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Cosa significa davvero en plein air? Come dipingere un paesaggio dal vero. Consigli e video tutorial




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en plein air
La pratica della pittura en plein air – cioè all’aria aperta – di fronte alla realtà piena della luce e dei colori è un’acquisizione abbastanza recente. Il paesaggismo nasce nel Seicento, ma con un’attenzione non elevatissima nei confronti della reale. E’ con Turner e con i viaggiatori inglesi, che si assiste a una svolta, seguita, poi, dai pittori francesi che fanno capo alla cosiddetta école de Barbizon, artisti che, come cacciatori di immagini, si trovano nei vasti territori non urbanizzati di Fontainebleau, portando la tela in natura e confrontandosi con il vero. Frutto, questo, di un’attenzione scientifica al mondo che si unisce a un senso romantico dell’elemento naturale, considerato una divinità in grado di esprimersi attraverso la sua potenza o la sua dolcezza. In precedente, gli studi naturali dal vero erano tali. Bozzetti da portare poi in studio e da sviluppare liberamente.
La pratica della pittura en plein air consente al pittore di provare un senso di pienezza nel momento in cui egli trova, mischiando i colori sulla tavolozza o sulla tela di ottenere la stessa vibrazione cromatica di un particolare paesistico che gli sta davanti. Allora si realizza quella piena fusione con la natura cercata dai pittori di Barbizon, che anticiparono e prepararono la strada al più importante fenomeno di pittura en plein air, quello degli impressionisti. Qualche piccolo consiglio da noi di Stile Arte che, nel corso del nostro lavoro, abbiamo sperimentato numerose tecniche nell’ambito di un percorso di storia dell’arte che non dimenticasse l’influenza dell’aspetto esecutivo e materiale nell’ambito stilistico.
Innanzi tutto bisogna sfatare l’idea che gli impressionisti – al di là dell’eccezione di qualche quadro – realizzassero il dipinto in una sola seduta, davanti al paesaggio da dipingere. Spesso – e ricordiamo Monet – tornavano sul luogo, alla stessa ora di una giornata successiva, per interventi di accomodamento, soprattutto nel campo che definiremo chiaroscurale. Evitate anche stesure troppo materiche, a meno che questa non sia una scelta deliberata, che andrebbe gestita anche con l’uso delle spatole.  Il pennello – consigliamo quelli piatti, senza punta – non deve mai essere carico di colore e non si deve mai presentare gravato di materia come se fosse il dentifricio sullo spazzolino – l’effetto dell’eccessivo caricamento è proprio quello -. L’eccesso di colore rende vischiosa la superficie, l’essiccazione è lentissima e la mobilità delle nostre azioni sulla tela risulta ridotta perchè il pennello si impantana letteralmente nel colore che abbiamo poco prima steso. Semmai aggiungete al colore in tavolozza qualche goccia di essenza di trementina o di acquaragia, che rende ottimale la fluidità della materia,  asciuga in fretta, senza esagerare in acquosità. Un altro intervento – quello finale – si svolge in studio per sistemare i valori di luce e adeguarli agli ambienti chiusi nei quali i dipinti vengono conservati. Dipingere all’aria aperta porta infatti a una sottoesposizione del dipinto, quindi l’opera – una volta in casa o nello studio – ci apparirà molto scura. Nel chiarore del campo aperto siamo portati a vedere più chiari anche i colori più cupi, che tornano tali in una ambiente coperto.
E per questo motivo che, specie nel passato, i pittori portavano con sé un parasole che non era un riparo personale, ma serviva a ridurre la violenza della luce diretta sulla tela, per evitare che i colori stesi sembrassero più chiari di quello che sarebbero stati in un ambiente protetto. Un altro elemento di cui bisogna tener conto quando puntiamo a cogliere un accordo cromatico vicino al vero .- per evitare cioè quell’affetto squillante di “quadro da fiera” che alcuni paesaggi dipinti portano con sé – è legato al tonalismo.  In ogni luogo esiste una luce colorata – l’azzurro del cielo, il verde filtrato degli alberi – che risulta dominante e che intride le ombre o i lumi – la parte in luce, in evidenza -. Non tener conto di questo aspetto significa far emergere colori dissonanti. Per catturare la qualità e il colore della luce dominante, alcuni impressionisti portavano con sé uno straccio di tessuto bianco e lo ponevano nei punti da rilevare pittoricamente. Siccome il bianco in natura, di fatto, non esiste, lo straccio assorbiva la quantità di azzurro – se messo apertamente sotto il cielo – o di verde azzurro – se messo per terra, sotto gli alberi – o di marrone-azzurro, se inserito nel cuore della boscaglia. Lo straccio rilevava la qualità e l’entità della luce colore, assumendo tinte diverse dal bianco, la luce colorata dominante in quel punto, che si mischia alle ombre e alla materia.
Nel video vediamo poi quanto sia importante una prima preparazione della tela. Evitiamo pertanto di iniziare a dipingere direttamente sul bianco secco del supporto, ma sporchiamo la stessa con pennellate fluide. Qui il pittore utilizza il marrone che è il colore che sottosta alla terra, al verde dell’erba alle chiome degli alberi, ai sentieri. Le pennellate sono date con un colore diluito in essenza di trementina od acquaragia. Un velo, che asciuga rapidamente.

Quando avrete ultimato la prima stesura del dipinto, non rifinitelo immediatamente. Dovrete tirare le redini ed evitare di avere fretta e di essere trascinati, dal quadro stesso – che magari. fino a quel punto è bello – a una conclusione che diventerà certamente ingloriosa. Il bravo pittore sa che deve fermarsi, anche se il quadro non è completo. Sa esattamente quando bloccarsi poichè la finitura, ad olio non ancora parzialmente essiccato, può distruggere il quadro, che diventerà di un terribile grigio. Fermatevi, portate il quadro a casa. Attendete almeno un giorno – se il colore non è troppo spesso – affinché tutto si assesti. La finitura può essere eseguita in studio con il rischiaramento di alcuni punti e l’adeguamento del quadro ad un ambiente chiuso, cioè al luogo in cui sarà osservato e fruito.