L'artista aveva la necessità di agire in un ambito fortemente narrativo, configurando, negli strati più profondi il "prima" e il "dopo". Il volto crudele del generale nemico, una seconda testa sul braccio della donna. Un'ancella giovane. Un gruppo di personaggi attorno al tavolo imbandito per la festa al condottiero. Una figura con barba. La quinta architettonica
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L'individuazione di nuovi materiali iconici, portati alla luce dal nostro gruppo di ricerca, consente di affermare che Caravaggio concepì la scena come atto finale dell'uccisione di un toro, al termine di un rituale di morte, paragonabile a una tauromachia. Il toro è il possente Oloferne che, a causa del desiderio sessuale imperioso e della violenza che caratterizza i capi degli eserciti invasori, finisce per essere preda della sua stessa preda, Giuditta, che qui è concepita da Caravaggio come un matador, che finisce la bestia con la spada, recidendole la testa.
Caravaggio costruiva i dipinti, basandosi su un assetto geometrico e su un avanzatissimo sistema ottico di figure ambigue, in grado di creare continui sommovimenti nella percezione. Un sistema che egli - evidentemente - sviluppa nella Milano arcimboldesca degli anni della formazione e che si pone al di là dell'ottica in sé e del piano tecnico. L'approccio di Caravaggio è filosofico. Ed è strettamente collegato alle dottrine ermetiche. Ciò che percepiamo è parte di una verità più ampia. Ciò che percepiamo può essere, al contempo, vero e illusorio. L'ombra illumina la luce. La luce adombra l'ombra
La funzione divina e immane della geometria sviluppa in Caravaggio una potenza tellurica nei dipinti. Cagnoli ne coglie le radici, nel rapporto tra statica e dinamica Il suo libro dà conferme inequivocabili rispetto alla revisione - in corso da parte di più studiosi, in diverse discipline che possono afferire alla Storia dell'arte - del Caravaggio realista, che dipinge dal vero, senza disegno o disegni e con architetture puramente intuitive. In realtà Caravaggio coglie, a Milano, l'eredità di Leonardo ed è vicino al mondo ermetico del neoplatonismo, della Fisica-mistica e del pitagorimo
E' un San Cristoforo con il Bambino e con i bambini. La nuova acquisizione è avvenuta a livello di Stile arte, nella prosecuzione di una ricerca sui materiali contestuali, in Caravaggio. Caravaggio non è solo testo. E' - direi - soprattutto contesto. Il testo non funziona, da solo. E' necessaria l'azione di un basso continuo, che lui, Caravaggio, prevede. E necessaria l'azione di note con un timbro acuto, che lui prevede, ma che una visione frontale e monodica ci sottrae. Ascoltare Caravaggio prestando attenzione soltanto al motivo melodico è come ascoltare Mozart eseguito a una pianola. Bellissimo, ma limitato e limitante
Bellori (1672) non si cura dei lineamenti di David e indica come autoritratto solo la testa di Golia. "Se Manilli avesse guardato con più attenzione l’autoritratto del pittore che compare nel Martirio di San Matteo in San Luigi dei Francesi, sulla sinistra - scrive Claudia Renzi - "avrebbe notato che, barba a parte, Caravaggio ritrasse sé stesso nel David. Perché? Perché il giovane guarda la sua vittima con aria dolente, con l’aria di chi sa che il male a volte si commette senza intenzione. L’artista si è dunque autoritratto come vittima e come carnefice, sdoppiando due lati della sua anima".
Caravaggio cercava di raggiungere rapidamente, pur essendo a piedi, Porto Ercole, sull'Argentario, dopo un misterioso problema con la giustizia a porto Palo, una cittadina situata più a Sud. Qui era stato arrestato e trattenuto per due giorni. Forse pagò una cauzione per poter uscire di prigione. Sulla feluca, che aveva proseguito il viaggio, erano rimaste tele, effetti personali e due quadri raffiguranti San Giovanni Battista e uno che rappresentava la Maddalena.
Uno straordinario autoritratto,- con abito da monaco e cosce nude? - emerge dall'isolamento dei diversi brani figurativi nella Flagellazione del Caravaggio (Napoli) compiuta da Maurizio Bernardelli Curuz. Lo studioso, secondo i "piani costruttivi" previsti dall'autore in ogni dipinto, ha isolato la figura, attenuando la luminosità delle figure principali circostanti e lasciando intatta la figura sardonica e impudica che esce alle spalle di Cristo. "L'immagine, che non ho ritoccato in alcun modo e che non ho sottoposto ad alcuna manipolazione esce grazie all'attenuazione dell'eccesso di luce con il quale Caravaggio inganna la retina dello spettatore. - dice Maurizio Bernardelli Curuz - il candore della fascia e del Corpo di Cristo induce un effetto automatico di contrazione del diaframma. La presenza di parti molto illuminate, non permette agevolmente la visione delle zone in ombra. Una scelta reiterata pittore, che, grazie a questa profonda conoscenza degli automatismi ottici dell'osservatore, riempiva di figure e simboli di ombre, come risulta nelle immagini che osserveremo"