire

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di Claudio A. Barzaghi
La vita fisica e simbolica del corallo è più varia e ricca di colpi di scena di un romanzo d’azione. Nato miticamente nel mare dal sangue della Gorgone Medusa decapitata, così ci racconta Ovidio nelle Metamorfosi, assume nel corso del tempo virtù e significati sempre più articolati e complessi, in parte già inscritti nella sua presunta triplice natura, animale, vegetale e minerale. Come ricordato da Plinio il Vecchio: “nasce negli abissi marini con l’aspetto di radice erborea contorta e ramificata; questa, una volta estratta dall’acqua, passa da una consistenza erbosa e molle allo stato solido come di una fronda pietrificata”. Tuttavia, nonostante l’intrinseca bellezza e l’abilità degli artigiani ne abbiano fatto nel corso del tempo un prezioso ornamento, sempre al sangue sembra destinato ad essere ricondotto.
Il corallo “pagano” incontra molto presto la religione cristiana, e di questo matrimonio magico-sincretico si trovano tracce già nei primi secoli del cristianesimo. Il passo per giungere alla sua trasformazione progressiva, e definitiva, in simbolo del sangue versato da Cristo sulla croce per la salvezza degli uomini – così come, per estensione, in presagio di Resurrezione – è stato abbastanza breve e quasi inevitabile. La sua adozione da parte del cristianesimo non stupisce: nel corallo, infatti, si possono incrociare senza sforzo – in virtù di alcune caratteristiche peculiari – il corpo e il sangue. In tal senso basterebbe il solo richiamo al sistema circolatorio: “La somiglianza tra un groviglio di rametti di corallo e l’intreccio dei vasi sanguigni nel corpo umano potrebbe essere il motivo dell’antica convinzione medica che con esso si possano curare le anomalie del flusso di sangue” (Silvia Malaguzzi).

Piero della Francesca, nella Madonna di Senigallia, dipinge un evidentissima collana con grani di corallo, terminante con un ramo dello stesso materiale
Piero della Francesca, nella Madonna di Senigallia, dipinge un evidentissima collana con grani di corallo, terminante con un ramo dello stesso materiale

Ma c’è dell’altro.
Il corallo si presta molto bene alla visualizzazione di alcune ossessioni. La prima delle quali trova appagamento nell’evidente forma di croce individuabile nei rametti più estremi, e questa individuazione altro non è che l’ennesima conferma di quella sensibilità che, anche in epoca moderna, ha ricercato spasmodicamente la cifratura del divino cristiano in fiori, piante e nella natura in genere. Mentre a una diversa ossessione palpitante: il timore per la perdita del sangue, avrebbero dovuto porre rimedio altre proprietà attribuite al corallo. E se Marsilio Ficino si limita a scrivere del pericolo: “E’ comune opinione che certe vecchie, che chiamiamo streghe, sugano il sangue de’ bambini, per ringiovanirsi quanto possono”, alla minaccia vampiresca (all’inizio strix è solo un uccello notturno succhia-sangue, ma in seguito diventa la strega propriamente intesa) le madri reagiscono adornando i propri pargoli con collanine e braccialetti di corallo per proteggerli dal male e infondere loro energia.


Incarnazione visiva di questa antica tradizione popolare è la larga diffusione – a partire dal Medioevo e fino al Cinquecento – del motivo iconografico della Madre col Bambino, dove il piccolo Gesù esibisce collanine e/o braccialetti di tale inequivocabile sostanza: “Area di particolare diffusione è quella umbra, piccole chiese e oratori, che si ricollega alla tradizione antica di Roma raccogliendo la sopravvivenza dell’antico fallo pagano nella forma del rametto naturale simbolo dell’‘infanzia dell’Uomo-Dio’” (Anna Maria Romano).
Giovannino de'Medici, ritratto da Bronzino, reca un reca un ramo di corallo rosso, alla cintola, all'altezza del suo fianco sinistro
Giovannino de’Medici, ritratto da Bronzino, reca un reca un ramo di corallo rosso, alla cintola, all’altezza del suo fianco sinistro

Diffusissimo nell’Italia centrale del XV e XVI secolo, quindi in un gran numero di manufatti, semplici e legati alla devozione popolare, è però ben presente anche in opere d’arte di tutt’altro spessore e lignaggio. Ed è il caso della produzione di artisti quali Antonio da Fabriano, Giovanni Boccati, Carlo Crivelli, Cosmè Tura, Andrea Mantegna, Pintoricchio, Piero della Francesca e Antonello da Messina, per citare solo alcuni tra i più noti. Ma se nella gran parte delle opere di questi autori il corallo appare in modo conforme alla tradizione esornativa più consueta, in altre, invece, sembrano manifestarsi quelle fessure di senso (salti semantici) che, secondo Jean Mukarovskij, caratterizzano il dettaglio nell’arte popolare, favorendo nuove combinazioni alla stregua delle tessere di un mosaico, con la conseguente offerta all’osservatore di possibili differenti interpretazioni.
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Infatti se in Mantegna, ad esempio, la presenza del corallo nella Madonna col Bambino (oggi all’Accademia Carrara di Bergamo) s’inserisce in un solco iconografico senza sorprese, come pure nella Madonna Trivulzio, la stessa cosa non accade per la Madonna della Vittoria. La quale rivela aspetti assai diversi, seppur molto vicina temporalmente all’altra.
Andrea Mantegna, Madonna della Vittoria,1496, tempera su tela, 280x166 cm, Parigi,Museo del Louvre
Andrea Mantegna, Madonna della Vittoria,1496, tempera su tela, 280×166 cm, Parigi,Museo del Louvre

