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Com’è l’arte digitale? Magnifica e spaventosa: guardate gli effetti da brivido


Una delle opere di Ryoji Ikeda, artista e compositore di origine giapponese e francese , d'adozione, presentato perle celebrazioni dei 300 anni della città tedesca
Una delle opere di Ryoji Ikeda, artista e compositore di origine giapponese e francese , d’adozione, presentato per le celebrazioni dei 300 anni della città tedesca

L’arte digitale è prodotta con il computer e la sua applicazione è certamente esaltata dagli ampi spazi, attraverso la proiezione di immagini in movimento e la diffusione di suoni, tracce elaborate elettronicamente. Le sue applicazioni sono notevoli perché si presta, soprattutto, ad installazioni-interazioni con tutti gli ambienti e con la presenza umana. Nuove frontiere e nuovi mondi si aprono grazie alle simulazioni di realtà virtuali. Tra le massime applicazioni di questa nuova modalità espressiva, che si presenta per certi aspetti, in una sua parte, come l’evoluzione degli antichi spettacoli di son e lumiére, si deve registrare il lavoro compiuto da Ryoji Ikeda, (Gifu, 1966) – compositore e artista giapponese che vive e lavora a Parigi- in occasione delle celebrazioni del 2015 per i trecento anni della cittadina tedesca di Karlsruhe. E non c’è luogo più adatto ad ospitare un Festival mondiale – quello promosso dal Centro per l’Arte e Media Technology, Zkm, e dedicato alle nuove frontiere espressive, 21 giugno-9 agosto 2015 – poichè la città nacque dal sogno di un sovrano tedesco e fu concepita come una proiezione scientifica. Carlo III Guglielmo, che era margravio di Baden-Durlach, secondo il racconto popolare della nascita di Karlsruhe, durante una battuta di caccia nella foresta di Hardtwald, nelle vicinanze di Durlach, si fermò per riposare e prese sonno. Sognò un sontuoso castello dal quale si dipartivano come i raggi del sole delle strade. Carlo III Guglielmo mise allora su carta il piano del luogo utopico che aveva sognato, fondando il 15 giugno 1715 la città, a incominciare dal Castello. I raggi del sole sognati da Carlo III Guglielmo si possono vedere ancora oggi anche nell’impianto urbano della città: il castello è situato nel centro di un cerchio, da cui si dirama una trama di strade radiali in espansione verso la città a sud e, sotto forma di viali, attraverso la foresta Hardt a nord. Dalla torre del castello, posta nell’esatto centro, si gode della visuale completa di tutti questi raggi, per un totale di 32 fra strade e viali. Questo numero corrisponde esattamente alla divisione della Rosa dei venti.

Sogno e verità dell’atomo percorrono la nuova città virtuale che espande quella settecentesca, nei padiglioni di una vecchia fabbrica di munizioni, trasformata in centro espositivo per l’arte. “Il nuovo evento d’arte nell’era digitale” oltre ai flussi senza fine di Ryoji Ikeda, che travolgono gli spettatori, presenta la nuvola artificiale di Tetsuo Kondo e la maratona d’auto di HA Schult. La sezione dell’arte digitale è interamente occupata da Ryoji Ikeda, con le registrazioni ed elaborazioni compiute dall’artista-musicista attraverso i suoi occhiali suono-luce, svolte tra Barcellona, New York e il Cern, il centro di ricerca nucleare che ospita l’acceleratore di particelle atomiche.
Su un’immensa parete – che vediamo in alto nella fotografia, vengono proiettate, con una luce vitrea od equorea righe, colonne e lettere, poi sciami di piccole sfere che rotolano avanti e indietro, creando forme che si dissolvono subito. Lo spettatore, nonostante sia quasi schiacciato dal peso di quelle immagini, occupa ancora un punto esterno, che non gli appartiene più nell’altra installazione d’arte digitale: “Planck Universo [micro]”. La luce viene proiettata direttamente su un pavimento ampio quanto un campo da pallavolo.
Il pubblico stesso diventa una superficie di proiezione, travolte a perdifiato da linee luminose, reti, strisce, grappoli di luce e figure geometriche; proiezioni che vengono integrate da un collage sonoro. Tutto cambia freneticamente, ma in modo equilibrato. Il fuoco di fila di stimoli sensoriali non è minaccioso, ma coinvolgente.
“Planck Universo [macro]”, l’altra installazione, è uno visualizzazione di una sfera oltre l’universo osservabile. Gli spettatori appaiono come formiche. Sono sparsi in innumerevoli punti di luce; potrebbero essere galassie lontane. Poi ecco le inquietanti riprese della superficie del sole – le uniche immagini che sono identificabili -.