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Arte degenerata e arte nazista. Ecco le differenze. I filmati d’epoca


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Hitler in visita al museo d'arte tedesca. Qui vennero raccolte le opere figurative di taglio classico, mentre, contemporaneamente, nella mostra dellArte degenerata venivano indicati gli esempi negativi del modernismo
Hitler in visita al museo d’arte tedesca. Qui vennero raccolte le opere figurative di taglio classico, mentre, contemporaneamente, nella mostra dellArte degenerata venivano indicati gli esempi negativi del modernismo

 
Una delle sale della mostra sull'Arte degenerata, a Monaco, nel 1937
Una delle sale della mostra sull’Arte degenerata, a Monaco, nel 1937

L’approccio di Hitler alla politica fu, agli esordi, prepotentemente estetico. Da ex pittore, egli conosceva bene il meccanismo linguistico sotteso al linguaggio iconico. Un popolo è egemone rispetto agli altri quando impone il proprio modo di vedere la realtà e di rappresentarla.  Il dubbio modernista, le ricerche legate alla deformazione del mondo erano agli antipodi dell’estetica hitleriana, legata, secondo il dittatore, al divenire dell’arte tedesca, sulla linea tracciata da Durer. Rispetto alla modulazione di un rinascimento nato dalla fusione di elementi greco romani e tedeschi, tutto il Novecento era, a giudizio del dittatore, caratterizzato da un’estrema decadenza; anzi, da una degenerazione, cioè da una patologia. L’arte degenerata – Entartete Kunst – del disordine e del caos autorizzava continui mutamenti del punto di vista e una logica anti-autoritaria; a ciò si aggiunga che la quasi totalità dei mercanti che trattavano contemporaneo, in Germania, era costituita da ebrei.  Il collegamento tra questi poli – non per nulla casuale – divenne in Hitler fortissimo, quanto l’obiettivo di annullare ogni forma di “degenerazione” della forma per il ripristino di una forma di classicità renana. Così si espresse Adolf Hitler durante il congresso sulla cultura, nel 1935: “Sono certo che pochi anni di governo politico e sociale nazionalsocialista porteranno ricche innovazioni nel campo della produzione artistica e grandi miglioramenti nel settore rispetto ai risultati degli ultimi anni del regime giudaico. (…) Per raggiungere tale fine, l’arte deve proclamare imponenza e bellezza e quindi rappresentare purezza e benessere. Se questa è tale, allora nessun’offerta è per essa troppo grande. E se essa tale non è, allora è peccato sprecarvi un solo marco. Perché allora essa non è un elemento di benessere, e quindi del progetto del futuro, ma un segno di degenerazione e decadenza. Ciò che si rivela il “culto del primitivo” non è espressione di un’anima naif, ma di un futuro del tutto corrotto e malato. (…) Chiunque ad esempio volesse giustificare i disegni o le sculture dei nostri dadaisti, cubisti, futuristi o di quei malati espressionisti, sostenendo lo stile primitivista, non capisce che il compito dell’arte non è quello di richiamare segni di degenerazione, ma quello di trasmettere benessere e bellezza. Se tale sorta di rovina artistica pretende di portare all’espressione del “primitivo” nel sentimento del popolo, allora il nostro popolo è cresciuto oltre la primitività di tali “barbari”.”

