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Bronzino – L’Allegoria di Venere svelata. Elena e Troia. L’Amore che porta al disastro irreparabile


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Agnolo Bronzino, Allegoria del trionfo di Venere, 1540-1545 circa, olio su tavola, cm 146x116, Londra, National Gallery. La tavola fu donata da Cosimo I de' Medici al re Francesco I di Francia, poichè Ducato di Toscana tesseva alleanze strategiche per evitare di essere annesso all'impero di Carlo V. Per questo cercava di ingraziarsi la Francia inviando preziosi doni come questo mentre, per allearsi con la Spagna, Cosimo I sposò la figlia del viceré di Napoli, Eleonora di Toledo; per ingraziarsi il papato infine consegnò a Pio V Pietro Carnesecchi, un suo amico intimo accusato di eresia, che finì per questo bruciato al rogo.
Nell'Ottocento il pube di Venere fu nascosto dall'apposizione pittorica di una stoffa gialla, mentre le natiche di Cupido furono occultate dalla sovra-dipintura di un ramo di mirto, rimossi mel Novecento durante un restauro. Maurizio Bernardelli Curuz offrono per la prima volta le fonti letterarie e il congruo significato del dipinto
Agnolo Bronzino, Allegoria del trionfo di Venere, 1540-1545 circa, olio su tavola, cm 146×116, Londra, National Gallery.
La tavola fu donata da Cosimo I de’ Medici al re Francesco I di Francia, poichè Ducato di Toscana tesseva alleanze strategiche per evitare di essere annesso all’impero di Carlo V. Per questo cercava di ingraziarsi la Francia inviando preziosi doni come questo mentre, per allearsi con la Spagna, Cosimo I sposò la figlia del viceré di Napoli, Eleonora di Toledo; per ingraziarsi il papato infine consegnò a Pio V Pietro Carnesecchi, un suo amico intimo accusato di eresia, che finì per questo bruciato al rogo.
Nell’Ottocento il pube di Venere fu nascosto dall’apposizione pittorica di una stoffa gialla, mentre le natiche di Cupido furono occoltate dalla sovra-dipintura di un ramo di mirto, rimossi mel Novecento durante un restauro. Maurizio Bernardelli Curuz offrono per la prima volta le fonti letterarie e il congruo significato del dipinto

 
di Maurizio Bernardelli Curuz
e di  Ilaria Mirani
 
E’ l’irreversibilità del tempo, l’ineluttabile concatenazione dei fatti e l’impossibilità di cancellare ciò che si è commesso – a causa di un sentimento irresistibile – il significato dell’Allegoria dell’Amore, opera di Bronzino nota per la finezza cromatica, l’eleganza del disegno e dell’impaginazione nonché per l’arditezza erotica del soggetto. Il dipinto si riferisce, in particolare, alle conseguenze del legame tra Elenae Paride che, com’è noto, suscitando la vendetta del marito di lei, provocò la guerra di Troia, fonte di lutti infiniti. Ma è anche un invito alla responsabilità, al controllo dei sensi, alla considerazione delle ricadute di una leggerezza, compiuta per assecondare la volontà della natura, che si trasforma da miele in fiele. Bronzino si ispira pertanto, come vedremo, all’Iliade, recuperando alcuni passi del celeberrimo poema e proiettandoli in chiave allegorica. La narrazione è svolta dall’artista attraverso gli occhi di Elena.

Veniamo agli episodi del libro omerico da cui il pittore muove per la realizzazione del quadro. Il primo si riferisce ad Elena che, durante il conflitto, dichiara che non vorrebbe essere mai nata, né aver seguito Paride; il secondo, al dolore di Ettore per i disastri di una guerra provocata dalla superficialità del fratello.
Ecco la conclusione alla quale siamo giunti dopo un’attenta rilettura del dipinto, le cui numerose interpretazioni esistenti non sembrano del tutto congruenti nell’ambito dell’economia dell’opera stessa intesa come testo compiuto. Questa rilettura dell’intera allegoria non lascia, a nostro avviso, margini di dubbio e fornisce un quadro di coerenza tra i diversi elementi della tela, confermati esternamente dal poema.

