di Giovanna Galli
Stile intervista Peter Weiermair, curatore della mostra “La natura della natura morta. Da Manet ai nostri giorni”, in programma dall’1 dicembre alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna.
La natura morta nasce alla fine del XVI secolo: Caravaggio, con la famosa “Fiscella”, ma, prima di lui Ambrogio Figino e Fede Galizia. Il Seicento sarà il secolo delle nature morte con una forte carica simbolica, il settecento generalmente assumerà gli oggetti per cantarli in una cornice di eleganza, mentre nell’Ottocento questo genere rappresenterà lo spazio dell’anima e della casa, fino ad arrivare al censimento delle “piccole cose” di gusto gozzaniano. La vostra ricerca prende in esame dipinti di un’epoca compresa tra la nostra e 150 anni orsono, più o meno ai tempi dell’Impressionismo. Cosa cambiò in quell’epoca rispetto alle rappresentazioni precedenti?
La nostra ricerca si spinge indietro nel tempo dell’arte, fino all’inizio del Moderno, a partire da opere del periodo pre-impressionista; io credo che l’aspetto più significativo di questa mostra sia l’avere scelto un tema che appartiene profondamente alla storia dell’arte: il dialogo con gli oggetti, un tema molto semplice, elementare, ma che tocca intimamente la vita privata e quotidiana del soggetto. Attraverso la selezione di opere che proponiamo, scelte tra le più significative di tutte le correnti prese in esame, diviene così possibile illustrare il mutamento delle percezione degli oggetti e il cambiamento delle “visioni del mondo” di cui esso è il prodotto. Emblematico è anche il fatto di avere scelto di affiancare ai dipinti una mostra sulla fotografia, poiché la scoperta di quest’ultima ha rappresentato ovviamente una sorta di spartiacque a livello concettuale nell’approccio che la pittura ha dedicato allo studio e alla riproduzione degli oggetti.
La rappresentazione della realtà cambia e la natura morta, negli anni del postimpressionismo e del cubismo, diventa una palestra di scomposizioni.
Infatti è molto interessante notare come i cubisti scelgano di utilizzare questo tema: dovendo rappresentare un soggetto immobile, fisso, diventa assai più semplice scomporlo in tutti i possibili punti di vista, disarticolarlo applicando i vari aspetti del “vedere” prospettico; così sia il cubismo analitico che quello sintetico hanno trovato nella natura mostra un’ideale palestra di sperimentazione.
Un modo nuovo di osservare la realtà. L’uomo del XX secolo non si accontenta più di una sola visione, ma cerca di osservare in modo totale l’oggetto davanti a sé…..Cosa significava invece natura morta per i futuristi? Sembrerebbe una contraddizione di termini parlare di natura morta futurista, visto che la natura morta è di per sé statica, mentre il futurismo tende alla rappresentazione del movimento.
Citerei la celeberrima “Bottiglia” di Boccioni, ad esempio, o le opere di Severini a significare nella vocazione all’astratto, la singolarità del liquidare nel momento la realtà, nell’inserire in uno spazio dinamico ciò che è per definizione statico e immutabile. Il confronto con la natura morta si traduce, anche per il rapporto dialettico con la ricerca cubista, nel confronto con le possibilità espressive della scomposizione della dimensione spazio-temporale attuata attraverso le forme e i colori.
Un discorso a parte va affrontato per i russi…
Certo, a questo proposito si apre il grande capitolo dedicato al Costruttivismo, a quelle avanguardie che sull’onda dell’influenza del dadaismo, ad esempio, giocano col soggetto, soggetto che nella ricerca di Cezanne o di Morandi era centrale e che qui viene rielaborato in funzione di nuovi schemi estetici.
Un altro capitolo è dedicato a Morandi. In quel caso la natura morta ci pare perdere connotazioni realistiche o simbologiche dirette per diventare spazio metafisico. Le bottiglie di Morandi non alludono all’eterno, ma sono l’eterno…
Morandi riceve con questo allestimento una sorta di omaggio, essendo stato sicuramente uno dei massimi esponenti del genere della natura morta del XX secolo. Lo spazio metafisico di Morandi è il colore, il colore è spazio e la realtà, diceva lo stesso pittore, è astratta, o meglio la realtà è lo spazio tra gli oggetti. Nelle nature morte morandiane si avverte l’intensità della speculazione intellettuale che stava alla base della sua ricerca pittorica, della coerenza dei rapporti tra forme e colori, e della loro meditata composizione.
Esistono poi altri due sezioni importanti: da un lato il Realismo Magico – rappresentato in mostra da Lenk, Kanoldt e Casorati – e dall’altro il surrealismo. Come viene letta la natura morta da questi due movimenti?
Il Surrealismo, da Dalì a Magritte, giunge al sistematico sovvertimento del genere, con la resa di oggetti accostati in maniera improbabile, resi con effetti metamorfici che evocano una realtà deformata spazialmente e dimensionalmente, e comunque l’oggetto di uso quotidiano è, per questa corrente, centrale a livello tematico. Attraverso significative opere degli autori del Realismo e della Nuova oggettività tedesca si documenta invece il ritorno all’ordine che essi attuano, ritorno a un ristabilito rapporto tra l’uomo e l’oggetto, a partire da una posizione filosofica ben precisa. E in seguito, il percorso espositivo, conduce ad analizzare le altre esperienze maturate su queste tracce , sviluppatesi negli anni Cinquanta e Sessanta, dalla Pop Art, che giunge a toni grotteschi e satirici, all’Iperrealismo, che rinuncia ad ogni interpretazione del reale.
Nella società di consumo, com’è quella novecentesca matura, l’oggetto pare perdere una funzione simbologica per diventare “soggetto attivo”. Siamo in un mondo che promuove oggetti, li consuma, senza leggerne l’”anima”. E’ forse per questo che gli artisti recuperano l’ “anima di questi esclusi”?
In questo delicato momento, eventi tragici come gli attentati terroristici e i problemi legati alla globalizzazione, spingono a riflessioni profonde, a cui il mondo dell’arte non può certamente sottrarsi. Affrontare il tema della natura morta significa soprattutto compiere una rimeditazione sulla storia dell’arte. Nelle opere di Cézanne o di Morandi si osserva il tentativo riuscito di recuperare una dimensione di semplicità, fatta di silenzio, fatta di ordine e sospensione. La riflessione suggerita da questi autori e ripresa nei decenni successivi, pensiamo ad esempio all’Arte Concettuale, all’Arte Povera, si ripropone, nonostante le revisioni a cui il tema viene incessantemente sottoposto.
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