Göbbels, in un primo tempo ammiratore di pittori moderni, ne divenne il critico ferocissimo, seppur, a quanto risulta, li collezionasse segretamente. Il gerarca, dopo aver accennato qualche velleità d’indipendenza artistica, si schiera prontamente, e con opportunismo, dalla parte di Hitler. Preoccupato per la propria posizione in seno al gruppo dirigente, onde evitare critiche che lo avrebbero fatto cadere in disgrazia, egli appoggia il Führer e lo difende accanitamente nei suoi principi, per un’arte ariana e antisemita. Così anche per Göbbels l’espressionismo, il primitivismo, il cubismo ed ogni altra forma d’arte moderna e d’avanguardia diventano bersagli di violenti attacchi.
“Dalla presa del potere ho lasciato quattro anni di tempo alla critica d’arte tedesca per orientarsi in base ai principi del nazionalsocialismo. – scrisse Göbbels – Dato che neanche l’anno 1936 ha segnato un miglioramento in questo senso, proibisco da oggi una continuazione della critica d’arte nella forma adottata finora. Al posto della critica d’arte esistita finora da oggi viene istituito il resoconto d’arte, e il redattore d’arte al posto del critico d’arte. Il resoconto deve essere molto più una descrizione di un’interpretazione, quindi un omaggio. (…) . Esso richiede cultura, tatto, adeguato animo e rispetto per il volere artistico. (…) All’interno delle liste dei lavori della stampa tedesca la carica del redattore d’arte è legata ad un’autorizzazione particolare, la quale a sua volta è dipendente dalla dimostrazione del possesso di una sufficiente conoscenza del campo artistico all’interno del quale il redattore sarà attivo prossimamente.”
Il 15 novembre 1933 il ministro della Propaganda nazista Joseph Goebbels aveva formato la Camera della Cultura del Reich (Reichskulturkammer), che di fatto stabiliva quali artisti potevano lavorare e cosa si potesse mostrare al pubblico: una ferrea censura costrinse i pochi artisti non allineati rimasti in Germania al silenzio. fu avviato un programma d’epurazioneanche nell’ambito dell’arte, eliminando dai musei tedeschi sculture e dipinti cubisti, espressionisti, dadaisti, astrattisti e primitivisti.
Vennero confiscate più di seimila opere, tra quadri e sculture, in parte destinate al rogo, in parte vendute all’asta a musei americani e svizzeri e in parte da destinare alla mostra dell’Arte degenerata,che fu organizzata a Monaco di Baviera. In questa mostra, inaugurata da Hitler nel 1937, le opere erano accompagnate da scritte dispregiative e da elevatissime indicazioni di prezzo, costi che i musei avevano precedentemente pagato agli «speculatori ebrei». L’esposizione si proponeva di mostrare al pubblico quei generi artistici non ammessi dalla nuova «razza superiore», definiti appunto «degenerati».

L’apertura dell’esposizione – 650 opere di 120 artisti degenerati – avvenne il giorno dopo l’inaugurazione di una Grande Rassegna di arte Germanica, che comprendeva invece opere gradite al regime. Per effetto indesiderato, e per questo destinato a diventare un boomerang, la mostra di arte degenerata ebbe un successo di gran lunga maggiore di quella dell’arte ufficiale; la sua apertura dovette essere prolungata ed il pubblico (si conteranno alla fine più di un milione duecentomila persone) fu costretto a lunghe attese prima di vederla, attratto soprattutto dai divieti posti dal regime, tra i quali quello di visita alla rassegna da parte dei giovani. Entartete Kunst, cioè arte degenarata. Gli autori delle opere proibite, dichiarati malati,  per la maggior parte espressionisti, sono proprio quegli artisti che oggi tutti riconoscono come personalità di spicco dell’arte del Novecento: Ernst Barlach, Max Beckmann, Otto Dix, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Käthe Kollowitz, Max Liebermann, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Edward Munch e molti altri senza escludere “il più degenerato degli artisti”, Pablo Picasso. Inaugurata da Hitler e Göbbels, l’esposizione è accompagnata da un catalogo illustrato, che in un capitolo introduttivo spiega i fini di siffatta manifestazione e presenta l’insieme delle opere raggruppandole sotto vari temi.Ad esempio: “Manifestazioni dell’arte razzista giudaica”, “Invasione del bolscevismo in arte”, “La donna tedesca messa in ridicolo”, “Oltraggio agli eroi”,” I contadini tedeschi visti dagli ebrei”, “La follia eretta a metodo” o “La natura vista da menti malate”. Le tele esposte sono circondate da slogan che puntano a metterle in ridicolo, e accompagnate, a titolo di confronto, dai disegni di malati mentali internati. Disse Hitler il 19 luglio 1937: “Vorrei quindi, oggi in questa sede, fare la seguente constatazione: fino all’ascesa al potere del Nazionalsocialismo c’era in Germania un’ arte cosiddetta “moderna”, cioè, come appunto è nell’essenza di questa parola, ogni anno un’arte diversa. Ma la Germania nazionalsocialista vuole di nuovo un’ “arte tedesca”, ed essa deve essere e sarà, come tutti i valori creativi di un popolo, un’arte eterna. Se invece fosse sprovvista di un tale valore eterno per il nostro popolo, allora già oggi sarebbe priva di un valore superiore.”
 
