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Andrea Torinesi, suggestioni fotografiche come nel grande cinema




Andrea Torinesi, con questa opera fotografica, è stato tra gli apprezzati finalisti del Premio Nocivelli ’15.
Andrea Torinesi_Vite di passaggio
Ho scattato questa foto a Merida, in Messico.
Era la sera di capodanno del 2014. La gente li ha l’abitudine di passare il capodanno in famiglia, quindi suppongo fossero tutti nelle loro case, per dire addio al defunto anno a preparare la cena. La città era deserta. Erano quasi le otto di sera.
La luce era incredibile, il cielo era ancora naturalmente illuminato e le luci artificiali della città già accese. La luce è tutto in fotografia. Anche il più magnifico dei soggetti se illuminato male perde tutta la sua bellezza. La situazione era straordinaria, anche per la forma della città: le strade si incrociano a novanta gradi in un fitto reticolo, il tutto inserito fra le costruzioni coloniali colorate.
Ero in prossimità di un incrocio e decido di prendere qualche scatto. Ero posizionato quasi sull’angolo, quando vedo in lontananza arrivare un uomo a bordo di un triciclo. Osservo la strada davanti a me e vedo che le luci dei lampioni disegnano una zona di luce sull’asfalto, ideale per generare l’ombra di chi ci passa in mezzo. Il resto dell’illuminazione deposita ombre qua e la, a macchia di leopardo, mentre nel cielo sono ancora visibili le nuvole e parti di blu scuro intenso. Mi bastano pochi secondi per capire che sono un uomo fortunato.
Mi ritraggo di qualche passo e attendo il momento giusto, quando l’uomo sul triciclo entra nella zona di luce al centro dell’incrocio. Prima di scattare tengo aperto anche l’occhio sinistro, per vedere la sua posizione ed essere pronto: noto che mi osserva. Quando passa nella zona luminosa scatto. Il tempo è di 1/50sec affinche la sua sagoma non risulti perfettamente a fuoco, mostrandone il movimento.
Lo scatto non finisce mai quando l’otturatore si richiude. Non guardo mai subito il risultato sul monitor della reflex. Ma ripenso a ciò che ho visto. Il contesto era eccezionale ma ancora di più ho incrociato una forma di vita “appassionante”. Chissà dove sta andando, chissa come sarà la sua vita, casa sua, la famiglia se ce l’ha. Cosa mangerà, cosa farà. Quali sogni e desideri, quali demoni porta con se.
Quella forma di vita compare dietro un angolo, attraversa la strada lasciando un’ombra che somiglia ad un’impronta. Essa stessa è oscura. E’ sfumata, visibile solo per pochi secondi e poi scompare tra le luci artificiali e il buio.
Sono vite di passaggio, quelle che non si notano neppure. In questo scatto le vite di passaggio sono due: quella dell’uomo che pedala e la mia. Le linee della vita si sfiorano in uno sguardo e la fotografia mostra quel punto di contatto, nello spazio e nel tempo.
Rende un incontro casuale, un atto di fede, evidenziando la complessità di un mondo in cui le vite di passaggio hanno continui intrecci, e condividono istanti inconsapevolmente.
Il tutto avviene in un incrocio stradale, dove le nostre direzioni sono perpendicolari. Ho campo libero lungo la mia direzione, vedo la strada davanti a me, so dove sto andando e cosa c’è, ma non vedo la “strada” dell’uomo che mi guarda, non vedo da dove arriva e tanto meno dove sta andando. E anche questo è parte importante ed integrante di questo istante.
Mi capita spesso di scattare foto in cui ci sono di queste “vite di passaggio” che sono come comete, mi appassionano questi incontri casuali cosi intimi nel totale mistero; mi piace calarli in un contesto che ne risalti l’evidenza, chiedendo aiuto alla luce perché ne enfatizzi la forza. E’ l’individualità dell’essere umano: in quella sagoma c’è una vita, come dal suo punto di vista, c’è la mia all’angolo di questo incrocio. Se la mia vita è importante, lo è anche la sua e non lo è meno della mia: dipende solo da che parte le si osserva.
Ho poi deciso di convertire lo scatto in bianco e nero perche la luce artificiale arancione, per quanto molto calda e piacevole, sarebbe stata solo un disturbo, un fastidioso rumore di fondo. Cosi anche le linee, la prospettiva e la profondità risultano più marcate, mentre il cielo restituisce maggiore drammaticità.
Biografia di Andrea Torinesi
Nato nel 1971 in provincia di Milano, ho iniziato ad appassionarmi di fotografia solo undici anni fa. Da allora ho studiato molto, scattato migliaia di fotografie, partecipato a workshop, visitato mostre, collaborato con altri fotografi professionisti e facendo poi lavori in autonomia.
Andrea Torinesi
Nel 2010 ho aperto, nella provincia di Milano, uno spazio, un luogo di incontro, dedicato a chi volesse condividere le proprie esperienze fotografiche e volesse approfondire questa meravigliosa arte (chiuso mio malgrado poi nel 2013 causa trasferimento per lavoro da Milano a Bologna).
Ho tenuto corsi con il patrocinio di diversi comuni, corsi ripetuti più volte per il successo riscontrato. Sono convinto che l’approccio alla fotografia non debba essere solo relativo a come funziona una reflex o al concetto di esposizione. In realtà questo è assolutamente secondario. Non si insegna a scrivere spiegando come funziona una penna.
Ho tenuto una presentazione pubblica dedicata ad un reportage che ho realizzato nel 2011 in Etiopia accompagnando una missione umanitaria di un’associazione di medici. Portare questa straordinaria esperienza personale tramite le immagini di un mondo a parte, è stato appassionante.
Nel 2015 due miei scatti sono stati selezionati per due mostre di artisti esordienti, Expo Arte Italiana (Presidente di Giuria Vittorio Sgarbi) e naturalmente, il Premio Nocivelli.
In questi ultimi tre anni, ho viaggiato molto, toccando quattro Continenti, decine di stati e città, non per portare a casa immagini ma cercando fotografie. Vivo la fotografia, per mia fortuna, con grande libertà, senza vincoli e senza condizionamenti. Amo i paesaggi che mi emozionano, ma a volte ritrovo nella vita umana il più bel tesoro che il mondo metta a disposizione. La fotografia è una cosa viva, che parla e la vita sta dentro di essa.
La fotografia è certamente bidimensionale tuttavia sono convinto che sotto il livello del visibile e di ciò che essa mostra, con tutte le sue ambiguità, ci siano altri livelli che contengono molteplici informazioni, fra cui anche parti di autoritratto del fotografo. Cerco questi livelli, cerco di rendere la fotografia una sorta di contenitore ed è in questo spazio, in questa profondità che ritrovo la sua terza dimensione.