Siamo partiti, ai fini del rilevamento semantico, dalla presenza di un’azione conflittuale, che appare sul fondale, e dal reciproco disarmo di Venere e Amore, in veste di Cupido. Da un lato – nella parte superiore del dipinto – una donna in lacrime cerca di “stendere un velo” per cancellare ciò che scorge davanti a sé; dall’altra un vecchio barbuto con clessidra – che impersona l’azione inesorabile del tempo – allunga il braccio, rendendo impossibile alla donna stessa di coprire la scena poiché Crono, nonostante il desiderio degli uomini di vederlo arretrare – così da consentire loro di ripercorrere il destino a ritroso, imboccando un’altra strada -, procede implacabilmente nel proprio cammino.
In primo piano osserviamo invece Venere che, furtiva, sottrae la freccia dell’innamoramento dalla faretra di Amore mentre costui, con un’azione pure guardinga, toglie il diadema alla madre, annullandone i poteri. Perché una donna annichilita cerca di coprire la scena con un drappo blu, mentre il Tempo glielo impedisce? Perché Amore e Venere si disarmano?
Il quadro nasce certamente come proiezione del punto di vista di Elena. E’ lei a sperare di annullare ciò che è stato. Non vorrebbe essere mai nata, come dice nell’Iliade, vorrebbe non aver mai abbandonato il letto nuziale, vorrebbe cancellare il primo incontro con Paride, tornare a quel bivio – che già Ercole aveva affrontato in direzione della virtù, negando le profferte del vizio – per permettere al tempo di riavvolgersi su se stesso affinché sia evitata la guerra. Ma l’amore, improvvido quando assume le caratteristiche del grande inganno (le maschere d’uomo e di donna abbandonate a terra), del desiderio demoniaco (la fanciulla dal bel volto innocente, che nasconde una coda dotata di pungiglione e grinfie da chimera, la quale si presenta portando un favo di miele), dell’irresistibile, sensuale concessione priva di ragione (il putto, che reca petali di rosa e una sonagliera alla caviglia) è destinato ad essere fonte del dramma.
Tutto nel quadro concorre a delineare la caduta che Elena ricorda in ogni dettaglio. Bronzino, con i suoi personaggi, giunge puntualmente, a questo proposito, alla raffigurazione dei quattro sensi eccitati che sono stati causa del cedimento: la vista (la nudità di Venere e Amore), l’olfatto (il profumo inebriante delle rose), il gusto (la dolcezza del miele), l’udito (la travolgente allegria dei campanelli).