Il filmato originale mostra l’inaugurazione della mostra dedicata all’arte tedesca, che si tenne a Monaco, nel 1937, contemporaneamente alla mostra dell’arte degenerata, rassegna anch’essa documentata da questo eccezionale documento visivo.

LE OPERE DELL’ARTE TEDESCA SOSTENUTE DAL NAZISMO

 
ALCUNI DIPINTI DELL”ARTE DEGENERATA”

 
 
PECULIARITA’ ARTE NAZIONALSOCIALISTA
L’arte nazionalsocialista persegue un realismo vero, assoluto, permanente e soprastorico: creare l’eterno partendo dal temporale. La pretesa imprescindibilità del supporto storico viene dunque negata e si perviene a una visione ontologica e sostanziale: un mondo di sostanze, di figure che tendono ad essere archetipe in quanto svincolate dal contingente.
Hitler stesso insiste sulla necessità di affrancare l’arte dell’astrazione dal tempo per assicurarla alla realtà del popolo: “L’arte”, asserisce all’inaugurazione dell’Esposizione renana del 1941, “ non trova fondamento nel tempo, ma unicamente nei popoli. L’artista perciò non deve innalzare un monumento al suo tempo, ma al suo popolo. Perché il tempo è qualcosa di mutevole, gli anni sopravvengono e passano (…)”.
E nel Discorso alla Sessione sulla Cultura del Congresso del NSDAP a Norimberga, tenuto nel 1935, il Fuerhrer ribadisce il concetto: “Con la sua opera, l’artista creatore realizza e nobilita le capacità ricettive della Nazione, così come il sentimento artistico sviluppato e alimentato in questa maniera rappresenta, a sua volta, il terreno più propizio e, quindi, il presupposto della nascita, dello sviluppo e della valorizzazione di nuovi impulsi creativi (…) Ogni più elevata opera culturale dell’umanità proviene, in quanto opera creativa, dal sentimento collettivo e si rivela quindi, nel suo sorgere e nella sua rappresentazione, l’espressione dell’anima e dell’ideale collettivo ”.
In Die neue deutsche Malerei (1941), Kauffmann si sofferma sui soggetti prediletti dagli artisti nazionalsocialisti:

  1. “Essi non dipingono più bevitori di assenzio e giocatori di roulette (…). Con giusto istinto gli artisti cercano perciò i loro modelli soprattutto fra quei connazionali che, direi quasi per natura, sono veramente in ordine (…). Di conseguenza nella nostra pittura riappaiono di nuovo e in misura crescente visi e figure contadine, gli uomini dei primitivi mestieri naturali – i cacciatori, i pescatori, i pastori e i boscaioli -; ad essi tuttavia si accompagnano gli schietti uomini dell’artigianato, poiché anche in questa forma di vita nobilitata dalla maestria diventa percettibile una creatività costruttiva di autentici valori”.
  2. “Si intende che, correlativamente, anche le donne e le fanciulle degli stessi ambiti di vita hanno i loro valori, poiché esse coi loro compagni costituiscono la vera base del popolo (…). Gli artisti sottolineano soprattutto il ruolo della madre quale custode della vita nelle sue più preziose peculiarità della razza e del carattere”.
  3. Collocati in una dimensione atemporale, i nudi di quest’arte assurgono a simboli, quasi fossero le immagini sensoriali di idee platoniche. Kauffmann: “Nell’arte si ha a che fare con i corpi quali devono essere per natura, con forme perfette, con una struttura dalle pure proporzioni, con una pelle ben irrorata di sangue, con l’innata armonia del movimento e con evidenti riserve vitali”.

Viene pertanto riproposto l’ideale classico della bellezza, intesa quale perfezione delle forme e armonia di proporzioni.

  1. Emblemi dell’ordine naturale sono pure gli animali: “non si stancano mai di mostrare l’uomo tedesco immerso nel suo ambiente sociale e materiale, nell’ambito della sua famiglia, nel lavoro collettivo, insieme con gli animali domestici affidati alle sue cure, da cui egli stesso avverte e apprende il segreto della salute, la legge degli ordini naturali”.
  2. Nonostante la predilezione per il lavoro contadino, anche quello industriale trova spazio nella pittura di regime: l’operaio diventa un soldato della tecnica nel quale si incarna, come pure nel contadino, la migliore sostanza della razza ariana. Riscattato dalla condizione di proletario senza patria, l’operaio si vede così riconosciuta una nuova e più alta dignità.
  3. Infine, i temi di guerra: il realismo eroico propiziato dall’esperienza bellica moderna si traduce in un’essenzialità pittorica che elimina antitesi e condizionalità. “Il dettaglio viene reso assoluto” afferma Hinz. In un libro d’arte dell’epoca, dedicato alla pittura di guerra, si legge, a proposito di una rappresentazione del genere: “Egli mira al fresco, ricco movimento, alla purezza dell’esperienza, all’istante, all’essenza dell’esistenza militare”.

