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Claes Oldenburg & Coosje van Bruggen



 
Claes Oldenburg, uno dei padri della Pop art, e la sua compagna di vita Coosje van Bruggen, storica dell’arte, ex curatrice dello Stedelijk Museum di Amsterdam, concettuale rigorosa, musa e ispiratrice della svolta “architettonica-ambientale”, teatralizzarono gli spazi del Museo d’Arte contemporanea con la mostra Scultura per caso, a cura di Ida Gianelli e Marcella Beccaria. L’evento presentò oltre duecento opere, grandi installazioni e “large-scale projects”, maquette per interni ed esterni, disegni su carta di taccuino, bozzetti di una freschezza insospettabile che giocano sull’incanto, sullo stupore. Le sculture, suddivise in sale tematiche, affascinano perché frammentano lo spazio del secondo piano del Castello. Da non perdere la sezione dedicata agli strumenti musicali, dove si trovano clarinetti inclinati, viole molli, Stradivari affettati e trombe annodate, note cadenti da uno spartito fantastico e sospese in uno spazio rarefatto. Abbiamo intervistato Ida Gianelli.

Che cosa s’intende con Scultura per caso? Il titolo potrebbe sembrare una contraddizione di termini, poiché la scultura, soprattutto quella monumentale, è il frutto di sofisticati calcoli strutturali, quindi non può essere spontanea, in quanto realizzazione di un progetto specifico che si pone in relazione tra spazio, artista e pubblico. In effetti, il titolo originale inglese è Sculpture By The Way, più esatto perchè comprende l’ambientazione e la vocazione “architettonica” d’inserire sculture in grande scala in sintonia con le forme che le circondano. Le sculture si ergono non come oggetti che mistificano il quotidiano ma come strutture geometriche purissime.
Per quale ragione queste sculture giganti, coloratissime e realizzate con materiali sintetici, pur attingendo dalla realtà e appellandosi necessariamente a un “immaginario mediatico”, tipicamente americano, superano la Pop art, il monumentalismo autoreferenziale, e possono definirsi “europee”? Sono cosmopolite. Oldenburg (1929), di origine svedese, è divenuto americano nel 1953; la moglie Coosje van Bruggen (1942) è olandese, storica dell’arte, scultrice di opere che interagiscono col paesaggio (afferma di considerare la città come “una tavolozza”). Lo scambio tra i due dal punto di vista culturale è sempre stato intensissimo; le matrici del loro linguaggio sono europee, americane, africane, interdisciplinari, con riferimenti ad architettura, pittura, scultura, storia, geografia; le loro opere sono estensioni sensoriali del concetto di scultura moderna. Sono lavori site-specific e non soltanto macro-oggetti, ma strutture formali primarie, proprio per la loro vocazione architettonica, cui abbiamo già accennato prima. Si tratta di sculture che hanno un dichiarato intento teatrale, con l’obiettivo di creare un simbolo duraturo che rispecchi sia l’ambiente circostante che il contesto sociale che lo produce.
Potremmo considerare le loro sculture “classiche”. Cosa ne pensa? Sono d’accordo. Essi insieme hanno rifondato il concetto di scultura in maniera interdisciplinare, affrontando spazi interni ed esterni con opere armoniche e in equilibrio con ciò che le circonda. Sono sculture poetiche che sprigionano una sensazione di gravità e rimandano a riflessioni sul rapporto dell’uomo con la tecnologia e la natura, capaci di creare un’arte plurale.
Come s’inseriscono le opere monumentali di questa “coppia d’assi” dell’arte contemporanea nel Castello di Rivoli, feudo dell’Arte povera? Il Castello di Rivoli ospita una collezione permanente di Arte povera, ma, non dimentichiamolo, è un museo d’arte contemporanea internazionale con lavori che rappresentano diversi movimenti d’avanguardia, dagli anni Sessanta, alla Transavanguardia fino alla sezione di videoarte d’autore. Il museo è aperto a molteplici linguaggi che caratterizzano il nostro tempo. Le macrosculture, realizzate con materiali industriali, si collocano perfettamente nel contesto: si può dire che divengono protagoniste dello spazio, creando nuove percezioni delle sale. Partono dall’analisi della realtà quotidiana per elevarsi a strutture astratte, abnormi, dando sempre il senso di una manipolazione originale e nel rispetto dell’ambiente in cui si trovano. Per esempio, l’opera Dalla Biblioteca entropica, del 1989, non è una mistificazione monumentale di libri, ma la ricreazione concettuale di un luogo metaforico carico di simboli e valori culturali.
Il monumentale Fiore caduto, un bellissimo papavero gigante rosso scarlatto, “spuntato” lì non per caso come inno di sensualità e omaggio alla natura perduta, acquistato per Rivoli dalla Fondazione Crt, secondo lei rappresenta la svolta più “organica” dell’ultima linea di ricerca di Oldenburg-Van Bruggen? La scelta organica non è solo degli ultimi tempi: si pensi a sculture come Ciotola caduta con spicchi e bucce sparse, 1990, Torsolo di mela, 1992, Cono caduto, 2001, Buccia fluttuante, 2002, e molte altre che prendono spunto non dalla realtà consumistica ma dal mondo naturale perduto nell’epoca tecnologica. Continuità e tradizione dialogano in modo armonico in tutte le loro sculture: anche per questo le considero “classiche”. Il Fiore caduto, il papavero rosso dal colore abbacinante, può essere interpretato come un inno al mistero della bellezza, della vita, caduca proprio come un fiore.
La coppia, che ha al suo attivo quaranta opere pubbliche in grande scala, realizzate in Europa, America e in Asia, sta progettando qualcosa per Torino, città-museo per eccellenza d’arte contemporanea all’aperto? No, l’opera Fiore caduto acquisita dal Museo per ora ci basta; e poi, non vogliamo entrare in competizione con Milano, che dal 2000 ha la fortuna di avere Ago, filo e nodo in piazzale Cadorna.
A proposito. Cosa ne pensa della proposta di Vittorio Sgarbi, assessore alla cultura del capoluogo lombardo, di togliere l’opera da dove si trova? Non sono d’accordo. A me piace moltissimo, è giocosa e colorata, penso che sia la scultura a dare uniformità alla piazza; ma ognuno è libero di esprimere il proprio parere e il gusto, si sa, è soggettivo.
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[PDF] Claes & Coosje, i classici



STILE ARTE 2007