La convergenza dei sensi ha fatto sì che Elena e Paride – com’era stato promesso da Venere, in cambio della mela d’oro – cadessero l’una nelle braccia dell’altro. E qui è l’inganno. L’inganno dell’amore, motivo di infinite rovine, quando i sensi sono più forti della ragione: ragione che avrebbe dovuto indurre la donna a resistere ad ogni tentazione, in virtù del proprio legame nuziale con Menelao.
Elena capisce di aver sbagliato gravemente, di aver provocato dolore, e non solo a se stessa. Ai suoi piedi c’è un guerriero dalla lunga chioma, Ettore, che grida sgomento. Lei vorrebbe cancellare ciò che è stato, agire sul lenzuolo del tempo. Ma Crono ne blocca il disperato tentativo.
L’allegoria di Bronzino, opera qualitativamente apicale del periodo tardo-manierista (1540-46), dipinta per volere di Cosimo de’ Medici, si è tradizionalmente presentata quale nodo gordiano, sul piano iconologico, ed è stata fonte di numerose interpretazioni, tutte caratterizzate da un rapporto di incongruità tra i diversi elementi semantici. Essa è infatti conosciuta con più titoli: Allegoria di Venere e Amore, Il Trionfo di Venere, La lussuria smascherata.
Come detto, spiccano, in primo piano, le tenere figure di Amore e Venere, identificabili grazie agli inconfondibili attributi iconografici. Il giovane Cupido, con la faretra e le ali sulla schiena, si china maliziosamente verso la madre, la quale, voltandosi, gli sfiora le voluttuose labbra. Ella porta sul capo il diadema di perle, simbolo del potere dell’amore, mentre nella mano destra tiene il pomo d’oro della discordia. I corpi avviluppati esaltano l’assoluta bellezza delle morbide e vellutate carni, si mischiano e cedono all’inevitabile bacio ingannatore. Nell’attimo stesso in cui i sensi si accendono, Cupido tenta così di rubare il prezioso diadema a Venere mentre le accarezza la testa; a sua volta la dea cerca di distrarre il giovane, per sfilargli dalla faretra una freccia d’oro, sottraendogli gli strali con cui colpisce il cuore degli uomini. Subito, la mela d’oro che, secondo il mito greco, fu causa e origine della terribile guerra troiana, cattura l’attenzione, suggerisce nuove piste interpretative. I versi cantati da Omero nell’Iliade sono pertanto l’eco da cui diparte lo svolgimento dell’allegoria bronziniana.
bronzino-allegoria di venere e cupido-parte 1-rifatta
Dei personaggi che creano una sorta di cornice circolare attorno ai due amanti, alcuni sono universalmente riconosciuti, altri invece sono rimasti fino ad oggi oscuri. Nel tempo, lo si ricordava, il quadro ebbe varie letture, sempre incentrate sull’amore tra Venere e Cupido, ma nessuna riuscì a decifrare in modo completo ed esauriente il misterioso messaggio simbolico creato da Bronzino, poiché nessuna tenne in considerazione la tematica amorosa derivata dal poema epico.
Vasari parla dell’opera nella prima edizione delle Vite (1550), descrivendola come un dipinto di “singolare bellezza, che fu mandato in Francia al re Francesco, dentro al quale era una venere ignuda con cupido che la baciava, et il piacere da un lato et il gioco con altri amori, e dall’altro la fraude, la gelosia et altre passioni d’amore”. Notiamo come tale descrizione non rispecchi la reale iconografia. Vasari aggiunge personaggi alla scena e ne confonde la posizione (del resto, al tempo la tela si trovava già in Francia da almeno cinque anni).
Negli Studi di iconologia, Erwin Panofsky dedica alcune delle sue pagine più belle a questo quadro, dandone un’autorevole interpretazione ancor oggi riconosciuta e condivisa, nonostante egli attribuisca alle figure di secondo piano significati incongruenti rispetto all’insieme dell’opera.
Panofsky considera il dipinto come l’allegoria dell’amore pericoloso ed ingannatore. Dietro alla coppia centrale, infatti, il personaggio dal volto di ragazzina e dal corpo bestiale trattiene nelle mani rovesciate un favo di miele, indice della dolcezza dell’amore, da un lato, e dall’altro un animale venefico, indice delle insidie dell’amore. In lei egli riconosce la Frode, come ricordava Vasari, ed il pericolo. L’idea viene avvalorata dalla presenza ai piedi di Venere delle due maschere del teatro greco, anch’esse emblemi di inganno. Panofsky però lascia inconclusa l’interpretazione, non trovando giustificazioni possibili da associare a tutte le altre figure.
Sviluppiamo ora la nostra tesi centrata sul mito troiano. Ripartiamo dunque dalle maschere. Esse si trovano, lo si sottolineava, ai piedi di Venere e contrastano con le colombe, simbolo dell’unione nuziale e della monogamia, situate ai piedi di Cupido. Oltre a rappresentare l’inganno e ad indicare il celarsi di un’insidia, quando sono gettate a terra, come nel nostro caso, le maschere assumono significato di ipocrisia e falsità. Ecco allora apparire il primo riferimento all’Iliade: i pennuti ricordano il matrimonio tra Elena e Menelao, distrutto e sfregiato dalla trappola indotta da Venere che aveva dispiegato tutti i suoi poteri per indurre Elena stessa a cedere a Paride. I personaggi da cui è circondata sono le armi della seduzione.
Accanto alla dea, il bimbo dai riccioli d’oro che porta tra le mani petali di rose. Il fiore è uno degli emblemi dell’amore e della femminilità. La cavigliera a sonagli del putto è stata erroneamente ritenuta simbolo immediato del piacere carnale, individuando così nel piccolo l’immagine della Gioia sensuale. Inoltre, i campanelli vennero collegati alla coda da serpente (?) dell’enigmatica figura femminile che si nasconde dietro al fanciullo. Molti documenti attestano però l’uso di indumenti particolari, arricchiti da sonagli e indossati durante le feste dell’antica Grecia (Panofsky, Studi di iconologia). Il bambino rappresenta così l’infantile felicità dei sensi (il profumo, il suono, la danza) offerta agli amanti.