Qui, di fatto, il riferimento al sangue primeggia: il dipinto commemora la vittoria e lo scampato pericolo di Francesco Gonzaga nella sanguinosa battaglia di Fornovo (1495), e dietro al trono si scorgono i volti di sant’Andrea (il cui sguardo fissa l’osservatore) e san Longino, entrambi legati saldamente al culto del Prezioso Sangue di Gesù, la reliquia conservata a Mantova. Inoltre, mentre sul capo del Gonzaga si protende la mano protettrice della Madonna, su tutto campeggia, ed è variazione significativa rispetto ai consueti monili, un voluminoso albero corallino rovesciato, una sorta di macroscopico omaggio alla superstizione.
Circa vent’anni prima del Mantegna, Piero della Francesca dipinge una delle più suggestive pale d’altare della storia: la Pala di Brera. Impossibile non affiancarla a quella della Vittoria, sia per la collocazione delle figure in un’analoga struttura spaziale e la centralità degli oggetti sospesi – là un macroscopico corallo, qui un uovo di struzzo -, sia per la presenza del donatore in armatura. Pure quest’opera è quadro votivo, verosimilmente il ringraziamento di Federico da Montefeltro per la vittoria ottenuta a Volterra (1472), vittoria che gli darà ulteriore fama di condottiero e diverrà tristemente nota per il lungo e feroce sacco della cittadina espugnata.
Forse, però, il ringraziamento è duplice e, contemporaneamente, si fa riferimento alla nascita del tanto atteso erede Guidobaldo, avvenuta anch’essa nel 1472. L’esigenza da parte di Federigo di richiamare la protezione sul sangue del suo sangue, ben spiegherebbe la presenza dell’evidente amuleto al collo del piccolo Gesù preda di un sonno parente della morte (una esplicita prefigurazione). Ulteriore richiamo al sangue, poi, si direbbe l’inserimento – secondo alcuni esegeti forzoso e tardivo – nella cerchia dei santi di Bernardino, il predicatore francescano che riesce a riappacificare i cittadini dell’Aquila dopo la morte, in virtù del copioso sanguinamento del suo corpo esposto alla venerazione del pubblico. In questo caso lo “scaramantico” corallo si troverebbe in buona compagnia, proprio con quel santo accusato di eresia e idolatria – per tre volte processato, ma sempre assolto – a causa di un oggetto da lui realizzato e utilizzato durante le prediche: il cosiddetto trigramma, una tavoletta dai poteri taumaturgici sulla quale il francescano aveva disegnato un sole raggiante in campo azzurro con sopra la scritta IHS (le prime tre lettere del nome Gesù in greco, oppure, secondo altre interpretazioni, In Hoc Signo [vinces]).
Più esplicito ancora il legame tra il Santo, il Bambino e il corallo, in un’opera umbra attribuita al Pintoricchio: “rappresentante san Bernardino orante innanzi al Bambino con collanina e rametto di corallo al collo, mentre una corona di corallo pende da una lampada d’argento dell’arco centrale” (Giovanni Tescione).
Mediatori assai differenti nell’aspetto e nella sostanza il terragno corallo e il trigramma, ma entrambi rappresentativi del supposto potere racchiuso nelle cose e, soprattutto, del delicato compito salvifico affidato alle immagini. Con una differenza non trascurabile, la presenza del corallo è una sorta di segnale: “attenzione, si parla di sangue”.
cosmè tura
Come accade nel singolare tondo di Cosmè Tura, Circoncisione, (qui sopra) dove la “fessura di senso” sembra manifestarsi come critica cristiana alla pratica stabilita da Mosè. Qui l’atteggiamento del piccolo Gesù non è affatto comune, e pare volersi sottrarre allo spargimento del proprio sangue allontanandosi dal sacerdote, mentre su tutto spicca come un sottile festone il corallo.
Al dunque l’alto e il basso, il potere dell’oggetto o della sua riproduzione pittorica, il divino e il mondano, tenuti insieme da un oggetto dalla natura plurale e dotato di un colore evocativo. Un amuleto il cui potere deriva dal riferimento diretto al sugo della vita. E se il sangue è vita, e in tal senso la sua presenza o assenza può darla o toglierla, allora ben si spiega la pervasiva presenza del corallo nei trattati di medicina e nelle opere pittoriche di un’epoca come il Rinascimento in cui, sotto l’apparente compostezza, albergavano seri dubbi e timori: “Anche nell’Europa medievale, fin dentro il cuore dell’età moderna, è esistita una sensibilità di tipo azteco per il sangue: sacro o sacrilego, puro o impuro, eletto o nefasto, questo liquido caldo e colorato, interno e segreto ma soprattutto pulsante e mobile. Carnalità e religiosità trovano nel sangue un elemento coagulante che rende possibile uno scambio continuo di pertinenze simboliche” (Piero Camporesi).
 
 

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