L'opera venduta da Sotheby's è una delle 37 tele di soggetto veneziano che l'artista durante il soggiorno veneto. La ricorrente visione del Canal Grande, le opere dedicate a San Giorgio Maggiore, al Rio della Salute; ai Palazzi Dario, Mula, Contarini e al Palazzo Ducale
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Lievi, effimeri, delicati, cangianti, estremamente sensibili ai colpi di vento. E soprattutto, rossi. Abbiamo visto, in alcuni articoli precedenti, quanto Monet cercasse valori ottici cangianti, da fermare sulla tela. E così fu con i papaveri, con una motivazione addizionale. La pittura di paesaggio, con vedute naturali, risente normalmente della mancanza del rosso, che esiste, a livello di stesura pittorica sottostante nella forma composita di arancione o marrone. Ma le vedute naturali non si presentano mai vivide e uno dei motivi è proprio la mancanza del rosso intenso, dato quasi a corpo. Sappiamo che, per ovviare a questa carenza ottica. Turner, durante il vernissage di una mostra, aggiunse una boa rossa a una marina con navi, proprio per accendere il dipinto. E che in tanta pittura di paesaggio con figure, dell'Ottocento, gli artisti inserivano piccoli personaggi - macchiette - tra i quali, spesso, ce n'era uno con il cappello rosso. Questo proprio con il fine di contrastare il verde. Ora possiamo osservare, da qui con la "lente magica" le Champ de coquelicots, 1881 58 × 79 cm Musée Boijmans Van Beuningen (Rotterdam)
La svolta che Monet impresse alla propria pittura, passando dal paesaggio a campo largo, alla visione ravvicinata di porzioni di natura che preludono alla via dell'informale, fu consentita, oltre alle esigenze del pittore di rinnovare le modalità di rappresentazione dell'istante di luce, dal mercato della botanica che, proprio in quegli anni, si apriva all"invenzione", attraverso incroci tra specie esotiche e la bianca europea, delle ninfee colorate. In precedenza, da noi, questi fiori delle acque stagnanti erano nivei. Ma all'esposizione universale del 1889 Latour-Marliac, un possidente appassionato di giardini, presentò le nuove varietà, che conquistarono il pubblico e che gli valsero il primo premio nella propria categoria
"Ah, eccolo, eccolo!" esclamò dinanzi al n. 98. "Che cosa rappresenta questa tela? Guardate il catalogo".
"Impressione, sole nascente". "Impressione, ne ero sicuro. Ci dev'essere dell'impressione, là dentro. E che libertà, che disinvoltura nell'esecuzione! La carta da parati allo stato embrionale è ancor più curata di questo dipinto". "Ma che avrebbero detto Bidault, Boisselier, Bertin, dinanzi a questa tela importante?"
"Non venitemi a parlare di quegli schifosi pittorucoli!"
Gli artisti erano assidui frequentatori dell’ “ora verde” parigina, una sorta di happy hour ante litteram, che dalle cinque alle sette del pomeriggio trasformava i locali della Ville Lumière in una sorta di vivace agorà della cultura del tempo. La "fata verde" dava un contributo alla socializzazione e alla leggerezza, che tale non restava, dopo qualche ora di bevute
L'opera, per quanto sia stata realizzata in più fasi, dimostra l'osservazione diretta degli effetti naturali della luce. Alla fine degli anni Cinquanta dell'Ottocento, il paesaggista francese Eugène Boudin (1824-1898) introdusse Monet alla tecnica della arte en plein air. La pittura dal vero era stata facilitata dall'invenzione dei tubetti in metallo che contenevano i colori (1841) e della commercializzazione del cavalletto portatile. Boudin e Monet avevano trascorso l'estate del 1858 dipingendo insieme, sur le motiv, cioè con il soggetto, in questi casi naturale, di fronte. "Se sono diventato un pittore", avrebbe detto Monet, lo devo a Boudin." Anche nell'ambito dei paesaggi di neve, Monet non si sottraeva dal confronto diretto con la realtà.
Catturare la realtà attraverso segni stenografici e telegrafici. Maurizio Bernardelli Curuz sottolinea la relazione tra la pittura di Monet e il diffondersi della stenografia e della telegrafia. La scrittura rapida e sintetica della stenografia contribuì a suggerire al maestro modalità diverse di captare e di restituire all'osservatore il brulichio della moltitudine dei fenomeni luminosi?