Il personaggio della ragazzina retrostante fu oggetto di numerose interpretazioni. Si parlò di frode, ma noi riteniamo che sia l’inganno amoroso. Questa figura presenta infatti un bellissimo viso, però privo d’espressione, rigido e severo, le zampe da leone ed il corpo da rettile, che termina con un’appendice pelosa il cui apice è costituito da un pungiglione corneo. I capelli sono trattenuti da un cerchietto di perle; il mezzo busto, coperto da vesti sontuose, lascia emergere le mani che, inaspettatamente, sono rovesciate: al posto della destra la sinistra e viceversa. Una di esse regge un favo, piuttosto riconoscibile nonostante sia in penombra. Ecco allora la Frode, intesa però come inganno d’amore. Il favo contiene infatti il dolce miele, ma anche le api che pungono e che sono fonte di dolore.

Lucas Cranach il Vecchio-Venere e Amore con favo di miele. Il miele dell'amore può nascondere numerose insidie, come l'alveare. L'estrema dolcezza può trasformarsi in estremo dolore. La diffusione dell'allegoria e l'esplicita rappresentazione in Cranach il Vecchio conferma il significato della presenza del favo nella tavola di Bronzino
Lucas Cranach il Vecchio,-Venere e Amore con favo di miele. Il miele dell’amore può nascondere numerose insidie, come l’alveare. L’estrema dolcezza può trasformarsi in estremo dolore. La diffusione dell’allegoria e l’esplicita rappresentazione in Cranach il Vecchio conferma il significato della presenza del favo nella tavola di Bronzino.

Il tema di Amore punto dalle api venne del resto rappresentato in varie epoche da più artisti. Cranach il Vecchio, ad esempio, gli dedica due opere che rivelano numerose consonanze, perché in entrambe il piccolo si lamenta con la madre dopo esser stato aggredito da uno sciame. Egli voleva assaggiare il miele da un favo. Venere rimprovera allora Cupido, ricordandogli che ciò che egli patisce in quel momento è lo stesso dolore da lui inflitto a qualche sventurato. Bronzino compie un potenziamento iconografico, dipingendo un aculeo all’estremità della coda della ragazzina che reca con sé l’offerta del favo.
Ma nel quadro c’è pure la mela. Che cosa sarebbe successo se Paride, prima di conoscere Elena, non avesse dato il pomo d’oro – il pomo della discordia, che rinvia comunque anche al frutto biblico del peccato – ad Afrodite, la quale gli aveva promesso in cambio l’amore della donna più bella del mondo? Probabilmente la morte non avrebbe mietuto tante vittime.
Il Tempo trattiene, nel dipinto, un drappo blu, evitando che Elena lo possa ripiegare sulla scena del proprio tradimento. Sulle spalle il vecchio porta una clessidra, che nella pittura dell’epoca è invariabilmente messa in relazione con la morte, di cui il Tempo è ministro. Torniamo però a Bronzino.

