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Anticipazioni | Gauguin, i Nabis e l’influenza nella pittura italiana. La mostra a Rovigo


[googlemap src=”” align=”alignright” ][box type=”note” ]Gauguin, i Nabis e l’influenza nella pittura italiana
Rovigo, Palazzo Roverella
Dal 17 settembre 2016 al 14 gennaio 2017
 Info
Da lunedì a venerdì: 9.30-13.00 e 14.30-18.00
Sabato e domenica: 9.30-19.30
Tel.0425.460093
info@palazzoroverella.com
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Già il titolo “Gauguin, i Nabis e l’influenza nella pittura italiana” offre l’idea di un percorso di colore e di emozioni; unitario eppure variegato, fitto di storie che sono diventate leggende, anticipatore di tendenze e di mode. E non solo nel campo dell’arte. La mostra è allestita, dal 17 settembre 2016, nelle sale di Palazzo Roverella a Rovigo.
Un centinaio di opere, molte conosciutissime, altre da scoprire, cinque sezioni e tanto, tanto colore. “Sarà una mostra di emozioni, assicura il Curatore. E di storie intense. Storie di artisti in fuga, da città, da legami, da loro stessi, in molti casi. Che trovano rifugio in riva al mare, quello potente della Manica o quello dolce e casalingo della Laguna veneziana. Quasi fossero alla ricerca del valore purificatore dell’acqua e degli elementi naturali”.
A Pont Aven, sulla costa della Bretagna, Paul Gauguin giunse nel febbraio del 1888. Vi era già stato per un breve soggiorno due estati prima. Il sodalizio con Van Ghogh nel frattempo era finito, l’olandese aveva scelto il sud della Francia, lui la Bretagna. Qui si era andato formando un eden primitivo e quasi incontaminato, popolato da una comunità di giovani artisti che, dipingendo spesso insieme, traevano inspirazione dal paesaggio e dalle loro riflessioni.

Oscar Ghiglia, Ugo Ojetti nello studio
Oscar Ghiglia, Ugo Ojetti nello studio

Alla loro ricerca sottendevano tensioni intellettuali. Molti cercavano la semplicità, nella vita così come nell’arte. Una semplicità fortemente creativa, decantata dai fumi impressionisti, tesa all’essenziale. Profeti di un nuovo che attingeva ad un primigenio, all’essenza. Pur in una visione assolutamente soggettiva della realtà, della quale l’artista era in grado di cogliere i significati simbolici nascosti.
Il linguaggio espressivo e antinaturalistico del gruppo, influenzato dalle poetiche del primitivismo e dell’esotismo, ispirò varie correnti: i Profeti, o meglio Nabis, dall’antico ebraico, i Sintetisti, i Fauves e via via sino all’Art Nouveau e all’astrazione.
Questi stimoli innovativi contaminarono l’Europa, senza tralasciare l’Italia. Ed è proprio sul versante nazionale che si concentra la seconda parte di questa magnifica rassegna.
La “stagione bretone” dell’arte italiana tra gli anni ’80 dell’Ottocento e il primi decenni del secolo successivo, è ben individuabile. La si incontra in diversi artisti, o meglio in precise fasi della loro produzione.
Sono pittori che in molti casi hanno vissuto a Parigi e che nella capitale francese, o comunque oltralpe, hanno acquisito caratteri e cadenze linguistiche di inequivocabile qualificazione gauguiniana e Pont–Aven. Cagnaccio di San Pietro, Mario Cavaglieri, Felice Casorati, Oscar Ghiglia tra tanti.
Ma non caso la rassegna si chiude su Gino Rossi e la sua Burano. Rossi, uomo e artista pregno di illuminazioni e di tenebre, “straordinario campo – afferma Romanelli – di forze, di polarità, di tensioni, di urgenze e di riflessioni”.
Gauguin e Rossi, due storie lontanissime eppure vicine: il primo conquistato, catturato e tragicamente sedotto dai paradisi tahitiani, il secondo scivolato in un fulminante itinerario sin dentro i gironi d’inferno di un manicomio di provincia.
Eppure capaci, entrambi, di una pittura dove la semplicità è purezza primigenia e insieme ingenuità, affinamento alchemico e traduzione di un pensiero filosofico cristallino, lucido e tragicamente fragile.