 
 
SULLA NECESSITA’ DELL’ARTE
Dal Discorso di Norimberga: “L’arte non costituisce un fenomeno dell’esistenza umana che si possa, a seconda della necessità, assumere a piacere, oppure licenziare o mandare in pensione. L’attitudine culturale di un popolo è certo qualcosa che o fondamentalmente esiste, o fondamentalmente non esiste.
Essa rientra in quel complesso di valori e di inclinazioni di un popolo che ineriscono alla razza.
Il funzionale sviluppo di queste potenzialità in opere creative e durevoli si attua seguendo la medesima legge di sviluppo e di rafforzamento costante che ritma ogni altra attività umana. Così come non è possibile sospendere in un popolo per un certo periodo la pratica e lo studio della matematica o della fisica senza essere poi costretti a constatare un regresso, egualmente non è possibile sospendere per un certo periodo l’attività culturale senza che inevitabilmente si verifichi un generale regresso culturale e infine la disgregazione. (…) Nessuna epoca può permettersi di evitare l’impegno di coltivare l’arte. (…)
Possiamo affermare come la storia non conosca alcun popolo degno di menzione, il quale non abbia elevato il proprio monumento secondo i suoi valori culturali. (…) No: nessun popolo vive più a lungo che i monumenti della propria cultura! Ma se l’arte e le sue opere sono contrassegnate da un’efficacia così potente e durevole – impossibile da raggiungere a tutte le altre attività umane -, a maggior ragione occorre che essa venga coltivata quanto più un’epoca risulta oppressa e agitata da generali condizioni politiche ed economiche sfavorevoli.(…) E, pur se vinto, tale popolo rimane in piedi anche in avvenire di fronte alla storia; come autentico vincitore dell’avversario in virtù delle sue creazioni immortali”.
 
FINE ARTE
Il Fuhrer si fa patrocinatore di un’arte eterna, schietta, “sublime” e “sana”, formalmente affine all’esempio ellenico, ma soprattutto emblematica del sentimento collettivo.
“Con la sua opera”, asserisce nel Discorso di Norimberga, “l’artista creatore realizza e nobiltà le capacità ricettive della Nazione (…). Noi riconosceremo e favoriremo gli artisti che saranno in grado di imprimere nello Stato del popolo tedesco in quanto Stato proiettato nell’eternità, l’impronta culturale della razza germanica. (…) L’arte, per raggiungere tale obiettivo, deve anche autenticamente diffondere il sublime e il bello ed essere perciò veicolo del naturale e del sano.”
Nel Discorso per l’inaugurazione della Prima Grande Esposizione dell’Arte Tedesca, Hitler afferma: “Auspichiamo un’arte che aderisca sempre più intimamente al processo di unificazione di questa coesione razziale e si riveli quindi un orientamento organico e omogeneo. (…) Essere tedesco significa essere chiaro! Ma allora essere tedesco significa logicamente e soprattutto essere vero”.
Affinché ciò sia possibile è indispensabile affrancare ogni pratica creativa non solo dalla dimensione temporale, caduca ed effimera, ma anche dal “turpe”, dalla tragedia, dal male.
A chi sostiene che l’arte debba “comprendere nel dominio delle realtà considerate e rappresentate non soltanto quel che è sotto il riguardo umano gradevole, ma anche lo sgradevole”, nel Discorso di Norimberga Hitler replica: “E’ vero, in effetti che l’arte ha considerato sempre anche i problemi tragici dell’esistenza, sempre segnalando la tensione tra il bene e il male, cioè tra il vantaggioso e il nocivo (…). Questo, tuttavia, mai col proposito di sostenere la vittoria del nocivo, ma col proposito di dimostrare la necessità del vantaggioso. Non è obiettivo dell’arte quello di rovistare nell’immondezza per amore dell’immondezza, rappresentare l’uomo soltanto nella sua condizione di putrefazione, descrivere degli imbecilli come simboli della maturità e indicare degli storpi come esponenti della forza virile!”.
E nel Discorso per l’inaugurazione della Seconda Grande Esposizione dell’Arte Tedesca, pronunciato nel 1938, il Fuhrer esclama: “Possiate tutti voi anelare al nobile e al bello, di modo che risulti possibile al popolo e all’arte tener testa al giudizio critico dei millenni”.
Insomma, l’arte deve farsi espressione dell’ideologia nazionale: essa deve nascere all’interno del popolo, assorbirne le peculiarità e il pensiero, celebrarne le gesta e diffonderne i valori, sì da fornire un esempio edificante per i posteri, oltre che la più icastica attestazione della grandezza dello Stato in cui è sorta.
 