Le braccia del Tempo palesano i muscoli in tensione mentre reggono il velo, lasciando aperto il sipario e dimostrando, in questo modo, che ciò che è avvenuto non può essere mutato né dimenticato. Tale atteggiamento è in contrapposizione con l’azione svolta dalla figura a specchio nell’angolo sinistro, che noi abbiamo identificato in Elena.
Attorno a quest’immagine femminile erano state formulate molte ipotesi, ma nessuno è giunto ad una interpretazione linearmente coerente con il resto dell’opera. Panofsky credette in un primo momento che fosse la Verità che aiuta il Tempo ad alzare il velo in quanto veritas filia temporis. Cambiò opinione, però, quando osservò che nel quadro c’è una contrapposizione fra i due personaggi: si scambiano sguardi irosi e sembra che lei cerchi di coprire la scena col drappo piuttosto che sollevarlo. Da qui nacque la più diffusa e semplicistica idea di considerarla l’allegoria della Notte, che cela gli amanti e pare fermare il tempo.
Non vi sono dubbi, invece, che si tratti di Elena. La povera Elena che, pentita per esser stata cagione di tanta atrocità, avrebbe voluto tornare indietro, negandosi alle lusinghe dell’amore e a Paride. Nell’Iliade, la donna si rammarica di questo; sottolinea che sarebbe stato meglio morire anzitempo, o non essere mai nata piuttosto che essere divenuta concausa di una simile tragedia. La fonte da cui Bronzino muove sta nel terzo canto del poema (versi 173-176): “Oh, se mi fosse piaciuta morte crudele, quando qui / il figlio tuo seguii, lasciando talamo e amici, / e la figlietta tenera, e le compagne amabili… / Ma non avvenne così, perciò mi struggo a piangere” (traduzione di Rosa Calzecchi Onesti). E ancora, ella biasima Paride, giungendo al limite della maledizione (versi 428-431): “Sei tornato dalla guerra. Oh, se là fossi morto, / vinto da un uomo forte com’era il mio primo marito! / Ah, ti vantavi che Menelao caro ad Ares / con la forza, la mano, l’asta tua avresti vinto!”.
Il rimorso colpisce di nuovo Elena (versi 139-142):“Dicendo così, la dea le mise in cuore dolce desio / del suo primo marito, dei genitori, della città… / Subito, di bianchi veli coprendosi, / mosse dalla stanza, versando una tenera lacrima”.
Omero descrive pure una splendente, larga tela che la donna andava istoriando, elemento che Bronzino avrebbe ripreso, trasformando la stoffa nel velo del tempo.
Nel quadro, sotto la figura di Elena troviamo un altro personaggio, anch’esso non correttamente identificato. Potrebbe trattarsi di Ettore. Egli chiude il ciclo iconografico dell’opera assieme al ramoscello di mirto ai suoi piedi. Lui, come Elena, è uno dei protagonisti dell’Iliade. Nel poema di Omero, egli si dispera spesso per ciò che il fratello ha scatenato e vorrebbe porvi rimedio. Nel dipinto, Ettore appare in secondo piano, nascosto dal bellissimo corpo marmoreo di Cupido. Bronzino ne mostra in modo netto il volto, stravolto dal dolore. La bocca spalancata emette un terribile urlo, quasi si possa sentire la rabbia che sale dalle viscere, i denti sono rovinati, gli occhi stralunati roteano all’indietro. Egli si tiene la testa con le mani sporche di sangue, sulle spalle livide cadono i lunghi capelli scuri. Le membra sembrano contorcersi su se stesse, scure, come se avessero già perso il fiato vitale. Tutto è presagio di morte. Ed Ettore morirà, colpito da Achille.
Molti, da Vasari a Panofsky, hanno voluto vedere in questa figura una vecchia grottesca, incarnazione della gelosia, altro inconveniente dell’amore, forse quello che più fa soffrire.
