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Arte, élite e popolo. L'odio di Pasolini per la massa. Un sistema estetico per artisti-filosofi comunisti


Amatissimo dalla sinistra – per quanto occupasse una posizione corsara, comunque sempre efficacemente convergente, nell’ortodossia – Pasolini rappresentò un’icona cristallizzata degli anni Sessanta e Settanta. Fu ereticamente organico con il contropotere del Pci e ne costituì l’ala del dissenso programmato ed estetizzante, che faceva presa sull’elettorato colto. Mai come oggi è possibile capire cosa intendesse per élite e per massa, questo intellettuale che tanto ha dato al dibattito politico e pochissimo – sotto il profilo qualitativo – al romanzo o alla poesia, che oggi vediamo come scatole vuote, appesantite da una struttura ideologica soverchia, grevi di quell’odio e di quel risentimento che ancora percorrono il nostro Paese. Il luogo dell’utopia marxista-narcisista, prefigurato da Pasolini stesso, si è innalzato in questi anni dalla superficie del mare. In fondo. la sinistra di Pasolini era quella del nuovo potere che sarebbe stato gestito da un’élite intellettuale di professionisti figli del popolo, con un’arte decentrata, con nuove banche, nuove forme di produzione – le cooperative – e una magistratura alla quale la Repubblica dei filosofi si sarebbe affidata per sciogliere ogni nodo realmente eretico. Questo breve intervento è illuminante anche per una contestazione che viene posta a Pasolini da uno spettatore, il quale più o meno dice: “Lei è contro la vecchia élite, ma la utilizza per la diffusione del proprio pensiero”. Pasolini è evidentemente in crisi, nella risposta. E questa è una delle numerose contraddizioni di un uomo che si diceva nemico di ogni sfruttamento. (curuz)
 
https://www.youtube.com/watch?v=DNPWWYVmV6U