ARTE DEGENERATA E “RESPONSABILITA’ GIUDAICA”
Hitler vede nella presa di potere da parte del nazionalsocialismo l’inizio di una nuova era, prospera e feconda, finalmente libera dalle minacce del bolscevismo, reo di aver minato la salute economica e culturale della Nazione.  Nel Discorso di Norimberga parla di una “risurrezione” avvenuta attraverso l’imprescindibile soppressione di tutti i partiti, nonché delle correnti artistiche degenerate (dadaismo e futurismo in primis), che avevano tentato di annebbiare la mente del popolo: “Non ci lasceremo mai immischiare in interminabili discussioni con uomini i quali – a dedurre dalle loro opere – erano dei pazzi o degli imbroglioni. Sì, noi abbiamo avvertito nella maggior parte delle manovre poste in essere dai capi di questi Erostrati della cultura la presenza di azioni semplicemente criminali. Perciò, ogni conflitto personale con loro costringeva inevitabilmente a portarli in carcere o in manicomio – a seconda che essi effettivamente ritenessero i parti della loro fantasia degenerata esperienze interiori, o che proponessero tali prodotti come misero omaggio a una tendenza tanto squallida.
A non contare, poi, quei letterati ebreo-bolscevichi che vedono in tale “attività culturale” uno strumento potente volto a rendere insicure e instabili le nazioni civilizzate e in questa funzione lo assumono. (…)
Il giudizio severo, forse spietato, sull’intero movimento dell’arte dadaista dell’ultimo decennio deve essere certo ricondotto al fato che il popolo, nella sua stragrande maggioranza, (…) non manifestava, alla fine, più alcun tipo di attenzione nei riguardi di questa specie di beffa culturale giudaico-bolscevica.
I soli ammiratori – più o meno in buona fede –di tali idiozie rimanevano i fabbricanti delle medesime.
(…) ovvero come essa sia costituita da deficienti, cioè da degenerati, i quali per grazia e a lode di Dio rimangono ancora una minoranza, e da forze interessate alla distruzione della Nazione. Se quindi prescindiamo da un’attività di questo tipo – che, invero, non può in alcun caso essere qualificata come arte, ma piuttosto, come demenza culturale -, nelle sue innumerevoli espressioni l’arte tanto più si risolve a vantaggio della totalità di una Nazione quanto più essa si solleva oltre gli interessi del singolo verso la superiore dignità della comunità”. Insomma, le correnti artistiche degenerate, partorite da menti malate, devono essere estirpate in quanto lesive della salute della Nazione.
E rigetta ogni accusa di “minaccia alla libertà dell’arte”: “Così come non ci si trattiene dal privare un assassino dal diritto di uccidere fisicamente i suoi simili perché altrimenti si attenterebbe alla sua libertà, egualmente non è consentito a qualcuno di uccidere l’anima del popolo per evitare di infrenare la sua schifosa fantasia e la sua dissolutezza”.
L’arte degenerata, partorita da “quelle combriccole di vantoni, dilettanti e imbroglioni” promosse dal giudaismo e dal marxismo demo-parlamentare, ha minato l’unità della Nazione, insinuando i propri “slogans” tra i critici d’arte e gli “incolti borghesucci”, con il preciso intento di ottenebrare l’intelligenza dei tedeschi e camuffare i segni di una dissoluzione politica, economica e culturale senza precedenti.
Nel Discorso per l’inaugurazione della Prima Grande Esposizione dell’Arte Tedesca, pronunciato nel luglio del ’37, Hitler precisa: “Il giudaismo, facendo leva in modo particolare sulla sua posizione nella stampa, mirava non solo a coinvolgere progressivamente, con l’aiuto della cosiddetta critica d’arte, le opinioni naturali circa l’essenza, i compiti e il fine dell’arte, ma a stroncare la sensibilità generale rimasta ancora sana in questo settore. Alla normale intelligenza e all’istinto umani vennero sostituiti determinati slogans che, mediante il loro continuo ripetersi resero incerti o quantomeno così timorosi gran parte di coloro che si interessano di questioni di arte o debbono giudicare dei suoi obiettivi, che essi non ebbero più il coraggio di combattere lealmente (…). A favore di questi universali millantatori dell’arte interviene ancora una volta l’infingardaggine della nostra cosiddetta agiata borghesia e, in non minor misura, l’incertezza di coloro i quali, arricchitisi facilmente e rapidamente, rimangono assai poco coltivati per essere in grado di valutare in genere le opere d’arte, e che appunto perciò vivono nella paura di commettere spropositi e quindi di venire improvvisamente sorpresi nella loro mancanza di cultura. (…) Nessuno di questi incolti parvenus intenditori d’arte vuole, per ragioni intuibili, che gli venga detto chiaramente che egli non dispone di alcuna sensibilità artistica, né perfino del danaro per comprare un’opera. (…) Eh, sì: i nostri giudei hanno capito anche troppo bene i loro polli borghesi, e i moderni critici dell’arte che marciano al loro fianco hanno capito egualmente e assai rapidamente ciò che avveniva!(…) Tutti questi slogans, ‘esperienza interiore’, ‘sentimento potente’, ‘volontà robusta’, ‘percezione carica di futuro’, ‘interiorità emblematica’, ‘cronologia vissuta’, ‘genuino primitivismo’ ecc. – tutte queste espressioni stupide e artificiose, queste frasi fatte e queste chiacchere vacue non rappresentano più alcuna giustificazione – né, addirittura, una segnalazione -, per prodotti assolutamente sprovvisti di valore e recanti il marchio dell’impotenza”.
 