Innanzitutto si tratta di un uomo e non di una donna, considerati i pettorali muscolosi, nonché la struttura delle braccia. Le dita insanguinate ricordano la morte e la tragedia della battaglia. Non meno importante ai fini della comprensione dell’opera di Bronzino è la presenza, all’interno del canto VI dell’Iliade, di un dialogo assai significativo tra Elena ed Ettore.
Così infatti si legge (versi 343-358): “Ma Elena gli si volse con parole di miele: / ‘Cognato mio, d’una cagna maligna, agghiacciante, / ah, m’avesse quel giorno, quando la madre mi fece, / afferrato e travolto un turbine orrendo di vento, / sopra un monte o tra il flutto del fragoroso mare; / e il flusso m’avesse spazzato, prima che queste cose accadessero… / Ma dopo che gli dei fissaron così questi mali, / avrei voluto essere almeno sposa d’un uomo più forte, / che fosse sensibile alla vendetta, ai molti affronti degli uomini. / […] Ma tu vieni qui ora, siediti in questo seggio, / cognato, ché molti travagli intorno al cuore ti vennero / per colpa mia, della cagna, e per la follia d’Alessandro, / ai quali diede Zeus la mala sorte. E anche in futuro / noi saremo cantati fra gli uomini che verranno…’”.
Nel canto XXII, dedicato alla morte di Ettore, l’eroe – prima del fatale momento – si sofferma su se stesso e sulla battaglia che tra poco dovrà combattere contro il valoroso Achille, nonché sulle conseguenze della guerra, dichiarandosi anch’egli causa del disastro (versi 99-110): “Ohimè, se mi ritiro dentro la porta e il muro, / Polidàmante per primo mi coprirà d’infamia. / […] Ora che ho rovinato l’esercito col mio folle errore, / ho vergogna dei Teucri e delle Troiane lunghi pepli, / non abbia a dire qualcuno più vile di me: / ‘Ettore ha rovinato l’esercito, fidando delle sue forze’. / Ah sì, così diranno. E allora per me è molto meglio / o non tornare prima d’aver ucciso Achille, / o perire davanti alla rocca, di sua mano, con gloria”.
Poco più sotto, Ettore viene paragonato a pavida colomba, richiamando il volatile che nel dipinto bronziniano si trova sia sotto i piedi dell’eroe greco che accanto a quelli di Cupido e creando una sorta di continuità narrativa.
L’analisi iconografica ed iconologica si conclude così con la presenza, vicino ad Ettore, di un rametto di mirto. Letta ciclicamente, la tela inizia e termina con questo elemento simbolico. Esso infatti si riferisce, com’è noto, al tema amoroso in genere, emblema della fecondità e del matrimonio. Dunque il rametto rimanda tanto a Venere e Cupido, quanto a Paride ed Elena. Nella Grecia classica e nella prima romanità, il mirto era però utilizzato anche durante le celebrazioni funebri per coronare le spoglie di guerrieri eroici, di poeti famosi e di gloriosi vincitori ai giochi. La lettura del dipinto si apre con il mirto che diviene incipit amoroso e si chiude con lo stesso, profezia di morte. Il tempo nulla concede.
L’analisi dell’opera attraverso
l’individuazione e l’isolamento
di ogni area semantica
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Elena disperata, in lacrime cerca di “stendere un velo” per cancellare il momento un cui fu incantata da Paride e se ne innamorò. Elena spera che sia possibile tornare nel passato per cambiare le sorti del destino. Ma il vecchio Cronos, il Tempo – che reca una clessidra sulla schiena – le impedisce il movimento di annullamento dell’episodio amoroso, compiendo un movimento inverso, sulla tela. Mentre Elena spinge in avanti la stoffa, Crono ne blocca il movimento con il braccio possente. Ciò che è successo non può essere mutato. Agli uomini e alle donne viene chiesto il massimo senso di responsabilità, la massima valutazione razionale nonostante gli allettamenti dell’amore e dell’infatuazione, che possono diventare sentimenti distruttivi per sé e per gli altri.
 
