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Come e perché gli antichi romani seppellivano i fulmini? Lo spiega la Soprintendenza speciale


Qualche tempo fa durante lo scavo archeologico per la realizzazione della Stazione di Amba Aradam della linea C della metropolitana di Roma sono stati rinvenuti esempi di sepoltura di fulmine (nella foto). Entrambi databili al I secolo d.C., dice la Soprintendenza speciale di Roma,  contenevano macerie di edifici e una piccola lastra di marmo con l’iscrizione Fulgur conditum in un caso e Fulgor conditum nell’altro.

A spiegare cosa sia la sepoltura del fulmine è l’archeologa della Soprintendenza Speciale, Simona Morretta: “Nel mondo antico, i fulmini sono segni degli dei. La comunità dei cittadini incarica l’interprete dei fulmini (aruspex fulguratior) di studiare il fulmine, interpretarlo (poteva essere un segnale positivo o negativo) e indicare la forma di espiazione (expiatio) per placare le divinità. La disciplina di cui l’aruspice dei fulmini doveva essere esperto prevedeva innumerevoli casi diversi. Le caratteristiche del fulmine da tenere in considerazione erano il colore, la forma, il punto cardinale di provenienza, l’ora dell’evento (diurna o notturna), variamente combinate fra loro, tutte descritte dettagliatamente nei perduti libri fulgurales etruschi, di cui restano alcuni brani riportati da scrittori romani (in particolare Seneca)”.

“Quando un fulmine colpisce qualcosa sulla terra, campo, casa, statua o altro – prosegue l’archeologa Simona Morretta – i Greci gli Etruschi e poi i Romani decidono che quel qualcosa debba essere sepolto, quasi a seppellire il fulmine stesso, e chiamano infatti quel luogo fulgur conditum, cioè fulmine sepolto.
La sepoltura consisteva in una fossa riempita con gli oggetti colpiti dalla folgore, che doveva rimanere a cielo aperto, con una iscrizione che ne indicasse il contenuto (appunto, 𝙁𝙑𝙇𝙂𝙑𝙍 𝘾𝙊𝙉𝘿𝙄𝙏𝙑𝙈 o anche solo 𝙁. 𝘾. o altre varianti). Il rituale era complesso e presieduto dal pontefice massimo, la più alta carica religiosa”.”