Da dove traggono origine le visioni di questi “impotenti”? Hitler indica due possibilità e delinea altrettante soluzioni – delle quali la prima si rivelerà tragicamente profetica -: “È ammissibile che questi sedicenti ‘artisti’ scorgano realmente le cose in questa maniera e siano perciò convinti di quel che raffigurano – e in tal caso sarebbe necessario ricercare se le loro deviazioni visive siano intervenute per via meccanica o in seguito a fattori ereditari. Nella prima ipotesi siamo sinceramente rattristati per questi disgraziati; nella seconda ipotesi, il fatto assume rilievo per il ministero degli Affari Interni del Reich, che dovrebbe preoccuparsi di impedire quanto meno una ulteriore trasmissione ereditaria di alterazioni tanto atroci. Oppure essi non credono affatto alla realtà di queste impressioni, ma per altre ragioni mirano a infastidire la Nazione con simili ciarlatanate, e in tal caso è questione di un comportamento che ricade nella sfera di applicazione del diritto penale”.
 
 
PRIMITIVO E MODERNO VS ETERNO
Come già accennato, Hitler aspira ad un’arte imperitura, dunque non soggetta al fluire inesorabile del tempo, percepito come un valore effimero e vacuo: essendo l’arte visiva – si tratti di pittura, scultura o architettura – uno strumento, anzi lo strumento, per rendere immortali le gesta di un popolo, essa non deve celebrare la propria epoca, ma piuttosto la propria Nazione, creando opere a-storiche avulse da mode transitorie.
Bandite le forme espressive d’avanguardia, viene perseguito un ideale estetico ellenizzante: i posteri dovranno ammirare qualcosa di “bello”, si tratti di tele che rappresentino uomini dai fisici perfetti, sani e nerboruti o di edifici maestosi e imponenti, tali cioè da riecheggiare la grandezza dello Stato che li ha eretti.
Inevitabile, quindi, la deplorazione della “modernità” e del “primitivismo” propugnati dall’arte degenerata, volta alla mera esaltazione del tempo e allo spregio dei Maestri: “Ogni anno”, afferma nel Discorso per la Prima Grande Esposizione dell’Arte Tedesca, “ qualcosa di diverso. Impressionismo, prima; futurismo, cubismo ma forse pure dadaismo ecc., poi. (…) gli abili mercanti d’arte giudei riuscirono a offrire – e soprattutto a valorizzare -, dall’oggi al domani, eccelsi scarabocchi come produzioni della loro nuova, e perciò ‘moderna’, arte, laddove opere di pregio erano prontamente scartate e i loro autori messi semplicemente a tacere come estranei alla ‘modernità’. E’ infatti con questo vocabolo ‘moderno’ che con molta naturalezza si basa la liquidazione di tutti coloro che non concordano su tale aberrazione. E così come gli abiti non vengono purtroppo oggi valutati in merito alla loro bellezza, ma alla loro modernità – e perciò non in riferimento allo specifico valore di bellezza che essi esprimono -, egualmente anche i vecchi maestri vengono respinti, dal momento che non è più moderno, alla moda, portarli né acquistarli. (…) l’arte autentica, è e rimane sempre un’arte eterna, senza quindi sottostare alla legge della valutazione stagionale delle produzioni