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Ettore, il coraggioso fratello di Paride, si accascia a terra, dilaniato dal dolore e dalla disperazione per l’annientamento del suo popolo a causa della sconsideratezza di Paride stesso che ha provocato una guerra terribile, annullando, per desiderio erotico, un codice d’onore
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Venere-Afrodite, dea della bellezza e dell’amore, sfila a Cupido la freccia che causa l’innamoramento. Cupido-Eros, figlio di Venere-Afrodite, cerca di togliere il diadema alla madre per ridurne i poteri amorosi. Cupido è il più giovane degli dei, egoista e crudele, tanto che Zeus consiglia ad Afrodite di ucciderlo.

La madre non ha però il coraggio di farlo e lo nasconde in un bosco, dove viene allevato dagli animali selvatici, ambiente che lo rende ancora più capriccioso e malvagio. Tante sono le vittime delle sue trappole amorose, generate dalla veloce freccia d’oro. Amore, incestuoso, impugna il seno della madre. Il diadema di perle, simbolo di femminilità e bellezza, è uno degli elementi che caratterizzano la figura e la potestà di Venere-Afrodite. Le due figure, nel quadro di Bronzino disattivano reciprocamente i poteri che inducono all’innamoramento, secondo il desiderio di Elena, che vorrebbe la reversibilità del tempo per evitare che il proprio amore extraconiugale per Paride produca solo sangue e distruzione.
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Il pomo d’oro della discordia è legato alla vicenda di Elena e Paride, quindi alla guerra di Troia. Secondo la mitologia greca, venne lanciato dalla dea Eris durante il banchetto per il matrimonio tra Peleo e Teti. Eris, per vendicarsi del mancato invito alla festa, incise sul frutto la frase “Alla più bella”, causando così una lite furibonda tra Era, Afrodite ed Atena. La scelta di Paride di donare il pomo ad Afrodite in cambio dell’amore di Elena, la donna più bella sulla Terra, generò il conflitto tra Greci e Troiani
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Le colombe sono simbolo del matrimonio. Qui vengono quasi calpestate da Cupido, che ha travolto, con la passione per Paride. la serenità coniugale di Elena. La sottrazione di Elena al marito e il trasferimento a Troia con Paride diverrà il casus belli tra greci e troiani
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Le maschere del teatro greco – una maschile, l’altra femminile – rappresentano l’inganno ed il celarsi di un’insidia; quando sono gettate a terra, assumono significato di ipocrisia e falsità. Quindi, collegate agli altri lemmi semantici presenti nel quadro, indicano il  tradimento matrimoniale.
 
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Il putto, simbolo della Gioia, accompagna le figure di Venere e Cupido, rallegrandone l’abbraccio. Il sonaglio, utilizzato durante le danze nelle celebrazioni greche pagane, sottolinea il dolce inganno dei sensi provocato dalla musica. I petali di rose sono simbolo di femminilità, ma al tempo stesso del profumo e pertanto dell’olfatto. Sovente si riferiscono alla figura di Venere, divenendone attributo iconografico
 
L’enigmatica fanciulla, la Frode, rappresenta l’inganno amoroso.  Il favo di miele si riferisce sia a Venere e Cupido che alla Frode: indica la soavità dell’amore che annebbia la ragione ed il pericolo celato dai sensi. Dietro la dolcezza del miele stanno i pungiglioni delle api. La ragazza ha una lunga coda demoniaca, che rivela le caratteristiche del ventre dei serpenti, coda che si presenta accanto al piede del putto in primo piano.
Elena: dapprima consenziente al rapimento amoroso, ora pentita, tenta di coprire la scena contrastata dall’azione del Tempo, che rende ogni fatto irreversibile
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[PDF] C’è il dramma di Elena dietro l’amore di Bronzino

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