di sartoria. Essa riceve riconoscimento in quanto immortale espressione che nasce dalla natura intima di un popolo. (…) Lo spirito che non è destinato nelle proprie creazioni all’eternità (…) mira a oscurare il più possibile i giganti contemporanei (…). Questo meschino scarabocchiare artistico nel migliore dei casi rappresenta soltanto un’esperienza momentanea. Ieri inesistente, oggi alla moda, dopodomani già dimenticata! (…) Non pensavano assolutamente, i nostri Romantici tedeschi di un tempo, ad apparire vecchi o moderni. Essi sentivano e intuivano da Tedeschi, confidando conseguentemente in una duratura validità delle loro opere, duratura quanto la vita del popolo tedesco. (…) L’arte quindi di questo nuovo Reich non verrà calcolata con riferimento a criteri di vecchio o di moderno, ma dovrà, come arte tedesca, acquistarsi la propria immortalità davanti alla storia. Perché l’arte non è una moda. (…) Nulla hanno a che vedere con il nostro popolo cubismo, dadaismo, futurismo, impressionismo, ecc. (…) E’, in ogni caso, impudenza o idiozia difficilmente comprensibile proporre nei nostri tempi attuali opere che forse avrebbero potuto venir eseguite dieci o ventimila anni or sono da un uomo dell’età della pietra. Costoro si riferiscono ad un primitivismo artistico dimenticando del tutto come l’obiettivo dell’arte non sia retrocedere nello sviluppo di un popolo,  ma come suo unico obiettivo sia quello di tradurre in simbolo questo sviluppo vivente”.
E prosegue contrapponendo il “tipo umano mirabilmente bello” esaltato dall’arte nazionalsocialista agli “storpi deformi e idioti”, “donne che suscitano soltanto orrore”, “bambini che, se vivessero nel modo in cui sono figurati, verrebbero semplicemente ritenuti una maledizione di Dio” raffigurati dagli artisti degenerati, “stupratori dell’arte”, la cui produzione “mira a turbare la sana, istintiva sensibilità di un popolo”.
Del resto, lo stile primitivo di futurismo, dadaismo ecc., “affine alle rozze creazioni di bambini di 8-1° anni privi di ingegno”, non risulta “moderno” né tantomeno proiettato verso il futuro, ma piuttosto “assolutamente arretrato”: “Questi inetti non sono affatto moderni, sono decrepiti, meschini in ritardo, per i quali non c’è spazio nell’attuale epoca moderna”.
E rincara la dose nel Discorso per la Seconda Grande Esposizione dell’Arte Tedesca, pronunciato nel ’38: l’uomo del nuovo Reich non può tollerare le “primitive esibizioni di pervertitori dell’arte rimasti all’età della pietra, di sperimentatori imbrattatele daltonici (…).Ma il popolo tedesco di questo XX secolo è il popolo di una risorta affermazione dei valori della vita, entusiasta di fronte alla visione del forte e del bello e, quindi, del sano e del vitale. Forza e bellezza sono i motivi dominanti di quest’epoca. Chiarezza e logica reggono la ricerca”. Contro le mode labili e passeggere, Hitler propone un’arte duratura, giacché “non edifichiamo per il presente, edifichiamo per il futuro! E’ necessario quindi edificare in una maniera che sia grandiosa, solida e duratura e perciò anche degna e bella”.
 
METODI
L’epurazione delle correnti degenerate e la conseguente imposizione di un’arte di regime, richiedono misure “estreme”, che il Fuhrer illustra nel Discorso per l’inaugurazione della Grande Esposizione d’Arte Tedesca del 1939: “I responsabili delle formazione politica o ideologica dei popoli devono mirare a orientare le forze artistiche – anche col rischio di interventi pesanti – nella direzione delle tendenze degli obiettivi ideologici generali. Soltanto in questa maniera è possibile evitare che l’arte, rimanendo su tali linee d’arretramento, si allontani sempre più dalla vita reale dei popoli, finendo con l’isolarsi.
Risulta ovvio che non è sufficiente limitarsi ad aiutare gli artisti con ‘esortazioni’ o disciplinare la loro opera con divieti e ordini! No: è necessario soprattutto garantir loro le doverose possibilità di lavoro, cioè assegnare le commesse che il tempo esige”.
Ma affinché l’arte nazionalsocialista possa radicarsi quale unica forma espressiva della Nazione, è necessario estirpare le pratiche creative giudaico-bolsceviche, privandole del loro  principale sostegno, la stampa:
“Nel corso del riassetto generale della nostra vita nazionale è stato tolto a questi individui (gli artisti degenerati, ndr) il mezzo che essi potevano in ogni caso utilizzare con molta facilità in mancanza di autentico talento artistico. La pubblicistica cessò di funzionare come strumento destinato a confondere le idee al popolo. Invece che strumenti di divisione delle masse e perciò di esclusione di ogni punto di vista e di ogni comportamento organico, la stampa e la pubblicistica assunsero per lo Stato nazionalsocialista la funzione di guidare il popolo, sì da promuovere un orientamento omogeneo non soltanto nell’ambito della politica, ma anche in quello della cultura”.
Anche l’allestimento di esposizioni di opere “di autentico talento”, che incarnano gli ideali del Reich, e l’erezione di edifici maestosi contribuiscono a perseguire l’obiettivo: “Negli anni precedenti e seguenti il 1933 ho formulato il convincimento che, non appena fossero sorti davanti ai nostri occhi i primi edifici, gli schiamazzi e gli insulti dei critici ostinati sarebbero stati ridotti al silenzio. (…) le immortali costruzioni del nuovo Reich hanno fatto dileguare il saccente critico culturale. (…) E’ stata eliminata completamente la truffa commerciale di un’arte decadente, cioè malata e falsa, che si riduceva a una moda. (…)
A partire da questo momento noi intendiamo adottare un parametro sempre più rigoroso passando da una mostra all’altra e selezionare le creazioni di autentico talento dal livello generale della dignità artistica”.
 
SUGGESTIONI
L’arte nazionalsocialista non nasce ex nihilo. Ha alle proprie spalle il “ritorno dell’ordine” prospettato in Germania dall’ala classicista Neue Sachlichkeit – tra i principali esponenti Kandolt, Mense e Schrimpf -, formatasi a Monaco verso la fine della Prima Guerra Mondiale e suggestionata dalla scuola italiana di Valori plastici. La vocazione anti-modernista dell’arte nazionalsocialista è, pertanto, tutta interna ad una estesa tendenza dell’epoca tra i due conflitti bellici. E ciò malgrado la presenza, nei primissimi anni del regime, di artisti modernisti quali Mies van der Rohe, Bralch o Heckel, ed il contemporaneo, vano,  tentativo, promosso da Goebbels, di dar vita ad un “espressionismo nordico” – tentativo che fallirà nel ’37 con la mostra di Monaco sulla Entartete Kunst -.
Tuttavia, il movimento nazionalsocialista assume pure le istanze della biopolitica nietscheana, patrocinatrice dell’eccesso di salute e dall’abbondanza di vigore indispensabili per affrancare il corpo dai lacci che lo avviluppano in una morsa fatale.
Per Nietsche, infatti, il soma è “una struttura politica, (…) una struttura di sovranità”, come sottolinea Baeumler in Nietsche, filosofo e politico. Per il filosofo “non c’è politica che dei corpi, sui corpi, attraverso i corpi” (Esposito, Bios, Biopolitica e filosofia). Ed è proprio questo corpo ad essere l’emblema dell’arte nazionalsocialista, in ogni sua forma espressiva, plastica, pittorica o cinematografica.
Un corpo scardinato dalla volontà di potenza della comunità che nulla ha a che vedere con quello franto, inconsistente, de-potenziato, addomesticato, reso astratto, delle avanguardie.